info@abcveneto.com

abcveneto.com mensile telematico
N. 67, VI anno 1 ottobre  2009
 
 
 


  XV Capitolo: Panta Rei

Di Maria Prosdocimo

“Mamma, perché non possiamo entrare nella cantina grande di nonna?” Erano da poco passate le otto del mattino, sedute l’una di fronte all’altra al tavolo di cucina davanti alle rispettive tazze, stavano entrambe facendo colazione, inzuppando tocchi di pane biscottato nel caffelatte fumante. La donna restò in silenzio alcuni istanti, poi, dopo un lungo sospiro: “Sono accadute delle cose molto tristi alla mia famiglia, Maria, e di alcune in particolare voglio parlarti quando sarai un po’ più grande.”
Cercò di non incoraggiare l’insistenza della figlia sull’argomento ma si rivelò un inutile tentativo; sapeva fin troppo bene che quando la piccina voleva risposte niente poteva indurla a desistere.
Incalzata, decise che una spiegazione veritiera, seppur priva di certi dettagli, sarebbe stata più onesta e rispettosa dell’intelligenza della sua creatura che una fantasiosa bugia, perciò le raccontò con serenità e pacatezza ciò che un tacito accordo fra gli appartenenti al clan familiare occultava sempre nelle conversazioni in casa di nonna.
Maria non aveva mai conosciuto il nonno materno, del quale tutti raccontavano sempre ogni bene; ne aveva visto spesso il bel ritratto ad olio fatto dall’altro nonno che, per eseguirlo, si era servito di una vecchia foto di mamma, facendone poi omaggio alla nuora, verso la quale nutriva un affetto sincero.
Lo sguardo mite e triste dell’uomo della tela, appesa nel salotto azzurro, le aveva sempre suggerito l’idea di un’intima bontà, di un’insondabile malinconia. Il nonno era morto suicida quando Gabriella era solo un’adolescente ed il tragico evento aveva segnato profondamente ed irrimediabilmente la vita della consorte, già provata dalla disgrazia di un figlio ammalato.
Il gesto disperato del marito non solo l’aveva gettata nello sconforto ma aveva anche inaugurato una lunga stagione di gravi difficoltà economiche e disagi esistenziali per tutti i componenti della famiglia.
Nell’oscurità della cantina l’uomo aveva compiuto il gesto estremo, in un luminoso mattino di giugno.
Lì lo aveva rinvenuto la moglie.
Maria ascoltò in silenzio il racconto, percepiva la pena e la fatica con cui la madre scandiva ogni singola parola, scelta fra quelle che meglio potessero spiegare senza troppo turbare la piccina.
“Ho capito, mamma. La nonna non vuole che giochiamo dove è morto il nonno; sarebbe come fare chiasso al cimitero, vero?” La madre sorrise dolcemente, chinandosi su di lei per un bacio: “Proprio così, amore, ed io conto su di te per fare in modo che questo non succeda. Mi prometti che, per ora, non dirai questa cosa a nessuno, né ai tuoi fratelli, né ai cuginetti?”, “Certo, mamma, non dirò una parola.”
C’era qualcosa in Maria che la rendeva la confidente perfetta; chiunque, aprendosi con lei, sentiva di potersi affidare e finiva col raccontarle anche cose che non avrebbe mai detto ad altri.
Un segreto detto a lei restava tale per sempre e nemmeno quando il rivelarlo poteva facilitarle la vita lei veniva meno al giuramento del silenzio.
Capitava pertanto che in certe situazioni si trovasse nella posizione di chi è depositario di più confidenze fatte da persone diverse, in stretta relazione fra loro. La singolare circostanza presentava aspetti divertenti in taluni casi, più spesso la costringeva a muoversi con la massima cautela su un terreno accidentato, ricco di insidie e trabocchetti.
“Vedi le tue amiche oggi?”, chiese la madre, mostrando il desiderio di dirottare la conversazione verso altri argomenti: “Sì, nel pomeriggio. Dobbiamo andare in biblioteca e poi forse faremo un giro in bicicletta.”, “Non sei stanca, dopo tutti i chilometri di ieri?”
Era certamente stanca ma il giro in bicicletta era una scusa, in realtà; lei sarebbe andata ad intervistare la Vally, lo aveva deciso fra sé e sé al risveglio, quella mattina stessa, rompendo ogni indugio interiore.
La mattinata trascorse tranquillamente e la madre sembrava persino allegra; il padre era rimasto fino all’ora di pranzo nel suo laboratorio al pian terreno, occupato nel restauro di una statua lignea del Quattrocento affidatagli da un cliente importante.
