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N. 62, VI anno, 2008 Sabato 2 maggio  2009
 
 
 


  XI capitolo: Panta Rei

Di Maria Prosdocimo

Le tre piccole detective riesumarono i poveri resti, stando ben attente a non essere viste da alcuno. Maria si incaricò di tenerle a casa propria per quella notte, contando di raggiungere con le amiche la casa di Tarzan, l’indomani.
Giunte sul posto, l’uomo accolse Costanza ed Emma con un mezzo sorriso, sufficiente a dissipare il loro iniziale imbarazzo ed il timore che, non ostante tutto, continuava ad incutere loro. “Cosa fate ancora qua, voi due? E dov’è quella matta della vostra amica?”
Le due ragazzine risposero che Maria le avrebbe raggiunte subito; era rimasta indietro per sistemare la catena della bicicletta.
La piccola, già introdottasi nell’oscura cantina, passando attraverso un’apertura sul retro del corpo principale dell’abitazione, si era invece diretta a colpo sicuro verso la zona dove in una precedente occasione aveva visti accatastati alla rinfusa alcuni grossi tini e sotto al più piccolo di essi, completamente capovolto, spinse il fagotto che, per quel che ne sapevano le altre due, conteneva le ossa ma che in realtà era solo un ammasso di stracci ben legati fra loro. Avvicinò infine al piccolo otre gli altri tini più grandi che giacevano lì accanto e rapidamente uscì dalla cantina buia e umida, odorosa di muffa e di abbandono.
Il teschio spaccato e gli altri resti giacevano già dalla sera precedente in fondo ad una vecchia cisterna per il gasolio da riscaldamento, nel magazzino di casa sua.
Nessuno avrebbe mai pensato di guardare lì dentro; il padre non la usava più da tempo, avendola sostituita con una più capiente e moderna. Lì dentro, inoltre, non sarebbero entrati animali, attirati da qualche possibile odore che lei non percepiva ma che le ossa avrebbero potuto in realtà emanare. Quei resti sarebbero rimasti al sicuro almeno fino a quando Maria non avesse deciso di rimuoverli dal perfetto nascondiglio.
“Èccoêa qua! 'E to amighe non le ha la lengua longa come 'a tua, no l’é gusto a parlarghe!”, le si rivolse il contadino, salutandola a suo modo, “Dime ben, cossa situ drio combinár che te a chei oci spiritai?”
Maria sorrise maliziosamente e gli parlò di un lavoro per la scuola; una raccolta di piante e fiori per una ricerca di scienze.
“Se l'é par questo, te ghin trova tante qua intorno de erbe strane che no le nasse in altri posti.”, contento di darle quell’informazione, “Va' là in fondo”, aggiunse indicando un largo fosso che correva lungo il limitare del campo, “l'é sèrti fiori beissimi anca inte l’acqua e se te varda ben te pol veder anca bei rospi grossi. Atu mai vist 'na bissa ranèra? Se te si fortunada te pol veder anca quea, ma te deve moverte pian pian, par no farte sentir, senò la scanpa come 'na saeta.” La bambina fissò l’uomo negli occhi e vi indovinò una dolcezza che egli stesso non avrebbe mai ammesso di possedere. Salutarono e corsero via scherzando fra loro; la tensione che aveva preceduto la missione segreta lasciò il posto ad una allegria liberatoria, ad una eccitazione ciarliera.
La giornata luminosa e calda aveva per loro in serbo ancora qualche ora di spensieratezza e di giochi. Rientrarono in paese pedalando a rotta di collo, lanciando al massimo le biciclette e cantando le canzoni della radio.
Maria intonò, come immancabilmente succedeva, “Pensieri e parole”, all’epoca la sua preferita. La canzone di Battisti le ricordava l’estate precedente trascorsa con la madre e i fratelli al mare. Una magica combinazione di fortunate circostanze aveva reso indimenticabile quella vacanza, della quale la bellissima canzone era stata la colonna sonora. Giornate magnifiche ed interminabili, di gioia purissima e spensierata il cui ricordo le era rimasto impresso nella memoria insieme a quello delle straordinarie avventure immaginate e vissute all’ombra degli enormi scogli frangiflutti tra i quali, con la sorellina, aveva trascorso interi pomeriggi a raccogliere preziose conchiglie per originali collane.
Al mattino prestissimo, quando scendevano alla spiaggia per respirare l’aria salubre sulla battigia, il rosa dorato del sole appena sorto trasformava il mare sconfinato in una rilucente ed immensa distesa di argenteo velluto, vibrante di energia e tremolante di luce.
Ogni volta era un incanto e mentre già i fratelli si impegnavano nei loro giochi, Maria raggiungeva il limitare della scogliera e restava seduta per un po’, con i piedini immersi nell’acqua freschissima, a fissare silenziosamente l’immensità di quel continente liquido, in perenne mutamento.
Era in momenti come quelli che la bambina sentiva il mondo e lo accoglieva in sé per conservarne e proteggerne la bellezza.

