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N. 67, VI anno 1 ottobre  2009
 
 
 


  Aereo, ho perso la mamma

A cura di Alberto Leoncini

Questo simpatico gioco di parole che ci evoca alla mente uno dei più grossi successi del cinema anni ’90- per quanto non sia esattamente il mio genere- in realtà nasconde un grido di denuncia inserito nel documentario “Tutti giù per aria” che narra le vicende della “privatizzazione” di Alitalia dal punto di vista dei lavoratori, o, per essere più precisi, dal punto di vista del “fronte del no”.
Con la regia di Francesco Cordio e da un’idea di Alessandro Tartaglia Polcini, cassintegrato della ex compagnia di bandiera, vengono ricostruiti gli ultimi convulsi mesi della “vicenda Alitalia”.
Come ormai è noto si è trattato di una operazione truffa in cui tutti ci hanno perso, a parte gli amici del nostro premier, che hanno potuto prendersi, in una situazione di conflitto di interessi, ciò che hanno voluto dell’attivo (neppure tutto l’attivo!) e lasciare alla mano pubblica tutto ciò che non li aggradava, passività in primis. Di certo chi ne ha risentito direttamente sono stati i dipendenti, visto che la CAI si è trasformata in una compagnia-bonsai strutturata non tanto su strategie imprenditoriali nuove rispetto alla vecchia gestione, quanto piuttosto sulla compressione dei costi legati al lavoro e ai diritti con questo riconnessi. Non che ciò abbia avvantaggiato l’utenza, ma per questo ampio quanto doloroso capitolo rimando alla folta serie di articoli e servizi televisivi di cui siamo stati testimoni specie nella scorsa estate. La scritta che evocavo nel titolo, infatti, era riportata su uno dei cartelloni esposti in uno dei sit in di protesta organizzati dalle assistenti di volo che richiedevano l’esenzione dal servizio notturno per poter stare con i propri figli, come da previsione di legge. Un aspetto del genere non dovrebbe essere riconnesso ad una rivendicazione ma in quell’assurda vicenda è capitato anche questo.
Ecco perché CAI può essere definita la “compagnia di bandiera”: è il degno vettore di rappresentanza di quello che si vive e respira oggi in Italia: clientele, opportunismo e riduzione dei diritti. Più rappresentativo di così! Risulta evidente la portata sociale della questione poiché la progressiva deregolamentazione dei rapporti di lavoro e la perdita dei diritti fondamentali è, purtroppo, una costante che sta coinvolgendo tutti i comparti e le categorie. Abbiamo visto i precari della scuola a settembre, ma potremmo citare ad una ad una le aziende che, con la scusa della crisi, fanno cadere la mannaia dei licenziamenti.
L’entusiastica accoglienza tributata al documentario, che ha ricevuto notevolissimi echi stampa, palesa che l’opera di controinformazione è riuscita, per quanto i danni siano difficilmente riparabili, complice una strutturazione dinamica e al contempo precisa, un eccellente attore protagonista, Fernando Cormick, che ci accompagna lungo tutte le principali tappe della vertenza, correlate da interviste ai protagonisti e ai principali esponenti politici e istituzionali che forniscono punti di vista peculiari. Hanno tra l’altro preso parte al documentario Dario Fo, Ascanio Celestini e Marco Travaglio, anche se i veri protagonisti sono le persone che cercano di difendere il proprio lavoro e la propria professionalità da attacchi spesso difficili da giustificare con la scusa della ristrutturazione. Il successo è una magra consolazione, perché ormai la stalla è chiusa quando i buoi sono scappati: il caso Alitalia ha segnato una triste pagina di malgoverno delle aziende a capitale pubblico le cui potenzialità industriali e reddituali sono state sistematicamente tarpate da una classe dirigenziale troppo collusa con le logiche elettorali e di bottega. Anzi, forse non è nemmeno detto che sia finita, visto che ancora non è chiaro quale sarà il destino di Tirrenia. Il sospetto è che, ancora una volta, dovremo pagare il prezzo per gli errori e le incapacità della nostra classe politica. Una tassa sul malgoverno, insomma, che coinvolge in un ampio abbraccio tutto l’emiciclo parlamentare, dal buon Prodi, ex a.d. dell’IRI nonché figlio spirituale di Andreatta (quello che sosteneva il deficit cronico nel bilancio pubblico) che ogni piè sospinto ci agita lo spauracchio del risanamento, fino a Berlusconi per il quale la cosa pubblica è alla stregua di una qualsiasi altra merce di scambio. Non è un caso che le uniche aziende pubbliche che fanno utili siano quelle in regime di monopolio e che trattano beni a domanda rigida, prodotti energetici, anzitutto.
Io sono tuttavia convinto che una rinnovata presenza pubblica sia non solo necessaria ma anzi irrinunciabile in settori strategici e assolutamente vitali per l’economia del Paese. Il nodo che non sempre è chiaro sta proprio nel fatto che, se lo Stato funziona male, il privato può funzionare peggio; non che in settori come il trasporto aereo non possano esservi politiche di concorrenza leale e onesta, ma la destabilizzazione di Alitalia come vettore di riferimento ha di certo ingenerato uno squilibrio nel mercato di cui stanno pagando le conseguenze moltissime altre realtà imprenditoriali, anche nel nostro Veneto, come ad esempio Alpi Eagles e, più di recente, MyAir lasciando il comparto nelle braccia degli operatori stranieri (Lufthansa/Lufthansa Italia/Air Dolomiti, Ryan Air, Easy Jet, Air France/KLM…).
Credo infine che non si possa mai essere felici quando una persona perda il lavoro, ma peggio ancora è quando questo evento sempre drammatico è dovuto a errori e cause volutamente generate da altri, e sotto questo aspetto mi auguro che i fascicoli aperti a carico dei vari amministratori di Alitalia possano portare sia a far luce sui troppi coni d’ombra della vicenda sia a punire le responsabilità, ma, come si dice l’Italia è la patria del diritto e la tomba della giustizia.

Per informazioni sul documentario, acquisti e contenuti extra: www.tuttigiuperaria.it
Il ricavato dalle vendite verrà devoluto, dopo aver coperto le spese di produzione, agli ex dipendenti privi di prospettive professionali.

A cura di Alberto Leoncini


 
 
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