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N. 68, VI anno 1 novembre  2009
 
 
 


  XVI Capitolo: Panta Rei

Di Maria Prosdocimo

L’interno della casetta era altrettanto malridotto dell’esterno; al centro dell’unica stanza un tavolo in formica con quattro sedie. Una credenza con alcuni ripiani pieni di vecchie stoviglie stava appoggiata al muro; poco distante, sporgente dal muro, una mensola sulla quale erano appoggiati un fornello alimentato a gas, un catino smaltato ed alcuni secchi di plastica impilati l’uno sull’altro. Guardando a sinistra, una pesante ed ampia tenda a righe rosse e beige, agganciata ad una tubo fissato ai due lati opposti della stanza, separava la zona giorno da quella notte. Vally non aveva avuto il tempo di tirarla e la bambina poté così scorgere il letto matrimoniale ed un prezioso séparé con motivi floreali simile a quelli giapponesi.
Forse un attrezzo del mestiere, una di quelle cose che servono a fare un po’ di scena, pensò Maria, colpita dal contrasto fra il singolare oggetto e l’aspetto misero del resto della stanza.
“Sentete! La bevitu voentieri 'na Coca-Coêa?”, le chiese con gentilezza la donna, “No, grazie signora, non ho sete”, rispose arrossendo la piccina che, al contrario, in quel momento avrebbe svuotato d’un fiato una caraffa intera d’acqua ma che, allarmata dall'evidente mancanza di igiene della stanza, si sentiva sulle spine, riuscendo a fatica persino a restare seduta sulla sedia offertale.
“Varda che i me biceri i é nèti, e mi no beve mai co 'a boca daêa botilia, se l'è par questo!”, “No, no, non è per questo, signora, davvero non ho sete.” “Va ben! Parlén alora, fa' presto che o da far, el tenpo l'é denaro. Cossa vutu savér?”, disse Vally, spiando l’ora nella sveglia sulla credenza.
Maria prese coraggio, in fondo quella donna era molto gentile, cercò tuttavia di prenderla alla larga: “Sto facendo una ricerca per la scuola, signora”, cominciò, notando lei stessa come stesse ripetendo forse persino eccessivamente la parola “signora” e come ciò potesse rischiare di apparire quasi una presa in giro, data la situazione, “il nostro maestro ci ha detto che dobbiamo trovare informazioni sul Livenza e sulle storie che lo riguardano, comprese quelle delle persone che hanno avuto un rapporto più diretto con il nostro fiume.”
Vally, aggrottò le sopracciglia, ancora non riusciva a capire dove volesse andare a parare la piccoletta. Non voleva interromperla ma cominciò a temere che le domande potessero riguardarla direttamente, che volesse indagare, chissà per quale ragione, sulle sue attività.
“Mi hanno raccontato di suo fratello Ernesto...”, aggiunse Maria con un filo di voce, rimanendo sospesa e in attesa della sua reazione: “E cossa i te varía contà de cussì curioso su Ernesto?”, chiese Vally, a quel punto decisamente disorientata, “Mi hanno detto che potrebbe essere morto nel fiume ma che nessuno lo sa perché non hanno mai trovato il corpo e nessuno l’ha nemmeno più visto in giro.”
Il volto di Vally fu attraversato da un’ombra che di colpo la fece sembrare più vecchia e le indurì l’espressione. Rimase qualche istante in silenzio, fissando un punto preciso dietro le spalle di Maria; la bambina non le aveva notate ma appese alla parete c’erano alcune foto di famiglia incorniciate, fra queste un bel ritratto del giovane.
“Girete, várdeo là quant che el jèra bel!”, le disse la donna, indicando la foto. “No 'l jera cativo, satu? Ma purtropo no 'l jera bon de star lontan daêa botilia e aêa fine l'a pagada cara...”, “ Allora è annegato nel fiume, signora?”, chiese la bambina con un certo imbarazzo, sentendo di aver involontariamente provocato nuova sofferenza alla donna, “No, no; no l'é negà,...come atu dita che te te ciama? Ah, sì, Maria. No l'é 'negà, Maria, però l'é mort lo stesso, l’anno scorso.”
Le raccontò che una sera il ragazzo era scappato con la sua barca; s’era preso una sbornia colossale che lo aveva fatto andare fuori di testa completamente. Alcuni pescatori lo avevano ritrovato due giorni dopo mezzo morto dentro la barca incagliatasi in un canneto a parecchi chilometri di distanza dal paese. Nessuno lo aveva riconosciuto; non avendogli trovato addosso documenti ed essendo egli in condizioni pessime era stato ricoverato nell’ospedale più vicino al luogo del ritrovamento.
Il giovane aveva perso completamente la memoria e non aveva saputo aiutare gli investigatori a risalire alla sua identità.
La stampa locale aveva riportato la notizia, un trafiletto di poche righe, che si trattasse di uno sbandato era più che evidente e non valeva certo la pena di darsi tanto da fare.
Vally ne aveva denunciato la scomparsa ma in paese non le avevano dato troppo peso; il fiume era stato dragato per una mezza giornata poi le ricerche erano cessate.
