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N. 61, VI anno, 2008 Mercoledì 21 Aprile  2009
 
 
 


  Prima esecuzione in tempi moderni dell'ottocentesca "Messa per la festa di San Liberale" di un principe della Slesia prussiana

Di Abcveneto

Domenica 26 aprile ore 16.30 nella Cattedrale di Treviso, si terrà il concerto "Messa per la festa di San Liberale" di Stanislao Principe Hatzfeld per Soli, Coro maschile e Orchestra: prima esecuzione in tempi moderni di una partitura del 1866 rinvenuta presso la Biblioteca comunale di Treviso, pur se proveniente dalla biblioteca Capitolare. La "Messa" è stata trascreitta e orchestrata dai musicologi trevigiani Giovanni Doro e Michele Pozzobon e per la sua prima esecuzione parteciperanno i tenori Luca Favaron e Antonio Feltracco, il baritono Elia Fabbian; il Coro Reale Corte Armonica e l'Orchestra Filarmonia Veneta "G.F. Malipiero". Sul podio ci sarà il M° Sergio Balestracci.
La Messa dedicata al santo patrono di Treviso, che ricorre il 27 aprile, sarà preceduta dall'esecuzione della Sinfonia n.44 di F.J. Haydn, ("Trauer").

APPROFONDIMENTI

LA MESSA PER LA FESTA DI SAN LIBERALE (analisi di Michele Pozzobon)
La Messa per la festa di san Liberale di Stanislao Hatzfeldt appartiene a quella moltitudine di composizioni sacre, vocali e strumentali, della seconda metà dell’Ottocento che riempiono gli archivi musicali di tante biblioteche. Lavori per lo più realizzati da autori minori, spesso dilettanti, accomunati da una scrittura che adotta i tratti stilistici di una musica accademica e di maniera.
Nondimeno la Messa di Hatzfeldt è un importante documento che ci aiuta a capire, assieme a un gran numero di composizioni di autori che hanno operato a Treviso nel periodo risorgimentale e post-risorgimentale, quale fosse il modo di fare musica nella capitale della Marca e pone in piena evidenza il gusto e gli ideali di estetica sonora che stavano alla base di una produzione i cui esiti artistici appaiono, oggi, piuttosto modesti.
In effetti, nel corso del XIX secolo le chiese, a cui venivano destinate molte composizioni, erano diventate luoghi che accoglievano “una ritualità sonora fatta di suggestioni spirituali ma anche di elementi virtuosistico-esteriori. L’impiego più accentuato del cromatismo e di soluzioni armoniche, la ricerca di effetti sostenuta da più copiosa base strumentale investono la prassi più squisitamente liturgica della musica trevigiana”. Si assiste, in questo periodo, a una sorta di contaminazione, in taluni casi più marcata e vistosa rispetto al secolo precedente, fra sacro e profano. Questa circostanza è dovuta al fatto che l’attività dei compositori che svolgono il loro servizio nelle chiese non rimane circoscritta alla liturgia, ma trova modo di esprimersi anche all’interno di teatri, di accademie e di circoli, dove si è particolarmente attenti alle mode musicali del momento.
Stanno ormai emergendo nell’ambito della Chiesa le esigenze di tornare a una musica più compassata, maggiormente adatta ad animare le celebrazioni liturgiche. Si sta avviando infatti, in ambito nazionale ed europeo, una seria riflessione su tale argomento, che porterà, di lì a poco, alla nascita del movimento “ceciliano” in Germania (1870) e di quello analogo di “S. Cecilia” in Italia (1880). Già a partire dalla metà del secolo anche a Treviso è sentita forte l’esigenza di una nuova idealità sonora all’interno dell’edificio sacro. E’ di mons. Giovanni Antonio Farina, vescovo della città, un decreto emanato nel 1851, nel quale il presule esprime la sua contrarietà in merito all’installazione e all’uso di apparati bandistici nell’organo da chiesa. E proprio in quegli anni sorge una “Società di S. Cecilia” con lo scopo di promuovere un più dignitoso servizio liturgico.
Tuttavia gli sforzi per conferire alla musica sacra una sua compostezza liturgica non danno risultati immediati. Anche negli anni successivi sono molte le voci che pongono l’accento, in modo allarmato, sulla situazione della musica nelle chiese. Il veneziano Felice Toffoli, ad esempio, proprio nel periodo di composizione della Messa per san Liberale (aprile 1866) lamenta in modo disincantato lo stato di degrado e di confusione in cui versa la musica da chiesa. “[…] La musica sacra a’ nostri giorni - scrive - è trattata non dirò con indecenza ma sconciamente. In teatro si odono le gravi armonie dell’organo, e in chiesa i giovani maestri fanno presentir la loro disposizione a scrivere un’arietta per dame o terzetto semiserio. […] V’è la tendenza a sostituire l’artifizio di mestiere all’ispirazione, e la sensazione fisica all’emozione del cuore. Gli abusi dell’istrumentazione, i grossolani effetti delle sonorità, il mostruoso accoppiamento dei timbri hanno alterato la delicatezza del nostro orecchio e ci hanno resi insensibili alle cose semplici e belle.”
La Messa per la festa di san Liberale viene a collocarsi in questo panorama. In effetti al suo interno rinveniamo tutti quegli elementi musicali e compositivi che caratterizzano le opere di quella schiera di autori minori della metà dell’Ottocento, che non sono sostenuti da una raffinata e solida tecnica di scrittura e da una particolare ispirazione. E’ musica ridondante, quella di Stanislao Hatzfeldt, di immediato impatto popolare, che indugia su un melodiare facile, influenzata da standardizzate formule di provenienza operistica, con l’impiego di un organico strumentale, dove abbondano - con probabili ammiccamenti all’estetica sonora di ascendenza bandistica - gli ottoni. Esemplare a tale riguardo è l’apertura del Kyrie che introduce un tema facile, ben scandito, dal carattere leggermente marziale. La ricerca di motivi fin troppo orecchiabili caratterizza ancora l’ampia pagina del Gloria. Il tema d’inizio, in particolare, presenta un profilo melodico un po’ secco e ritmicamente squadrato e certamente facile da ricordare, ma più adatto, forse, a un brano destinato a una fanfara militare che a una composizione religiosa. Abbondante è poi l’impiego, a volte un po’ ingenuo, di formule d’accompagnamento strumentale – affidato per lo più agli archi – che rinviano al famoso e talvolta abusato ‘basso albertino’. Bisogna comunque riconoscere nell’autore una certa cura nella strumentazione che dà vita a un dialogo equilibrato fra archi e fiati.
Le voci sono trattate con grande semplicità compositiva. Ai tre solisti (due tenori e un basso) sono affidate delle parti piuttosto estese, ma anche a loro il principe prussiano affida delle melodie abbastanza scontate e di agevole ascolto, in alcuni casi quelle stesse enunciate in precedenza da alcuni strumenti. Solo in fase cadenzale concede alle linee del canto virtuosistiche agilità che rinviano all’effettistica vocale, propria del genere operistico. Non mancano alcuni graziosi duetti (tenore-basso) che talvolta danno vita a essenziali fugati. Le sezioni corali (più volte a tre, in qualche occasione a quattro) sono tese invece a restituire, in assoluto stile accordale, la struttura ritmica del testo latino. Ed è proprio alla sobria accordalità del coro che viene affidata, in taluni casi, quella severità di accenti propria della musica da chiesa.
Al di là di ogni considerazione di estetica sonora e di impianto musicale complessivo, va rilevato che nella Messa di Stanislao Hatzfeldt è possibile cogliere, in alcuni momenti, il tentativo di trasferire in musica un proprio sentimento religioso, sincero e devoto. Nella prima parte dell’Agnus Dei, ad esempio, la scrittura appare meno condizionata dai procedimenti stereotipati e accademici del tempo e si piega a sonorità più intime e personali.