Il mattino successivo, a scuola, durante la pausa della ricreazione, le tre investigatrici cominciarono a stendere un piano d’azione da seguire scrupolosamente nelle settimane successive. Costanza sarebbe partita per il mare di lì ad un mese, con destinazione una località che le altre due non avevano mai nemmeno sentito nominare: Costa Azzurra. Il nome suonava romantico ed esotico ai loro orecchi ma lei sembrava persino annoiata all’idea di quella trasferta. Ora ciò che più l’intrigava ed assorbiva ogni suo interesse era il mistero che circondava le ossa occultate nella cantina di Tarzan. Emma sarebbe rimasta in paese per tutto il periodo delle vacanze estive, ad aiutare i genitori al mulino e Maria ancora non sapeva se anche questa volta i genitori sarebbero riusciti ad assicurarle una vacanza di qualche tipo. Il padre era rimasto senza lavoro per tutto l’inverno e le entrate della madre erano appena sufficienti per pagare la rata del mutuo per la casa e la spesa di ogni giorno. Il massimo del lavoro investigativo si sarebbe dovuto svolgere in quel primo mese di vacanza, perciò ogni passo successivo andava studiato nei dettagli per non sprecare tempo in direzioni sbagliate.
Parve subito evidente come tutte e tre aspirassero ad essere lo Sherlock Holmes della situazione e che nessuna di loro avrebbe accettato volentieri il ruolo comprimario del mite Watson; la discussione assunse anche toni accesi ma alla fine, come sempre accadeva, fu Emma a dover cedere il passo alle altre due più agguerrite. La ragazzina avrebbe svolto un lavoro meno eccitante ma comunque fondamentale: trascrivere di volta in volta, durante le riunioni segrete in cui si sarebbero confrontate almeno ogni tre o quattro giorni, il resoconto degli eventuali sviluppi dell’indagine condotta sul campo dalle altre due. Costanza avrebbe cercato notizie utili consultando il maggior numero di copie del giornale locale conservate nell’archivio della biblioteca pubblica cittadina. Da tutti considerata studiosa e coscienziosa, non avrebbe destato sospetti e nessuno avrebbe trovato strano che passasse ore su libri e vecchi giornali anche durante le vacanze estive, quando i coetanei scorrazzavano per le strade, trascorrendo le giornate nell’ozio.
Il compito di chiedere informazioni direttamente a certe persone, invece, toccò a Maria; la ragazzina, particolarmente affabile, aveva il potere di mettere a proprio agio chiunque, anche parlando di argomenti spinosi o difficili da affrontare.
Avrebbe dovuto raccogliere il maggior numero di informazioni sui suicidi per annegamento nelle acque del fiume Livenza avvenuti negli ultimi decenni.
L’idea di nascondere il vero scopo delle interviste, inventando una ricerca sulla vita del fiume per la scuola, le sembrò davvero buona; simili espedienti avevano già funzionato in altre occasioni, perciò si convinse che anche questa volta sarebbe venuta a capo del problema senza troppe difficoltà.

