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N. 58, VI anno, 2008 Giovedì 1 Gennaio  2009
 
 
 


  Leopardi, la crisi economica e l’eroismo del quotidiano

Di Alberto Leoncini

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali.

Giacomo Leopardi, La Ginestra, vv. 297-316

Con l’inizio dell’anno forse sarebbe più consono estrarre dal repertorio leopardiano il “Dialogo d’un venditore d’almanacchi e di un passeggiere”, tuttavia il fatto che il mio articolo coincida con il primo numero dell’anno è del tutto casuale, e ancor più legato alla contingenza è il fatto stesso di iniziare una riflessione con le parole del grande poeta recanatense, che non si situa fra quegli autori che sento più profondamente miei. Devo tuttavia riconoscere che in quest’ultimo periodo mi sia capitato assai spesso fra le mani. Ed in effetti le circostanze esterne non invogliano di sicuro alla spensieratezza e alla serenità, o quantomeno all’accezione “media” che a questi termini riconduciamo; tuttavia ci sono alcuni aspetti che mi colpiscono in modo particolare. Senza voler scendere in un patetico intimismo, credo che la condizione umana di oggi sia molto leopardiana, dove, accanto, o magari al posto, della Natura si sia aggiunta l’economia, nel ruolo di matrigna. Sulla Natura matrigna potrei discutere a lungo, tuttavia è significativo notare come una astratta entità, disciplina o per qualcuno scienza, l’economia, appunto, che nessuno ha mai visto, il cui fine sarebbe quello di far stare meglio un po’ tutti, o almeno di far stare tutti meno peggio possibile, sia in realtà la fonte di una serie infinta di guai. Insomma, è così blasfemo pensare che Leopardi avesse già capito tutto?
Forse no, perché se un autore presenta degli evidenti profili di universalità non si può prescindere da quelle sollecitazioni che gli avvenimenti creano, dunque ritengo che il nostro abbia molto da dirci, anche in questo frangente, senza voler schiacciare un modello interpretativo a priori adattato, quanto piuttosto specificare una continuità ideale per certi aspetti anche più profonda.
E l’individuo è necessariamente interrogato sotto questo profilo, poiché l’economia oggi risulta imprescindibile, nel momento in cui si volesse porre sul piano dell’interrogativo teoretico la condizione umana sia nella sua dimensione singola che associata. Come dunque escludere il problema economico da tutto ciò se, alla fine, ci troviamo immersi in questo contesto? Mi pare una forzatura piuttosto marcata.

E’ tuttavia sotto un altro aspetto che, a mio modo di vedere, risulta in tutta la sua pregnanza l’attualità dell’esperienza leopardiana: l’evoluzione verso il pessimismo eroico, che proprio nella Ginestra trova forse la sua più completa enunciazione poetica. La mia citazione vuol essere anzitutto un invito alla rilettura attenta di quel componimento, in secondo luogo mio intendimento sarebbe quello di porre l’accento sulle battute finali nelle quali la condizione umana viene richiamata ad una dignità superiore sia nella sua dimensione di individuo sia verso i suoi simili. In estrema sintesi: che fare? E’ una domanda che rimbalza di bocca in bocca, tuttavia stranamente i demiurghi che affollavano i salotti televisivi un po’ di tempo fa sono spariti, come sono spariti gli alfieri del mercato, sommersi sotto la montagna di carta straccia a cui sono state ridotte molte azioni, obbligazioni, titoli e investimenti in genere…

Al di là di consigli di investimento più o meno validi, mi sembra essenziale riscoprire un diverso approccio alla vita e alle cose, e Leopardi può dirci molto da questo punto di vista. Nessuno sa quando il Vesuvio avrà un’eruzione. Come nessuno sa quale sarà l’esatta entità e portata della crisi che stiamo vivendo, e chi dice il contrario lo fa per evidenti secondi fini. Risulta dunque essenziale riscoprire una dimensione eroica, proprio nel senso leopardiano, cioè, in ultima istanza, di puro e semplice “esserci”. E non un esserci qualunque, ma, appunto un esserci con le nostre migliori qualità, capacità, istanze, attribuzioni. Come la ginestra, insomma, il cui sublime fascino non risulta minimamente intaccato dal pericolo incombente. Il parallelismo, che potrebbe forse far storcere il naso a qualcuno, vorrei venisse letto, invece, come una grande prova della caratura intellettuale di Leopardi, capace di cogliere in modo estremamente analitico un paradigma di umanità del quale, ancor oggi, sotto una prospettiva diacronica, abbiamo un estremo bisogno.
Se posso permettermi, tuttavia, di obbiettare qualcosa a Leopardi, pur non trovando parole migliori delle sue per descrivere la nostra attuale condizione, credo manchi una “chiusura” nella sua visione, ossia una intima motivazione esterna al soggetto che giustifichi davvero questo stato “eroico”. Mi giunge in aiuto Blaise Pascal, con la sua famosa frase, tratta appunto dai “Pensieri”: “Nello spazio, l'universo mi comprende e m'inghiotte come un punto; nel pensiero, io lo comprendo”. Questa espressione, pur nella sua sintesi, è stata partorita da un pensatore di matrice cristiana, pertanto risulta forse ineliminabile una presenza metafisica che, almeno, si caratterizzi, secondo una visione più vicina, forse a Feuerbach quale proiezione sull’”altro da sé” di istanze e necessità non immediatamente presenti nella comune essenza umana, per quanto risulti estremamente affascinante la tensione di cui Leopardi ci rende partecipi.

Di Alberto Leoncini


 
 
 
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