Maria lo raggiunse per chiamarlo a tavola e poté guardarlo operare per qualche minuto; sul lavoro, come anche nelle sue performance culinarie, papà era esigente e scrupoloso. Non ammetteva sconti o scuse, nemmeno per sé stesso e quasi sempre si mostrava scettico sui risultati.
“E’ una madonna bellissima, papà!”, disse timidamente la piccola, “Come fai a rifarle i colori uguali?”
L’uomo sorrise e invitandola ad avvicinarsi al banco di lavoro le mostrò le giuste miscele di pigmenti e medium che aveva ottenuto dopo innumerevoli prove. L’unghia lunghissima del mignolo destro attirò l’attenzione della bambina: “Perché quest’unghia è così lunga?”, “Mi serve per grattare via lo sporco dalla statua senza rovinarla. E’ troppo antica e fragile, è rischioso usare i soliti strumenti.”
“Ma quanto ci metterai a pulirla tutta, in questo modo?”, chiese la figlia perplessa, “Non ha alcuna importanza, Maria. Certe cose richiedono molta pazienza e precisione.”, “Ma tu non ne hai tanta di pazienza, papà, come fai?” L’uomo rise divertito, la piccola impertinente aveva proprio ragione; non si poteva certo dire che egli fosse abbondantemente dotato di tale virtù, tuttavia certe situazioni lo coinvolgevano talmente da trasformarlo in un’altra persona ed era in quelle occasioni che egli mostrava una sicurezza e una determinazione tali da renderlo, agli occhi della figlia, una sorta di eroe. “Sei bravissimo, papà, da grande voglio essere come te!” Qualcosa di sotterraneo, di invisibile e fluido, che aveva avuto origine nel nonno paterno, e prima che in lui forse in altri, le era giunto attraverso il padre e a questi la legava profondamente, intimamente, nel comune sentimento per la bellezza e l’armonia.
Una specie di eredità spirituale, una identica visione delle cose, la capacità di vedere le singole relazioni nel tutto.
Costanza era già sotto casa, ad aspettare le amiche, il volto scuro ed imbronciato: “Cosa succede?”, le chiese Emma, arrivata qualche minuto prima di Maria.
“I miei mi hanno appena detto che anticiperanno la partenza di una settimana, partiamo fra quindici giorni.”, rispose la ragazzina con voce stizzita. “E va bene, non importa, in fondo ci resta tutto il mese di settembre, prima che ricominci la scuola. Vedrai che se non troviamo niente nelle prossime due settimane e nemmeno io e Maria da sole, mentre tu non ci sei, ci riusciremo quando sarai tornata.”
L’idea che le due amiche continuassero le ricerche senza di lei, riuscendo magari a svelare il mistero del teschio, non le andava proprio giù. “Senti un po’, Maria”, disse rivolta a quest’ultima, sopraggiunta nel frattempo, “ Che ne dici di sospendere l’indagine fin tanto che non sarò ritornata?” “E perché?”, rispose la ragazzina, subito contrariata, “Perderemmo tempo prezioso, mica è colpa nostra se devi subire la “tortura” della Costa Azzurra!” Il tono di voce dell’amica non piacque a Costanza, era evidente la sua intenzione di essere sarcastica e forse era anche un tantino invidiosa. In effetti Maria aveva avuto modo di documentarsi sulla rinomata località turistica e non capiva davvero l’atteggiamento un po’ snob della compagna. A lei non sarebbe certamente mai capitata un’occasione simile, mentre per Costanza quel tipo di vacanza era la norma; perché mai doveva lamentarsene? “Non è giusto! Abbiamo iniziato insieme e poi l’ho visto io per prima!”, Costanza sapeva bene che anche se le amiche avessero promesso di astenersi dalla ricerca, Maria certamente non avrebbe smesso, a costo di fare tutto da sola. Si rassegnò all’idea, ripromettendosi di restituirle prima o poi il favore. “Per oggi cosa avete deciso di fare?”, chiese Emma, intenzionata a favorire la riconciliazione fra le due contendenti, “Io andrò da Vally, come ha detto l’altro giorno lei” rispose Maria, volgendo lo sguardo verso Costanza, “mi sembra una buona idea.”
Costanza annuì con la testa in segno di approvazione ma non aggiunse nemmeno una parola.
“E noi, cosa facciamo?”, continuò Emma.
Sarebbero andate insieme in parrocchia, l’idea era venuta a Costanza quella mattina. Nei registri delle morti del monsignore avrebbero potuto forse trovare traccia di avvenimenti particolari accaduti negli anni precedenti; di solito i preti annotavano, accanto alla data del decesso della persona, anche le circostanze più inconsuete, quando ve ne fossero state.
Un’idea davvero eccellente, pensò Maria, peccato non fosse venuta a lei; era ancora un po’ irritata con Costanza ma non poté fare a meno di complimentarsi con la compagna.
