info@abcveneto.com

abcveneto.com mensile telematico
fotonotizie per la stampa: Marcellino Radogna
N. 63, VI anno, 2008 Lunedì 1 giugno  2009
 
 
 


  XII capitolo: Panta Rei

Di Maria Prosdocimo

“Dove sei stata ieri? Ti abbiamo cercata dappertutto!”; Costanza ed Emma le erano corse incontro all’entrata della scuola, qualche attimo prima che suonasse la campanella della prima ora. Costanza appariva piuttosto risentita, non riusciva ad abituarsi alle improvvise sparizioni di Maria. Il lato sfuggente dell’amica, così compagnona e simpatica ma al tempo stesso misteriosa ed ermetica, la mandava su tutte le furie.
Proprio ne le andava giù che non la mettesse a parte di ogni cosa, come faceva lei che invece non aveva segreti per le amiche.
“Dovevo fare una cosa, niente di importante.” rispose seccamente la bambina.
Non c’era verso di farle dire una parola di più a volte, lo sapevano ormai fin troppo bene, perciò Costanza andò subito al punto: “Ho scoperto che qui in paese c’è una casa maledetta. Me l’ha detto ieri la Beppa, quando sono andata a prendere il gelato”.
Il bar della Beppa era piccolissimo, stava tutto in una stanzetta di quattro metri per quattro; c’erano un frigo per i gelati, alcune poltroncine di plastica, due tavolini, qualche scaffale per le confezioni regalo di cioccolatini ed il massiccio bancone, dietro il quale troneggiava l’attempata matrona, il cui volto sembrava un'autentica maschera giapponese. Bianco di cerone, le labbra disegnate da un rossetto carminio acceso e i biondi, sottilissimi capelli raccolti in uno chignon impeccabile. Di età indefinibile, la donna aveva perso il marito già da una ventina d’anni e tutti, quando si riferivano a lei, la chiamavano “la vedova”.
Costanza la conosceva da tempo e le era ben nota la sua vocazione al pettegolezzo; se si desiderava essere aggiornati sul gossip locale, ma anche su quello di qualche paese limitrofo, era sufficiente andare a prendere un gelato o un caffè da lei.
C’erano ovviamente argomenti adatti alle diverse età degli avventori e il godimento maggiore la donna lo raggiungeva quando veniva a farle visita la sorella, una merciaia con il negozio in centro, che le recava puntualmente notizie fresche. Per quest’ultima i pettegolezzi perdevano interesse se non erano di giornata e dopo tre giorni, come per il pesce, non valevano ormai nulla.
Era quindi un via vai continuo e le brevi visite, un caffè e poi di nuovo al negozio, servivano esclusivamente al reciproco aggiornamento sui fatti del paese.
“Cosa ti ha detto la vedova?”, chiese Maria, incuriosita, mentre Emma cominciava a mostrare segni di nervosismo, ben conoscendo l’audacia delle amiche ed immaginando già cosa avrebbero deciso di fare. “Sembra che ci sia vissuta per un po’ di tempo una famiglia molto strana, sparita una notte di parecchi anni fa. Forse sono tutti morti e seppelliti ancora lì dentro...”, Costanza aggiunse altri particolari inquietanti al racconto che eccitarono la curiosità dell’amica, mentre, al contrario, l’ansia di Emma cresceva a dismisura.
“Andiamoci!”, esclamò Maria, “Può darsi che il nostro teschio c'entri con questa storia. Magari si tratta di qualcuno di quelle persone, magari è quello del padre. Sì! Potrebbe essere proprio così; il padre li ha uccisi tutti e li ha seppelliti nella casa, poi è andato a buttarsi nel fiume.” L’ipotesi le parve del tutto plausibile.
Emma protestò vivacemente, lei non avrebbe mai messo piede in quella casa, loro facessero pure quello che volevano ma senza di lei.
“Sei la solita cacasotto! Non ci succederà niente, faremo solo un piccolo controllo e se ci accorgeremo che c’è pericolo scapperemo subito. Puoi restare fuori, se vuoi, magari è anche meglio, così ci puoi avvisare se arriva qualcuno.”
La spedizione sarebbe avvenuta l’indomani pomeriggio.
“Cos’hai, Maria?”; quella sera, a cena, la madre l’osservava con insistenza e visibile apprensione. La piccola le sembrava troppo taciturna ed evasiva, cosa che strideva notevolmente con la sua indole vivace e la sua solarità.
“Niente mamma, sono solo stanca, oggi abbiamo fatto una corsa più lunga del solito.”, “Dove siete arrivate questa volta?”
Presa alla sprovvista la bambina raccontò di aver raggiunto una località vicina, inventando lì per lì alcuni particolari descrittivi della passeggiata.
“Ti hanno vista entrare in banca ieri pomeriggio. Cosa ci sei andata a fare?”, chiese infine la madre, guardandola dritta negli occhi per cercare di capire se la figlia le stesse raccontando la verità. “Volevo comperarmi con i miei soldi il biberon magico dalla Joppo; sai, quello che abbiamo visto l’altro giorno quando siamo passate davanti al negozio”, rispose Maria un po’ contrariata dal fatto che qualcuno si fosse preso la briga di riferirle i suoi movimenti.
