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N. 66, VI anno, 2008 1 Settembre  2009
 
 
 


  Profughi? Ma che profughi?

Di Raffaella Biasi

Ricordate i ragazzini immigrati sbarcati a Lampedusa e sistemati in emergenza a Jesolo e ora distribuiti nel Veneto?
Raffaella BiasiHo lavorato con loro come traduttrice (arabo e inglese) e mediatrice culturale. Ciò mi ha permesso di entrare in un’altra dimensione.
Da un lato ci sono questi giovanissimi profughi, già adulti a 11 anni, con tutto il loro mondo di disperazione, sogni e aspettative e dall’altro lato c’è tutto un altro mondo, il nostro, molto più complesso e ramificato per chi arriva. Ero in mezzo, e quindi non potevo parteggiare per nessuno (anche se ero più legata ai ragazzi), ma proprio per questo mi arrivavano tutte le informazioni vere e false che i due mondi si comunicavano. Vediamo comunque le due parti e le loro contraddizioni.
Innanzitutto i ragazzi erano 47, di 8 nazionalità africane diverse, dagli undici ai 20 anni. I loro caratteri erano quanto di più distante tra loro si possa trovare. Alcuni scappavano dalla guerra di Mogadiscio, altri scappavano dalla povertà, altri dalle prigioni libiche, ma molti di loro non scappavano da tutto questo. Dopo molto tempo seppi che inseguivano l’ormai noto sogno televisivo che il loro Paese ha di noi. Cercavano un miglioramento alla loro condizione economica, ma senza rendersi conto che qui le cose non erano cosi rosee come gliele avevano descritte. E cosi quest’errore di sognare l’America persiste ancora!
L’unica cosa comune di tutte queste nazionalità è la perfetta conoscenza della parte di Legge italiana che li riguarda e la capacità di sopravvivenza a qualsiasi condizione. Quando li accogliemmo, grazie alla Croce Rossa, erano come sperduti, e la Croce Rossa si attivò per far avere loro il meglio di quanto possibile.
C’è però un rovescio della medaglia, l’altro mondo, il nostro mondo, che si è presentato loro con tutte le nostre contraddizioni e i nostri difetti e problemi. Innanzitutto la Croce Rossa ha un sistema funzionante, ma costosissimo e complicatissimo da gestire, per cui qualunque esterno può vedere che il costo di 47 profughi si centuplicava nei meandri della burocrazia e nella mala gestione dell’emergenza. Così ad ogni ragazzo arrivava alla fine solo una centesima parte di tutto quello che teoricamente il governo e le donazioni offrono per loro. Poi c’era la questione politica, per cui tutti i politici venivano a farsi belli ed offrire solidarietà (e in realtà anche a dare sostegno finanziario), salvo poi cercare di disfarsi del “problema profughi” passandosi la palla bollente da erode a pilato non appena l’immagine non serviva più. E poi si presentavano le associazioni di volontariato, tutte desiderose di essere utili, ma che in realtà presentavano attività banali e ridicole, come se ad un adulto di 40 anni io lo costringessi a ballare mascherato. Insomma le reciproche aspettative non coincidevano, poiché entrambe le parti avevano età mentali diverse. E intanto i ragazzi passavano i giorni nell’inedia e nella noia più totale, senza sapere niente del loro futuro, senza documenti o possibilità di lavorare, deridendo il nostro modo di fare e nascondendo le loro età ed intenzioni. Qualcuno è anche fuggito… .
E poi c’erano i ‘crocerossini’, intendendo con questa parola tutti coloro che sono venuti a dare una mano per sentirsi utili. Ognuno di loro è venuto con le migliori intenzioni, per carità, ma tutti hanno avuto l’impressione che i profughi servissero ai ‘crocerossini’ e non viceversa! Insomma molti volontari sono arrivati impreparati e, anzi, pieni di problemi che hanno riversato nel gruppo di lavoro o sui profughi. Che sconcerto!
E’ chiaro che gli stranieri li prendevano in giro nascostamente (solo chi parla le loro lingue poteva capire). Non puoi aspettarti diversamente da chi ha osato attraversare il deserto e il mare e ha sofferto il carcere e le botte. Cosa può pensare della nostra società, dei nostri giovani, chi è già adulto a 15 anni? Non c’è paragone naturalmente. E non è vero che in questi c’è un lato psicologico di adolescente non cresciuto, come indicano alcuni psicologi. Erano e sono più maturi e basta. Forse abituandosi all’occidente si rovineranno un po’… .
Inoltre il metodo di istruzione o di diffusione di notizie sull’immigrazione, benché a loro vantaggio, per esempio per mezzo di opuscoli scritti o megaconferenze, non funzionava con chi non sa leggere o con chi non capisce il metodo o addirittura non ha interesse ad integrarsi.
Insomma l’Italia li ha aiutati e ospitati, nutriti e istruiti, solo che lo ha fatto malamente e quindi non ha avuto e non avrà un feedback buono né di lavoro né di integrazione, nonostante i soldi spesi, a causa della cattiva organizzazione di base.
Invece i ragazzi (e i loro mandanti, che non sempre sono i genitori!) si aspettavano di trovare un qualunque modesto lavoro per poter restituire i soldi alle varie mafie e/o mandare qualcosa a casa, volevano solo questo. Se questo non è possibile, come è risultato evidente dalla situazione economica attuale, meglio non prendere in giro le persone con speranze e promesse. Il fatto che ogni migrante invii una modesta parte dello stipendio a casa, infatti, conviene a tutte le nazioni dell’occidente, perché con poche centinaia di euro al mese in Africa possono vivere intere famiglie, altrimenti costrette a uno spostamento di massa per sopravvivere.
Quindi gli errori sono dalle due parti e per risolvere queste gestioni bisogna davvero prendere il coraggio a due mani, sviscerare i problemi e ripartire nella lotta.

Di Raffaella Biasi


 
 
 
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