Nel caso fosse annegato il Livenza avrebbe restituito il corpo dopo qualche giorno, una settimana al massimo, era accaduto in tutti gli altri casi di annegamento, accidentale o volontario, il fiume non faceva certo distinzioni. Finalmente, dopo più di due mesi, Ernesto aveva ricordato qualcosa ma le sue condizioni erano peggiorate talmente che gli rimanevano poche settimane di vita ancora. La donna era stata informata dai carabinieri della stazione di Motta. La cirrosi lo aveva devastato; Vally era riuscita a raggiungere l’ospedale grazie all’interessamento di un cliente di buon cuore che, impietosito dalla inconsolabile disperazione dell'amica, l’aveva accompagnata in lambretta fino a destinazione.
“No sta dírgheo a nissun che té o portà mi fin qua”, le aveva intimato l’uomo, “te spete là”, aveva aggiunto, indicando un punto abbastanza nascosto e distante dal nosocomio, “e no star massa, senò vae via!”
Vally era corsa via precipitosamente e quando era entrata nella camera che puzzava di vomito e disinfettante aveva sentito il cuore scoppiarle nel petto, alla vista del corpo consunto e gonfio del fratello delirante.
“Sei tornata, mamma, finalmente...”, le aveva sussurrato il ragazzo aprendo gli occhi per un istante e guardando la sorella china su di lui, prima di spirare. “Ci hai messo poco; tutto ok, Vally?”
La ragazza non aveva risposto, era salita sul sedile posteriore della lambretta senza dire una parola e l’uomo non aveva insistito.
Sulla strada del ritorno Vally aveva pianto tutto il tempo, sommessamente, la fronte appoggiata sulla schiena del conducente.
Nessuno l’aveva aiutata, nessuno, in quei due mesi, le aveva mai nemmeno chiesto se ci fossero notizie di Ernesto.
Aveva fatto seppellire il fratello nel paese d’origine dei genitori, spendendo tutto il poco denaro che era riuscita a risparmiare e a nascondergli negli ultimi anni, perciò a Motta nessuno aveva saputo nulla di ciò che era accaduto veramente e lei non ne aveva fatto parola con i clienti, le uniche persone che la frequentavano.
Solo quel cliente fisso le aveva teso una mano, probabilmente per ragioni egoistiche, in fondo non era divertente fare l’amore con una femmina sempre triste, soprattutto avendone conosciuto e apprezzato in precedenza l’allegria e la vivacità.
Vally era giovane ma non più ingenua, non si faceva illusioni sulla bontà delle persone, che nessuno faceva niente per niente lo sapeva bene, tuttavia aveva voluto disperatamente credere nel gesto spontaneo e gratuito.
Lui non le aveva chiesto nulla in cambio ma da quel giorno lei non aveva più accettato i suoi soldi.
Maria rimase profondamente colpita dal doloroso racconto e più ancora dalla trasparenza di quei due occhi verdi come l’acqua del fiume, dov’era più pulita. Vally era davvero una ninfa, selvaggia e pura come le cose intorno a lei, forse era questo che gli uomini cercavano. Se ne vergognavano, non volevano farsi vedere insieme a lei ma non ne potevano fare a meno, forse ripensavano ai momenti con lei anche quando recitavano la parte dei bravi mariti e padri di famiglia, la domenica alla messa.
“Dès' deve proprio mandarte via, picinina, o un mucio de robe da far, vien a trovarme ancora se te vol, sensa farte veder magari, senò chisà cossa che pensa la 'sént.”
Sulla strada del ritorno la bambina non riuscì a smettere di pensare alla povera donna, così sola e così grande nella bontà, s’era già dimenticata del motivo che l’aveva spinta a farne la conoscenza. Raggiunse il luogo dell’appuntamento e vide che le altre due erano già lì e stavano giocando a “un, due, tre, stella”. “Perché hai quella faccia?”, le chiese Emma che aspettava il suo turno e, per prima, l’aveva vista sopraggiungere, “Non ho nessuna faccia, sto solo pensando...”, rispose Maria che non desiderava condividere con le amiche quello stato d’animo imprevisto, loro non avrebbero capito, l’idea che si erano fatte della Vally era come quella che tutti avevano in paese e non l’avrebbero cambiata ascoltano il suo racconto.
Decise che avrebbe detto loro il minimo indispensabile, sentendo che sarebbe stata la cosa più giusta, in questo caso; il suo piccolo e personale segno di rispetto per una donna che meritava comunque un certo riguardo, sebbene tale possibilità non fosse nemmeno contemplata dalla generalità delle persone.
“Le ossa non sono di Ernesto.”, riferì senza aggiungere altro, “Te l’ha detto la Vally?”, chiese Costanza che aveva smesso di saltellare fra i riquadri disegnati sul marciapiede col gesso. “Non è stato necessario chiederglielo, lui è partito per l’estero in cerca di lavoro.”
Maria aveva mentito, ma non si sentì in colpa per questo, in fondo ciò che aveva saputo non aveva niente a che vedere con la storia del teschio.