“E lo hai preso?”, “Sì, ma poi ci ho ripensato e ho rimesso i soldi nel libretto.”
La donna la guardò compiaciuta, sapeva di avere una figlia responsabile anche se ancora così piccola, non le avrebbe mai dato i problemi che già il maggiore aveva iniziato a procurarle.
“Vai a letto adesso, domani devi essere fresca e pimpante per la festa di fine anno”.
Già! L’indomani a scuola ci sarebbe stata la festa di conclusione dell’anno scolastico, un appuntamento ormai tradizionale.
Se ne era completamente dimenticata.
Avrebbe visto per l’ultima volta Marco, il ragazzino sarebbe partito per sempre con la famiglia entro la settimana, destinazione Roma, dove suo padre aveva trovato un nuovo lavoro.
Nei mesi precedenti Maria aveva vissuto momenti di grande tristezza al pensiero di questo addio ma ora le sembrava di non sentire più nulla e si sorprese delle propria indifferenza.
Chissà come stava Costanza!
La mattina successiva, in classe, il maestro concesse ai ragazzini tutte e quattro le ore per la loro festa, raccomandando che non facessero troppo chiasso per non attirare l’attenzione e le eventuali proteste di alcuni colleghi stacanovisti che, al contrario, avevano negato ai propri alunni lo svago ed il divertimento della festa.
Le tre amiche parteciparono distrattamente ai festeggiamenti, il cuore e la mente altrove, cercando di non darlo troppo a vedere per non incuriosire alcune compagne gelose del loro sodalizio.
Marco, che aveva sempre eluso le attenzioni delle due spasimanti, mostrando un'indifferenza olimpica, avvertì uno strano dispiacere nel notare l’insolito e imprevisto disinteresse da parte loro per la sua imminente partenza.
“Ciao Marco, fai buon viaggio e divertiti a Roma”, gli gridò da lontano Maria, mentre cercava di raggiungere correndo Costanza che, diretta a casa, aveva già guadagnato l’uscita della scuola, senza nemmeno degnarlo di un saluto.
Nel pomeriggio le tre piccole detective si ritrovarono davanti alla chiesa e da lì si diressero alla casa maledetta.
Maria si guardò intorno più volte per accertarsi che nessuno le stesse spiando, se l’avevano vista entrare in banca qualche giorno prima qualcuno avrebbe potuto notarne gli spostamenti anche ora. La strada era deserta e solo il cigolio delle loro biciclette sulla strada risuonava nell’aria calda della siesta pomeridiana.
Procedettero in silenzio, pedalando verso la meta di quella rischiosa missione, congetturando e paventando ogni ipotetico risvolto, ciascuna in preda ai propri timori non confessati alle compagne. Da dietro ad una siepe alta ed incolta, apparve loro la facciata principale dell’edificio il cui ingresso, che si affacciava proprio sulla via, era sbarrato da alcune assi di legno inchiodate agli stipiti.
Le finestre erano state sbarrate allo stesso modo e la casa si sviluppava su tre piani. Una costruzione alta e stretta, le cui pareti esterne mostravano una incuria certamente antica di decenni. “Dai! Entriamo!”, disse Costanza, spostando una delle assi che sembrava schiodata.
Emma esitò un poco, non sapendo decidere se la attanagliasse di più la paura di seguire le amiche o quella di restarsene lì fuori da sola, alla fine gridò alle altre due di aspettarla e le raggiunse con il cuore in gola, quando ormai erano penetrate nell’oscurità della casa.
Maria accese una piccola torcia elettrica e cercò di illuminare a tratti la stanza in cui si trovavano; “Quella mi sembra una finestra, adesso vado a vedere e cerco di aprirla per fare entrare un po’ di luce. Aspettatemi qui!”, disse dirigendosi verso un piccolo spiraglio.
Il sole del pomeriggio penetrò nella stanza appena la bambina ebbe forzato uno degli scuri; si trovavano nella cucina.
Un velo spesso di polvere ricopriva ogni cosa e in effetti l’impressione che ebbero fu che la casa fosse stata abbandonata da qualcuno in fretta e furia, lasciandola tale e quale doveva essere stata quando era abitata.
Aprirono la credenza ed il cassetto della tavola; le stoviglie erano al loro posto e nel cassetto c’erano ancora una tovaglia di cotone con i tovaglioli coordinati.
Nello scolapiatti alcuni bicchieri e posate impolverati vi erano comunque stati riposti puliti. Salirono al piano superiore, percorrendo uno stretto corridoio sul quale si affacciavano alcune piccole camere da letto ed un bagno con bellissime maioliche azzurre.
All’ultimo piano, mansardato, fecero la scoperta più interessante; un unico ampio ambiente dove erano stati sistemati alcuni materassi, qualche mobile basso ricoperto di centrini fatti all’uncinetto ed uno scaffale pieno di libri, alto fino al soffitto. Maria si sarebbe volentieri fermata a sfogliarne qualcuno ma le altre insistevano per andarsene.
Il solo particolare che avrebbe potuto confermare il fantasioso racconto della Beppa sull’ipotetico affogamento di tutti i componenti della misteriosa famiglia nella nafta erano alcune grandi macchie scure e odorose sulle pareti interne delle stanze al piano terra.