Le bambine si accordarono per un nuovo appuntamento di lì a qualche ora, sempre sotto casa di Costanza, e si diressero alle rispettive mete.
Monsignore ricevette le due giovanissime parrocchiane nell’androne poco illuminato e odoroso di cucina della canonica, ascoltò la loro richiesta e ne volle conoscere il motivo. Gli raccontarono di dover fare durante l’estate una ricerca storica per la scuola che prevedeva anche uno studio sulla incidenza di certe malattie endemiche nella mortalità delle popolazioni locali. Costanza fu eccezionalmente convincente nel perorare la causa, ottenendo da lui la massima disponibilità.
Il vecchio prete si allontanò per qualche minuto e ritornò carico di grossi volumi rilegati, alcuni vecchissimi, altri visibilmente più recenti, vergati a mano da lui stesso e dai suoi predecessori.
Vi avrebbero trovato una quantità notevole di informazioni, disse loro, mostrando un particolare orgoglio nell’illustrare alle ragazzine le ordinatissime pagine dei registri che egli stesso aveva redatto in tanti anni di attività pastorale.
“Chiamatemi se vi serve qualcosa, io torno nel mio studio a preparare l’omelia. Mi raccomando, domenica voglio vedervi in prima fila alla messa. Più tardi vi mando l’Adelina con una bella aranciata.”
Costanza ed Emma gli sorrisero grate e si tuffarono immediatamente nello screening della pagine ingiallite dei libri più vecchi.
La casupola di Vally sorgeva a ridosso dell’argine del fiume, su terreno demaniale, ad una certa distanza dal paese, fra canneti e sterpaglia. Era una costruzione piuttosto bassa, di un solo piano, con un tetto di tavole e lamiera ondulata; sui mattoni privi di intonaco delle pareti esterne, a tratti ricoperte da un’edera tenace, l’umidità aveva formato aloni bianchi e verdastri. Maria pensò che più che una casa sembrava un pollaio; come poteva vivere lì dentro una persona normale? La Vally non era tuttavia una persona come tutte le altre, chissà come l’avrebbe accolta.
La bambina si tenne a debita distanza e cominciò a chiamarla ad alta voce:” Signora Vally, è in casa?”
La donna era forse uscita, Maria chiamò ancora facendo qualche altro passo verso la porta d’entrata: “Cossa votu, picinina?”, una voce allegra e un po’ rauca le rispose da dentro casa, “No posse vegnér fòra in 'sto momento, 'spèteme là un minuto”.
Maria si guardò attorno, l’unica presenza visibile era quella di tre o quattro galline razzolanti; dalle grate metalliche di certe gabbiette di legno, addossate al muro e coperte con una tettoia di plastica, gli occhi rossi e curiosi di alcuni grossi conigli grigi l’osservavano.
“Gìrete da chea parte de là!” le intimò la stessa voce, perentoria, indicando il fiume, “e no voltarte fin che no te 'o dise mi.”
La bambina obbedì avvertendo un istintivo ed improvviso timore, non le piaceva non sapere cosa le stava succedendo intorno ma all’occorrenza le sarebbe bastato inforcare la bicicletta e in un attimo sarebbe stata già lontana da quello strano posto.
Alle sue spalle un bisbiglio sommesso e l’eco di passi frettolosi, poi lo scricchiolio delle ruote di una bicicletta sui sassi della stradina da cui lei stessa era arrivata.
Non si voltò ma ebbe la netta percezione che qualcuno si stesse allontanando velocemente da lì.
“Ai me amissi non ghe piase esser visti quando che i vien a trovarme, dès' te pol girarte, pitusseta.”
A braccia conserte, appoggiata allo stipite della porta, Vally l’osservava incuriosita; un raggio di sole le illuminava il giovane volto vistosamente truccato, uno sbaffo di rossetto le deformava il disegno perfetto della bocca e i bellissimi capelli rossi e vaporosi, un po’ arruffati, la facevano sembrare una ninfa dei boschi, come quelle viste nelle illustrazioni delle favole. “Buona sera signora, mi chiamo Maria e vorrei parlarle di una cosa...”, improvvisamente la bambina sentì che le parole non uscivano, non sapeva da dove cominciare ora che quegli occhi penetranti e sinceri le stavano facendo la radiografia.
“Magari podén parlar mèjo in casa, 'comodate, te si parona.” le disse Vally, girandole le spalle e sparendo oltre l’uscio.

Chi volesse scrivere all'autrice, può farlo a questo indirizzo di posta elettronica: casiestremi@yahoo.it

Di Maria Prosdocimo


 
 
Il mensile telematico abcveneto.com è gestito da Abcveneto, associazione culturale - codice fiscale 94113202606

HTMLpad