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N. 68, VI anno 1 novembre  2009
 
 
 


  Orecchiette e capelli sale e pepe per la sesta serie di “Un medico in famiglia”

Di Di Alberto Leoncini

Su RAI 1 sta passando la sesta serie di “Un medico in famiglia”, di certo una delle più longeve “epopee” televisive degli ultimi anni. La famiglia Martini più o meno allargata e avvicendata allieta ancora le serate del martedì…
Sinceramente in questi tempi grami e bui credo sia una delle poche proposte decenti e rilassanti dei nostri palinsesti, tutti invasi da ciambellani del Sultano, da film più o meno violenti, da polizieschi d’accatto e da insostanziali trasmissioni contenitore. Chi segue le varie edizioni- non sarà filmografia d’assai per palati raffinati, ma almeno c’è il buon gusto- ha tuttavia modo di vedere come siamo cambiati e di quanti passi abbiamo fatto indietro nell’ultima decade. Non voglio improvvisarmi sociologo, tuttavia non posso sopportare quelle derive snob che schifano come se avessero la peste tanti prodotti ben al di sopra della decenza, come “Un medico in famiglia”, tirando nei fatti la volata alle peggiori e più triviali produzioni da oltreoceano. E non sarebbe affatto la prima volta che ci si troverebbe a rivalutare, col senno di poi, espressioni artistiche del passato prima liquidate con sufficienza.
Certo, una volta non avevamo Facebook e i cellulari erano dei mattoni gracchianti che fanno sorridere, tuttavia ci si poneva almeno il problema di ricercare dei valori condivisi di riferimento sui quali strutturare quella unità sociale di base che è la famiglia. Si badi che “i Martini” (la famiglia protagonista della serie) non sono certo espressione dell’Italia incolta, volgare e plebea nell’accezione più deteriore del termine: nonno Libero ha un passato nel sindacato (e come non ricordare la famiglia di ebrei salvati con cui tedia i parenti!), Lele è un medico con una forte dimensione deontologica anche se commette degli errori, specie nell’educazione dei figli, Maria vuole emularne le orme e anche il lutto per Elena (moglie di Lele e madre dei tre figli) è sempre vissuto con dignità. E potrei continuare. I Martini sono l’espressione più vera di quello che c’è di buono in Italia, e francamente non nascondo di sperare, per quanto possa essere effimero e transeunte, che attraverso serie televisive come questa possa esserci un contributo al progresso del nostro Paese. Lo sviluppo senza progresso di cui siamo stati vittime dal dopoguerra a oggi sta mostrando il suo lato peggiore e più abbruttito, non solo in politica, ma anche nell’economia e nelle relazioni in genere. Segna il passo con la complicità della crisi che, oltre a svuotare le fabbriche, lascia un desolante panorama di aree industriali abbandonate, scheletri abusivi, aree ambientali devastate che nessuno sa se si potranno mai recuperare, anonimi centri commerciali e infrastrutture più o meno malandate.
La nostra è una società violenta e senza rispetto per chi non risponde a canoni più vicini a disvalori che a virtù civiche. Ebbene, pur con tutte le contraddizioni del mondo contemporaneo (matrimoni finiti, dialettica aspra genitori/figli, difficoltà di integrazione e convivenza…) i “Martini” cercano comunque di affermare una soluzione positiva e propositiva. Non si tratta qui di abbarbicarci su un passato decotto e melenso, spesso idealizzato, ma di coglierne l’eredità senza codine nostalgie.
Si potrà obiettare il ritorno concentrico di stilemi già visti, ora in crisi adolescenziale ci sono Annuccia e Corinne e non più Maria e Reby, Melina e Dante scimmiottano Cettina e Giacinto e così via, ma tutto risulta complessivamente piacevole e più equilibrato rispetto all’ultima serie con un improbabile Kabir Bedi e la parallela assenza proprio del “medico” che denominava la serie… Un medico tornato senza la più nazionale “Lancia” ma con un rutilante SUV e qualche capello bianco oltre a disponibilità economiche più ampie che non rendono preoccupante la scadenza della rata del mutuo.
Si dice che questa sia l’ultima serie della saga; è un discorso già sentito e non si sa mai che gli sviluppi possano essere diversi, in fin dei conti pochi attori hanno rifiutato la rimpatriata e, mi auguro, non solo per questioni di cassetta.
A mio avviso il successo della serie si deve proprio agli attori che riescono, compito tutt’altro che facile, ad immedesimarsi nella realtà comune interpretandola con originalità e stile; ricordo che il cast è comunque di tutto rispetto: Lino Banfi, Lunetta Savino (recuperata da una colonna del cinema d’essai come Ozpetek), Scarpati, con una lunga esperienza teatrale fino alla bravissima Margot Sikabonyi che pur essendo giovane sta già dimostrando una ottima personalità di artista.

Di Alberto Leoncini


 
 
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