IL MANOSCRITTO
Il manoscritto della Messa è conservato presso la Biblioteca comunale di Treviso, ma è sfuggito alla recente catalogazione del fondo musicale della biblioteca, perché non figura fra le opere censite. Esso proviene certamente dalla Biblioteca capitolare, poiché sul frontespizio compare il timbro dell’istituzione che fa capo al Capitolo del Duomo della città. L’originaria presenza della Messa di Stanislao Hatzfeldt fra i materiali della Capitolare è comprovata dalla sua inclusione nel catalogo dei brani musicali presenti nell’istituzione capitolare, redatto dal maestro di cappella e mansionario della Cattedrale Jacopo Campion nel 1845: ovviamente tale presenza è stata registrata dopo il 1866, anno della sua composizione.
A questo proposito va ricordato che intorno al 1820 il materiale archivistico di proprietà del Comune (sprovvisto di una sua propria biblioteca) trova una provvisoria collocazione nei locali della Capitolare. Quando, nel 1847, si provvede all’inaugurazione di una sede autonoma della Biblioteca civica, a questa non solo viene restituito (in realtà solo parzialmente) il patrimonio archivistico del Comune, ma vengono ceduti – inspiegabilmente - anche i manoscritti musicali sette-ottocenteschi di proprietà della Capitolare. La stessa sorte verrà riservata, una ventina d’anni più tardi, alla Messa di Hatzfeldt che, pur essendo contrassegnata dal timbro del Capitolo del Duomo, figura fra i manoscritti della Comunale. Un tale organico sembra porsi in piena sintonia con l’estetica ottocentesca. Sono molti i musicisti attivi a Treviso (o nell’area veneziana e veneta) negli anni prossimi alla composizione della Messa (1866), che esibiscono - nei loro lavori sacri - una simile compagine orchestrale e corale. Ad esempio, l’utilizzo - da parte dei compositori del tempo - di un organico vocale comprensivo di tre voci maschili, divise in tenori primi, tenori secondi e bassi, sembra rappresentare la più assoluta normalità. Le voci femminili, infatti, compaiono assai raramente in ambito sacro.
L’adozione disinvolta di un organico molto usato nell’area veneta da parte di un autore di formazione sostanzialmente tedesca avvalora la notizia di una sua lunga permanenza nella città di Venezia. La Messa per la festa san Liberale di Stanislao Hatzfeldt, unitamente a tante composizioni di autori che hanno lavorato a vario titolo a Treviso nel corso dell’Ottocento, è testimonianza preziosa di una locale vivacità musicale che si è poi affievolita nel corso del secolo successivo, per spegnersi quasi del tutto negli ultimi tempi. La generazione di Hatzfeldt non ha prodotto certo dei capolavori; ha avuto comunque il merito di portare avanti delle forti idealità musicali sia in ambito sacro sia in quello profano, mostrando quanto la musica fosse in quel tempo parte importante del tessuto religioso e sociale.

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