Abcveneto

Dicembre 2020 numero 201

Walter.Morando. Milena Milani, Alba.Gonzales. M.Irma.Mariotti

Milena Milani: una poesia che resta

testo di Alessandra Trevisan - foto di Maria Ester Nichele

Quando conobbi l’opera di Milena Milani, qualche anno fa, il primo incontro fu con La ragazza di nome Giulio, che ritengo senz’altro un romanzo ben congegnato e curioso, soprattutto per la libertà con la quale quest’autrice ha liberato da convenzioni sociali il suo personaggio di ragazza: Jules. Mi sembra però non corretto mettere al centro dell’opera di un autore un solo libro, che si pensa sempre più riuscito di altri. Come ci ricordiamo spesso con Maria Ester Nichele, fotoreporter e amica per molti anni di Milena, fondatrice insieme a Federico Nardi di questo spazio aperto all’informazione qual è AbcVeneto, Milena Milani fu una combattiva sostenitrice dei suoi testi: ognuno doveva avere importanza e poteva trovare una collocazione nel panorama editoriale. Non sono qui per tracciare un profilo dell’opera ma per affermare che, com’è accaduto per altre scrittrici, Milena Milani nacque poeta per sua propria volontà, pubblicando nel 1944 per le Edizioni del Cavallino di Venezia il suo primo volume: Ignoti furono i cieli. Senza dubbio il sostegno di Carlo Cardazzo, gallerista ed editore veneziano a lungo suo compagno, in quel momento storico favorì l’indole combattiva di Milena Milani non proteggendola – se comprendo bene dall’opera non ne ebbe mai bisogno – ma sostenendo economicamente quella che fu la sua prima pubblicazione in un tempo segnato dalla guerra e da difficoltà nel campo dell’editoria. Di fatto fu un primo mecenate, che sgombrò la strada da pregiudizi nei confronti della scrittura delle donne, che fino a quel momento non avevano mai collaborato con lui né con le sue gallerie, come lei farà invece fino ai primi anni Sessanta.
La volontà dell’autore è a noi ignota, ammesso che non emergano in superficie carte d’archivio che ci facciano affermare il contrario; è certo però che pubblicare poesia negli anni Quaranta, da parte delle donne, era un fatto più isolato e più raro che per gli uomini, affrontato con coraggio da Milena Milani, che scelse una forma lirica e privata, scelse di parlare di sé e di ciò che provava e sentiva, quasi come se la poesia dovesse essere un mezzo di autoaffermazione ben prima del femminismo, certamente come se lei non avesse paura di ciò che avrebbe pensato il pubblico. È chiaro che le donne, in tutte le epoche, sono state criticate per aver messo a nudo alcuni aspetti della vita, come se i loro argomenti e temi principali fossero “minori” e autoreferenziali. Ben vengano, invece, queste loro posizioni, che affermano il valore di esistenza ed espressione di grandi artiste nel mondo. Questo non dev’essere un ragionamento semplicistico: trovo invece che sperimentare l’assenza di distanza dal sé non sia né voyeuristico né possa compromettere il valore di un’opera; semmai arricchisce il lettore di un punto di vista personale in un’epoca in cui abbiamo dimenticato quanto le conquiste del passato siano da difendere. E se questo il femminismo ce l’ha detto bene, includendo completamente la scrittura esperienziale delle donne tra i filoni da scoprire e rileggere, va detto anche che il corpo, la vita, il rapporto con l’amore, la sessualità, il rapporto con gli altri, non sono a parer mio da calare dentro una lettura femminista dell’opera di Milena Milani, che non mi pare risponda né alla volontà della scrittrice né al sistema di lettura critico, che in direbbe qualcosa di chi scrive ora e non di chi ha scritto, ossia l’autrice.
Colpisce, nelle poesie che oggi vi presentiamo, la schiettezza della parola e dei gesti. C’è un approccio amoroso esplicito fatto di una sorta di erotismo sottile nei versi «Ma tu sei mio/ e io ti chiudo gli occhi/ con la piccola mano.» che attraversa tutto il testo. Senza pudore, il contatto tra i corpi, gli sguardi, il vedere l’altro e sé. Così come pieno l’amore dei versi: «Io sola ho rubato i tuoi occhi/ che un’altra possiede per legge.».
Qui, come abbiamo commentato privatamente Maria Ester ed io, il coraggio di affermare la relazione con Cardazzo, ma più in particolare un amore extra-coniugale, ci fa riflettere rispetto alle convenzioni prima della legge sul divorzio, ai pregiudizi che l’autrice vuole scavalcare e a come la vita diventi arte attraverso la poesia, in una sorta di affermazione “politica”, intesa in senso largo.

Sento di poter dire che la forza della poesia, dopo quella pubblicazione, si trasferirà nei racconti brevi che la vedranno impegnata a pubblicare, per tutta la vita, su quotidiani e in volume; la stessa forza lirica è comunque presente nei suoi romanzi, in cui l’io non abbandona l’esperienza, come se parlare di sé fosse un modo di conoscersi e comprendersi dovendo attraversare numerosi ostacoli da sola, senza mai perdere la forza di proseguire nella costruzione del proprio destino vincente e ricco di soddisfazioni. Cara Milena, il 24 dicembre è la notte che sei venuta al mondo e, noi ti ricordiamo sempre con ammirazione e affetto.

Perché tu non sapevi

Perché tu non sapevi
ma indugiavo
io con la mano
sui tuoi occhi di cielo
a lungo un po’ tremando
ché passava un perfetto corpo di donna
e chiedevo il tuo sguardo
e l’ansia dell’artista.
Ma tu sei mio
e io ti chiudo gli occhi
con la piccola mano.
Io porto l’autunno del mondo

Ho tinte di azzurro le unghie
adesso che sono partita
sul nero battello del nord.
Io porto con me la mia Sila
coi pini e coi laghi selvaggi
le capre e il pastore bambino
col cane legato allo spago. 
Io porto l’autunno del mondo
che imbianca il pensiero
e si ferma.
Io sola ho rubato i tuoi occhi
che un’altra possiede per legge.

da Ignoti furono i cieli, (Edizioni del Cavallino di Venezia, 1944)

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