Tornate giù, Maria avvicinò il naso al muro e avvertì distintamente l’acre odore di petrolio ma ormai sia lei che le amiche si erano convinte che la casa non avesse nulla di misterioso e tanto meno che fosse maledetta.
“Mi sa che questa non è una casa abbandonata. L’hanno solo chiusa per un po’ e magari se qualcuno ci vede qui dentro ci becchiamo una bella sgridata. E’ meglio se usciamo subito, qui non c’è niente per noi. Andiamo via, dai!”
Uscirono più velocemente di come non fossero entrate, felici di non aver fatto cattivi incontri o scoperte terribili, ma sconfortate per la mancata possibilità di aggiungere un tassello al puzzle misterioso del teschio rinvenuto giù al fiume.
La più delusa sembrava essere proprio Maria ma le amiche non ne potevano immaginare le vere ragioni. Un’atmosfera triste accolse la ragazzina, rientrata a casa che era ormai buio.
“Vieni Maria, ti dobbiamo dire una cosa.”, la madre le andò incontro con un sorriso mesto, “Il nonno è morto qualche ora fa. Papà è con la nonna, ti abbiamo aspettata, adesso andiamo lì anche noi.”
Nella mente della piccola un affollamento improvviso di immagini del vecchio turbinarono velocemente; le mani gigantesche dell’uomo che le accarezzavano la testolina, il sorriso bonario e complice che la tranquillizzava quando nonna le rivolgeva un rimprovero, la sua figura slanciata nel camice da lavoro, imbrattato di colore, che si stagliava nella debole luce dello studio dell’artista, all’ultimo piano della casa.
L’odore dei suoi oli e dei solventi, la sensazione piacevole delle setole dei pennelli fra le dita, tutto le tornò improvviso alla memoria. Chiuse gli occhi inumiditi dalle lacrime, rimanendo qualche istante ad assaporare quella sensazione che apparteneva a lei sola e che l’avrebbe legata per sempre al ricordo del nonno.
Giunte nella stanza da letto dove il corpo del vecchio era stato ricomposto e preparato per la veglia funebre, Maria rimase turbata alla vista del fazzoletto di cotone bianco che, fatto passare sotto al mento del defunto, gli era stato poi annodato sulla testa. Le spiegarono che l’operazione si era resa necessaria per tenergli chiusa la bocca, rimasta spalancata nel momento del decesso.
L’immagine della grande testa fasciata le fece venire in mente quella di un uovo pasquale e si vergognò per aver concepito quel pensiero divertente in un momento tanto triste.
La nonna era seduta accanto al letto del marito, non sembrava triste ma rassegnata alle circostanze. Maria non sapeva tante cose, non poteva sapere cosa potesse significare vivere per tanti anni accanto ad una persona ammalata di demenza senile. Fu in quell’occasione che sentì per la prima volta nominare l’impronunciabile termine “arteriosclerosi”.
Il nonno era morto per quella cosa e, dai discorsi che gli adulti avevano fatto senza badare troppo ai bambini presenti, sembrava che in famiglia ve ne fossero stati già numerosi casi. Maria voleva sapere e chiese alla madre cosa fosse l’arteriosclerosi. “E’ una ostruzione delle vene; si riempiono di grasso e il sangue non passa più, perciò l’ossigeno non arriva bene al cervello e il malato comincia a dimenticare le cose.”, “Ma anche se non si ricorda le cose non vuol dire che debba morire, mamma”, protestò la piccola che non riusciva a capire perché la mancanza di memoria portasse alla morte.
Presa dalle incombenze del momento la donna la liquidò dicendole che c’erano anche altre complicazioni in quella malattia che provocavano il decesso di una persona e che le avrebbe spiegato tutto e meglio un’altra volta.
Quella notte la ragazzina dormì un sonno agitatissimo ed ebbe il primo incubo della sua vita; sognò di viaggiare all’interno di corridoi stretti dalle pareti molli, erano delle vene enormi, dalle cui pareti interne le colavano addosso grosse gocce di grasso denso che la soffocavano. Si svegliò urlando, spaventando tutta la famiglia e, ancora in stato confusionale, urlò un’altra volta intravedendo nell’oscurità del corridoio le bianche lenzuola sullo stendibiancheria ad asciugare, scambiate per fantasmi.
La madre la confortò, restandole accanto fino a quando non si fu riaddormentata; quella ragazzina mostrava ogni giorno di più una sensibilità fuori del comune, avrebbe sofferto molto nel corso della vita, di questo la donna era sicura come era certa del fatto che nulla e nessuno avrebbero potuto evitare alla sua piccola il dolore destinatole.
Chi volesse scrivere all'autrice, può farlo a questo indirizzo di posta elettronica: casiestremi@yahoo.it

Di Maria Prosdocimo


 
 
 
Il mensile telematico abcveneto.com è gestito da Abcveneto, associazione culturale - codice fiscale 94113202606

HTMLpad