La vecchia Joppo non era persona molto socievole, tuttavia più incline al sorriso di quanto ella stessa non intendesse concedersi.
Vendeva caramelle e dolciumi vari, la sua piccola bottega era, per i bambini del paese, una irrinunciabile meta durante le passeggiate in città con i genitori o dopo un pomeriggio di giochi in strada.
La porta d’entrata del negozio si spalancava sui tre scalini di legno che scendevano giù di mezzo metro, introducendo i clienti al seminterrato che ospitava l’esercizio, all’angolo tra Via del Girone e Borgo Aleandro.
Agli occhi di Maria gli scaffali vetrati addossati alle pareti, alti e scuri, sui quali la donna disponeva la mercanzia, coloratissimi per tutto quel ben di Dio, erano un richiamo irresistibile e l’acquolina le saliva in gola già nel momento in cui le sue nari inspiravano l’odore dolce e caramelloso di zucchero e agrumi.
La ragazzina non era propriamente una appassionata di dolciumi, preferiva di gran lunga un gustoso panino con il salame, ma le piaceva l’effetto cromatico creato dalle grandi quantità di colorate caramelle, lecca-lecca di tutte le fogge e cioccolatini, che traboccavano dalle capienti ceste appoggiate sul bancone di legno tirato a cera, così alto che la bimba arrivava appena a superarne con il naso il piano. Le uniche caramelle che acquistava erano dei minuscoli dischi di zucchero, leggermente bombati al centro e più schiacciati ai bordi.
Avevano colorazioni varie e delicate, piccole delizie di zucchero rosa, gialle, verdoline, azzurre e bianche. Quelle sì, le piacevano; ne mangiava piano, piano, una alla volta, sciogliendole in bocca senza fretta, perché zia Edda le aveva insegnato che le brave signorine dovevano masticare il cibo educatamente, senza far rumore e scioglierlo in bocca, quando fosse possibile, senza assumere espressioni del volto poco eleganti. La bocca doveva restare sempre chiusa durante la masticazione e mai troppo riempita. La lezioncina le era stata impartita all’età di cinque anni, davanti ad un sacchetto di gustose patate fritte.
La solerte zia l’aveva costretta a consumarne poche per volta, ammorbidendole in bocca fino a scioglierle del tutto prima di ingoiarle.
“Cossa vuto ancuò, Maria?”, le chiese quel pomeriggio la vecchia Joppo, vedendola entrare in negozio con la piccola mano destra serrata in un pugno stretto stretto.
Non era una bimba dispettosa, la vecchia ben lo sapeva, non le avrebbe certo tirato addosso, per scherzo, una cavalletta o qualche altro animale come avevano fatto talvolta certi ragazzacci del paese. La vecchia capì che la bambina stringeva sicuramente qualcosa di molto prezioso fra le dita ed era così, infatti. Tutti i suoi risparmi, il risultato di un intero anno di piccole mance extra, depositati fino a quel giorno nel libretto di risparmio personale che il maestro aveva acceso per ciascuno degli alunni. L’importanza di una educazione al risparmio, contrapposta allo sperpero, era materia di insegnamento alla scuola elementare e il maestro aveva inteso, al solito, offrire agli alunni una concreta dimostrazione del valore anche civico del “fare economia”, iniziandoli alla sana consuetudine del risparmio. Maria aveva prelevato il suo gruzzolo, lasciando tuttavia qualcosa nel libretto per non estinguerlo, ad uno scopo ben preciso: realizzare un sogno accarezzato da mesi.
Un’ora prima la piccola era entrata in banca piena di timore e visibilmente tesa; il libretto era intestato a lei, certo, i soldi erano i suoi, su questo non v’era alcun dubbio, eppure si sentiva come se stesse per commettere un’infrazione; temeva che qualcuno potesse persino opporsi alla sua richiesta, così si era avvicinata allo sportello con grande apprensione.
