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fotonotizie per la stampa: Marcellino Radogna
N. 64, VI anno, 2009 Mercoledì 1 Luglio  2009
 
 
 


  Specchiamoci in Havel

Di Sara Miriade

Nella foto di copertina, Alessandro De Bei e Federico De Nardi, invitati a Treviso allo Specchio.

In occasione della manifestazione 'Treviso allo specchio', identità culturale luogo e localismi, tenutasi il 12, 13, 14 giugno nella Loggia dei Cavalieri, sono stati presentati da Alberto Trentin e Mauro Negretto libri, i cui autori o editori sono veneti. I temi affrontati non riguardano necessariamente la realtà locale, ma anche tematiche come l'immigrazione, la vita giovanile israeliana, le prospettive liberali in Europa, la memoria delle tradizioni e della narrativa, la storia romanzata della religione, la politica europea del dopocomunismo. Due convegni hanno aperto e chiuso questi incontri con gli autori e gli editori: il primo dedicato a 'L'identità culturale al tempo della globalizzazione' e il secondo all'editoria e al territorio; entrambi moderati da Maurizio Venturino. Ha piacevolmente interrotto la serietà della conversazione lo spettacolo musicale di Richy Bizzarro e Mirko Artuso. Sono stati lette pagine di letteratura italiana e straniera intervallate da canzoni in dialetto: un mix davvero sorprendente. Il Centro Giovani, organizzatore di questi tre giorni ha sorpreso la nostra piccola Treviso, che a parte qualche mecenate non conosce altra boccata d'ossigeno. Plaudo agli organizzatori che in questi tre giorni hanno fatto dialogare le idee e portato in uno spazio aperto alla cittadinanza, che -ahimè- si fatica sempre a coinvolgere, la discussione.
In questi giorni il nostro Presidente della Repubblica ha chiesto il silenzio sulle cronache poco edificanti delle nostre vicende politiche di quest'ultimo periodo in prospettiva del G8. Il silenzio concilia la meditazione. Mentre leggevo i pensieri di Vaclav Havel, più volte Presidente della Cecoslovacchia prima e della Repubblica Ceca dopo, raccolti e pubblicati dalla casa editrice trevigiana Santi Quaranta, con il titolo Un uomo al Castello e prensentati alla 'Treviso allo specchio', non ho potuto non pensare all'integrità e all'umanità di quest'uomo, che dovrebbe ispirare ogni cittadino che avverte il desiderio di avvicinarsi alla politica. Ho voluto riportare alcune sue riflessioni che ritengo particolarmente signifiative e che esulano dalle vicende della sua storia repubblicana per poter essere applicate a qualsiasi paese democratico.
“...ero considerato come uno che non fa sconti sulla propria verità, che è pronto a finire in galera, a rifiutare l'offerta di emigrare e che una volta tornato in libertà ha continuato a fare esattamente quel che faceva prima” (p. 31).
“Ritengo che gli uomini politici in carica abbiano già il dovere di fare ogni sforzo per la pace, per un mondo migliore e più giusto, sono -come dire- pagati per questo”(p. 32).
“E' triste vedere che i partiti, invece di cercare il sistema migliore per lo stato, cerchino anzitutto quello che, in un dato momento, è meglio per Iiloro interessi. Così le loro posizioni sul tema referendario, sull'elezione diretta del presidente, sul sistema elettorale e simili, cambiano continuamente, anzi direi che le proposte di cambiamento passano di mano in mano come il testimone” (p. 101).
“Dopo Monaco ci hanno tolto i Sudeti, dopo la divisione dello Stato abbiamo perso la Slovacchia. Dopo eventi del genere spunta il legittimo richiamo a un'ulteriore omogeneizzazione della società: ci liberiamo degli ebrei, poi dei tedeschi, poi della borghesia, poi dei dissidenti, poi degli slovacchi – a chi spetta il prossimo turno? Ai rom? Agli omosessuali? Agli stranieri in genere? E chi ci rimane? Solo i piccoli cechi purosangue con il loro giardino. Un atteggiamento o addirittura una politica simili non sono solo immorali sono un suicidio. Oggi, in un cocktail ideologico del tutto diverso e più presentabile, ricompaiono le stesse posizioni, che emergono con evidenza nell'antieuropeismo. Essenzialmente è lo stesso rapporto con il mondo: perché dovremmo consultarci con qualcuno, perché dovremmo ascoltare altri, perché dividere il potere con gli stranieri, perché aiutarli, cosa abbiamo a che fare con le loro normative (dietro questo si nasconde naturalmente l'avversione verso le “loro” norme morali)?” (p. 119).

“Credo che i partiti politici siano uno degli strumenti principali della politica democratica, ma non ne costituiscono il vertice o il significato. Dovrebbero essere il luogo dove la gente si può incontrare, può affinare le proprie opinioni, conoscere il parere di vari esperti, dove semplicemnte si formano personalità politiche e anche una parziale volontà politica. Non dovrebbero essere però più importanti delle istituzioni dello Stato, come il governo e il Parlamento. Non dovrebero essere superiori alle istituzioni, ma piuttosto servirle. Non dovrebbero essere luoghi dove nascono gruppi per prendere il potere, una sorta di metastrutture statali semiillegali, ma piuttosto dovrebbero essere solo la ciliegina sulla torta di una società civile riccamente strutturata, uno spazio nutrito dalla società che gli conferisce un'espressione politica da usare poi nell'agone politico. Solo la circolazione viva di diverse esigenze e forze sociali articolate -come lo permette ad esempio l'associazionismo- può dar slancio ai partiti politici, cioè costituirne la linfa vitale. Dove langue la società civile e l'associazionismo, lì prima o poi languono anche I partiti politici e rischiano di diventare una sorta di ghetto marcescente che ha l'unico scopo di portare I propri membri al potere. I partiti non devono essere più importanti dell'interesse pubblico, al contrario devono servirlo. La fedeltà allo stato, alle istituzioni pubbliche, agli ineressi della società oppure alla propria coscienza deve essere più importante della fedeltà al partito. Altrimenti I partiti producono entità anonime e impersonali che parlano solo la loro antilingua e verso le quali la gente mostrerà progressivamente una profonda avversione” (p. 120).

Di Sara Miriade


 
 
 
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