“Che tipo è?”, domandò Emma, intuendo che l’amica nascondeva qualcosa, “Una ragazza come tante altre...”, rispose di getto Maria, “Beh! Come tante altre non direi proprio.”, s’intromise Costanza, “Cosa ne vuoi sapere tu? Mica ci hai mai parlato insieme!”, disse irritata Maria, “Perché giudichi senza sapere? Cosa ne sai di lei?”
L’inspiegabile contrarietà dell’amica disorientò Costanza che, abbandonato l’argomento, cambiò discorso.
“Noi, dal prete, abbiamo trovato un sacco di notizie su nascite e morti in paese negli ultimi cinquanta anni. Nei registri ci sono scritte tante cose, anche sulle persone che si sono buttate nel Livenza, ma i loro corpi sono sempre stati ritrovati.”
“Siamo punto e a capo”, disse Maria scrollando la testa.
La delusione che quelle ossa non appartenessero ad Ernesto fu grande in Costanza che aveva sperato in tale possibilità; sarebbero finalmente venute allo scoperto, raccontando ogni cosa ai genitori prima della sua partenza e tutti avrebbero saputo della loro importante indagine.
L’immagine di loro tre davanti ad un pubblico di cittadini plaudenti, mentre ricevevano un encomio solenne e il meritato riconoscimento delle autorità, era stata per giorni al centro dei suoi pensieri.
Chissà come l’avrebbero invidiata i compagni di classe! Peccato che Marco fosse già partito, magari quella celebrità l’avrebbe resa più interessante ai suoi occhi.
“Dobbiamo cercare ancora”, affermò risoluta, rivolta alle altre, “ci sarà pure qualcuno che conosce delle storie che non sono state scritte in nessun libro. Adesso che ci penso il teschio potrebbe essere di qualcuno ucciso durante la guerra.”
Maria trasalì, le sue pulsazioni aumentarono velocemente: “Non credo proprio”, disse con voce un po’ rotta, “E’ passato troppo tempo e c’è stata anche l’alluvione nel Sessantasei, secondo me il corpo è di qualcuno morto più recentemente, un anno o due al massimo.”
Non disse nulla alle amiche ma l’indomani sarebbe andata alla cascina di Luigia, la vecchia materassaia che aveva più rughe in faccia che capelli in testa. Ottant’anni ben portati, non ostante la vistosa gobba, eredità di una vita passata curva sul lavoro, a cucire materassi e guanciali.
Nel periodo estivo l’aiutavano sempre un certo numero di altre donne più giovani le quali, mentre maneggiavano con maestria gli scardassi separando le fibre di lana, parlavano a ciclo continuo, scambiandosi informazioni e notizie, spettegolando e confidandosi fra loro, in una sorta di filò fuori stagione, precluso all’universo maschile.
Maria lo sapeva e la mattina seguente, di buonora, si presentò a casa della vecchia, offrendosi di aiutarla.
“Ma brava la me putèa! E come staêa la maestra?”.
La vecchia si riferiva sempre così a sua madre, quando le chiedeva di lei o le mandava i suoi saluti, in segno di rispetto per il ruolo sociale della donna ma soprattutto per gratitudine verso la sola educatrice che avesse saputo comprendere e indirizzare un suo nipote scapestrato ed indomito, ora bravo studente di ragioneria.
“Sta bene, grazie signora Luigia. Posso restare allora?”, chiese nuovamente Maria con insistenza, “Certo che te pòl, però te deve sgarbír la lana co 'e man, no posse darte l’atresso, i ciodi i é pericoêosi e ti no te si pratica, no voi ris'ciar.”, “Va benissimo, non si preoccupi, mi divertirò lo stesso.” Erano sopraggiunte, nel frattempo, tre donne con i loro begli scamiciati di mussolina leggera sulle sottovesti di nylon, gli ampi grembiuli ben annodati in vita e le chiome raccolte in colorati fazzoletti, per proteggere i capelli da polvere e residui di lana.
“Ven 'na nova jutante!”, disse ridacchiando la più anziana delle tre, “Benón, benón, Luigia, sten 'tente a quel che disen...”; Maria sorrise e non ribatté, conosceva bene quegli sguardi complici e furbeschi, li aveva già visti sui volti di altre operaie durante la vendemmia nelle vigne della nonna.
La cardatura veniva fatta all’aperto, all’ombra del portico spazioso antistante la casa.
Le donne sparpagliavano la lana a terra, su grandi teli di plastica ben distesi e tirati poi, sedute in cerchio su sgabelli di legno come quelli usati durante la mungitura, iniziavano il ripetitivo lavoro e alla fine della giornata i vaporosi cumuli di filamenti bianchi e gialli sembravano tante nuvole scese fino al suolo.
La polvere sollevata era sempre parecchia e di tanto in tanto un colpo di tosse scuoteva il petto florido e sudato di qualche donna, un’altra si stropicciava gli occhi perché un pezzetto di fibra le si era infilato sotto la palpebra; l’umore tuttavia era sempre alto ed i racconti spesso intriganti.

Chi volesse scrivere all'autrice, può farlo a questo indirizzo di posta elettronica: casiestremi@yahoo.it

Di Maria Prosdocimo


 
 
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