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N. 59, VI anno, 2008 Sabato 1 febbraio  2009
 
 
 


  e 100 anni fa… Confessioni e riflessioni di un futurista mancato

Di Alberto Leoncini

Cento anni fa usciva su “Le figaro” il manifesto del futurismo, uno degli eventi più simbolici e pregnanti delle avanguardie storiche, peraltro l’unica ad aver avuto il suo nucleo propulsore in artisti italiani.
A distanza di cento anni credo sia lecito interrogarsi su cosa resti di quell’anelito, forse un po’ anacronistico visto oggi, di velocità, di conquista di nuovi spazi, di apertura di nuove prospettive di ricerca, sperimentazione e ardimento. Ad una sommaria analisi, dovremmo dire che i futuristi hanno vinto, su tutti i fronti e che i risultati sono assai deludenti. Dal 1950 ad oggi abbiamo consumato tante risorse quante quelle consumate in tutta la storia del mondo precedente. La velocità è componente quotidiana della nostra vita. La comunicazione, l’immagine, l’esperienza sensoriale sono centrali e irrinunciabili nelle nostre vite. Ve lo immaginate il profilo di Marinetti su Facebook?
Eppure da tutto questo oggi rifuggiamo, chi in buona fede, chi meno. Mai come ora il nostro mondo anela alla pace, al silenzio, alla riscoperta delle relazioni. Allora, perché celebrare il futurismo? Non dovremmo forse combatterlo come la prima legittimazione culturale dello sfacelo che ci circonda? Forse sì, ma credo che nessuno dei futuristi sapesse davvero come sarebbe stato il mondo cento anni dopo, e forse il passato non è quell’età dell’oro talvolta sommariamente declamata.
L’attrazione per quel nuovo così seducente, specie se paragonato ad un’arte e ad una cultura ancora anacronisticamente legate al passato, sovente in modo pedante e vuotamente celebrativo, era una tentazione troppo forte e anch’io, credo, cento anni fa sarei stato un futurista. O almeno mi sarei avvicinato con curiosità e interesse a quel movimento, come peraltro fecero moltissimi artisti ed intellettuali, cogliendone l’essenziale tentativo di innovazione da far proprio e usare come trampolino per nuove suggestioni ed elaborazioni artistiche, intellettuali, finanche umane. Il futurismo, insomma, è stato uno snodo fondamentale nella strutturazione di quel “novecento” divenuto parola a se stante per la molteplicità di rimandi e implicazioni che porta dentro, e credo che in tal senso vada letta la “celebrazione”, o per meglio dire il “ripensamento” di questo “compleanno futurista”, e non si può non ricordare che il futurismo ha permeato tutti gli ambiti della vita artistica: dalla letteratura al teatro passando per la cartellonistica pubblicitaria e la musica. Credo che agli intellettuali che hanno animato quel movimento, le chiacchiere di questi giorni parrebbero fumo negli occhi… Se davvero dunque si vuol rendere un omaggio a questi coraggiosi artisti, pur nei loro limiti, credo si debba rimarcare una volta di più quella originale rivisitazione della “tensione al bello” che nel corso della storia è stata più volte colta sotto varie luci; ma ancor di più credo che il futurismo ci lasci oggi qualcosa di ben più importante: la fiducia nel futuro, appunto. O forse un malcelato fideismo, ma di questi tempi è già qualcosa.

Di Alberto Leoncini


 
 
 
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