L’operazione, al contrario, era andata liscia come l’olio. Non aveva avuto alcuna difficoltà ad entrare in possesso dei suoi risparmi ed aveva ascoltato persino con attenzione, senza obiettare, le mille raccomandazioni dell’impiegato che le aveva sciorinato un predicozzo sulla difficoltà di risparmiare e sulla facilità a sperperare.
Uscita dalla banca, si era diretta con passo veloce e deciso al negozio di caramelle. “Voglio quello là!”, disse puntando l’indice in direzione dello scaffale sul quale, graziosamente adagiato su un supporto di velluto rosso, faceva bella mostra di sé un biberon giocattolo, in tutto simile a quelli veri.
Dentro alla bottiglietta un fluido magico, bianco come il latte vero, appariva e scompariva, a seconda che l’oggetto fosse tenuto in posizione orizzontale o verticale.
Era entrata una infinità di volte nella bottega, durante le ultime settimane, per guardare da vicino l’oggetto del desiderio. Lo aveva voluto fortemente. Allo stesso modo, qualche tempo dopo, avrebbe vissuto un’analoga smania di possesso per il “dolceforno”, uno stupefacente giocattolo a batterie, nel quale si potevano cucinare minuscole torte, vere come quelle fatte dalla mamma.
Depose i soldi sul bancone; la Joppo, con delicatezza, tirò giù dallo scaffale il giocattolo e lo ripose nella sua confezione di cartone con finestrella in plastica trasparente. Finalmente suo!
Maria uscì dal negozio, diretta a casa con il prezioso tesoro. Si sentiva leggera come una libellula e fissava la scatola senza nemmeno prestare attenzione a dove mettesse i piedi. Aveva forse già percorso metà della strada che portava a casa, quando si arrestò di colpo, avvertendo una strana sensazione, come se stesse riemergendo da uno stato di ipnosi. L’aria era tiepida, eppure Maria ebbe la percezione che un brivido lungo le percorresse il corpo. Con una sola mano allacciò ad uno ad uno gli alamari del golfino rosso, continuando con l’altra a stringere saldamente il giocattolo.
Rimase qualche minuto ancora soprappensiero, in preda a quella inaspettata sensazione di incertezza, poi sopraggiunse la consapevolezza di cosa l’avesse generata.
Aveva raggiunto il suo scopo; ciò che così a lungo aveva desiderato era lì, fra le sue mani, le apparteneva finalmente e la sua ansia di possesso era stata completamente appagata. Perché non era felice, allora? Da cosa nasceva quel persistente senso di insoddisfazione, di delusione? Perché ora quel giocattolo non le sembrava già più così speciale?
Con la stessa determinazione con cui si era presentata in banca per prelevare il denaro, fece marcia indietro e tornò alla bottega della Joppo.
Alla donna bastò un’occhiata, Maria non dovette nemmeno dare troppe spiegazioni. Il biberon fu rimesso al suo posto sullo scaffale e i soldi tornarono in tasca alla cliente pentita. “Devi essere sicura di quello che vuoi, piccolina; non sempre potrai tornare indietro nella vita. Ricordatelo!”
Maria fu felice della comprensione della donna e, ringraziatala mille volte, tornò di volata in banca, a mettere nuovamente al sicuro i suoi spiccioli.
Cercò l’impiegato che l’aveva servita poco prima il quale sistemò le cose, guardando la ragazzina con un sorriso benevolo e assicurandole che mai una sua raccomandazione aveva trovato una così veloce corrispondenza.

Chi volesse scrivere all'autrice, può farlo a questo indirizzo di posta elettronica: casiestremi@yahoo.it

Di Maria Prosdocimo


 
 
 
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