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N. 66, VI anno, 2008 9 Settembre  2009
 
 
 


  Domenico Luciani: Memorie di un futuro migliore

A cura di Abcveneto

OLIVE & BULLONI ANDO GILARDI
Lavoro contadino e operaio nell’Italia del dopoguerra
Dal 12 settembre al 25 ottobre 2009, Fondazione Benetton Studi Ricerche
spazi Bomben per la cultura, Via Cornarotta, 7-9, 31100 Treviso

Fabrizio Urettini, curatore di Olive&bulloniDomenico Luciani: "...Questa mostra di fotografie sul lavoro contadino e operaio dell’Italia del sesto decennio del Novecento è utile e importante per almeno tre ordini di motivi.
Il primo attiene alle immagini stesse, a ciò che rappresentano con nettezza documentaria: la rapida e radicale trasformazione della struttura sociale e territoriale del nostro paese nel secondo dopoguerra. In quel solo decennio cambiano gli elementi costitutivi del paese: i rapporti città-campagna e agricoltura-industria, l’organizzazione familiare, la geografia demografica e insediativa, i modi e i tempi della mobilità. È un mutamento pervasivo. Nessuna parte del paese ne è al riparo. Nemmeno, ovviamente, il nostro glorioso Nordest (tutto attaccato) che proprio in quegli anni cinquanta, mentre stenta una ricostruzione appena avviata, viene sottoposto a un autentico terremoto antropologico. Vi partecipano l’ennesima ondata migratoria oltre Oceano, oltr’Alpe e oltre Mincio, la forza gravitazionale del polo di Marghera, la diffusione capillare dell’industria, e perfino eventi straordinari di particolare entità, dall’alluvione del 1951 al Vajont del 1963, aggravati come sappiamo dalla endemica inettitudine tutta nostrana al governo dell’assetto idrogeologico. Le immagini di Ando Gilardi non riguardano particolarmente il Veneto, ma la visita alla mostra farà bene al nostro “popolodellapartitaiva”, soprattutto farà bene ai giovani e alle scolaresche che speriamo saranno in buon numero.
Il secondo ordine di ragioni è dato dalla questione politica che questi documenti convocano. Nasceva lì, in quegli anni, il nostro “modello di sviluppo”. Anche nel movimento operaio, e più in generale (salvo importanti eccezioni) nella cultura italiana, veniva teorizzata l’inevitabilità dei costi sociali e territoriali, allora si diceva urbanistici, oggi diremmo ambientali e paesistici. Tutto veniva giustificato in funzione di una scalata a livelli più elevati di reddito e di consumo. L’imperativo era: non restare tagliati fuori dalla “grande occasione della Modernità”. Il viaggio dal villaggio lucano dei muli, degli asini e delle capre, fino al Nord dei cancelli della fabbrica veniva considerato emancipativo. Emancipativo per la conquista di un pur esiguo salario. Emancipativo per il raggiungimento di uno status di cittadino finalmente entrato nella mitica classe operaia, finalmente protagonista dello scontro cruciale di civiltà tra salario e profitto, tra lavoro e capitale.
Queste vaste campagne fotografiche non solo ci mostrano, come l’autore dichiara, l’estinzione delle tre grandi classi del proletariato italiano (operai, braccianti, contadini poveri del Sud), ma collocano con evidenza le tre classi sullo stesso terreno, dentro una “condizione umana” che rende irrinunciabili l’organizzazione collettiva, il sindacato, le lotte.
Di fronte a queste immagini capiamo un po’ meglio come le tante diverse facce dell’Italia di quegli anni compongano un unico quadro in movimento. Di più, capiamo come proprio le differenze costituiscano in sé il più prezioso e storico patrimonio culturale. E poiché l’essenziale di quel quadro non è poi molto cambiato nei tempi successivi, possiamo ricavarne anche idee per ragionare sopra le complicatissime prospettive attuali.
Il terzo ordine di ragioni attiene al valore intrinseco dei materiali conservati in questo archivio di persona. Si tratta di un ricercatore che ha 88 anni e che da 64 anni lavora con la fotografia come mezzo per costruire conoscenza sociale e antropologica, di comunità e di luoghi. Quei cilindretti, quegli irriducibili rotolini di cui ci parlano Elena e Patrizia Piccini, quegli schedari e quegli appunti sui quali studia Fabrizio Urettini, costituiscono un fondo documentario che entra a far parte a pieno titolo dell’universo degli archivi storici. In quanto tale è bene culturale tutelato dalla Repubblica ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione. O almeno dovrebbe esserlo."

OLIVE & BULLONI ANDO GILARDI
Lavoro contadino e operaio nell’Italia del dopoguerra
Mostra a cura di Fabrizio Urettini
Testi di: Ando Gilardi, Domenico Luciani, Patrizia ed Elena Piccini, Sergio Polano

dal 12 settembre al 25 ottobre 2009 Inaugurazione 11 settembre 2009 ore 18.30

Orari visite
Da martedì a venerdì 15.00 - 20.00
sabato e domenica 10.00 - 20.00
Su prenotazione, dal martedì al venerdì, sono possibili visite alla mostra anche nel corso della mattinata.

Fondazione Benetton Studi Ricerche
spazi Bomben per la cultura
Via Cornarotta, 7-9
31100 Treviso
T +39 0422 5121
www.fbsr.it

fbsr@fbsr.it

Retrospettiva del singolare lavoro di reportage di Ando Gilardi nell’Italia del dopoguerra, ritratta con un’ottica che la immaginava proiettata in un futuro migliore, un Avvenire (con la A maiuscola) in splendida ascesa. Istantanee di una forza eccezionale. Fotografie in massima parte inedite, mai pubblicate, ed estranee al trito cliché di un neorealismo strappalacrime. Per questo fino ad ora ignorate?!
Vi si affacciano donne e bambini: sorrisi per “seppellire” l’arroganza di un potere inesorabile e invadente. Un momento magico e irripetibile, nella storia delle classi lavoratrici. Uno sguardo insolito, sull’Italia della ricostruzione e dell’inizio del boom, da parte di un testimone contemporaneo. Diverso da quanto narrato tramite “Ladri di biciclette” (1948) o “I vitelloni” (1953); diverso dalle atmosfere di “Riso Amaro” (1949) o de “La dolce vita” (1960). Diverso.

In progetto: visite didattiche, per guidare i più giovani alla scoperta di questo periodo della storia italiana, che nei libri scolastici è appena sfiorato, un tempo di ottimismo, di lotta serena per la vita e il progresso, non solo tecnologico ma anche umano. Nella mostra saranno esposte, oltre alle istantanee gilardiane del periodo 1950-1961, pubblicazioni e documenti d’epoca, a partire dal periodico “Lavoro”. Del percorso espositivo fa parte anche una video intervista, curata da Giuliano Grasso, con il racconto diretto – dalla voce di Gilardi – di cosa erano e come nascevano le sue fotoinchieste per “Lavoro” (la rivista della Cgil fondata nel 1948 da Giuseppe Di Vittorio), soprattutto nel periodo della direzione di Gianni Toti (1952-58) e nel contesto di un’esperienza redazionale unica nella storia del giornalismo sindacale. Esperienza condivisa con colleghi tra i quali spiccavano: Lietta Tornabuoni, Franco De Poli, Renato Guttuso, Ugo Attardi.

Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton di TrevisoCon l’avvento della stampa a rotocalco, la fotografia assume un ruolo di primo piano nella veste editoriale del “Lavoro”: istantanee smarginate nelle copertine e utilizzo spregiudicato della fotografia e del collage negli impaginati. I modelli di riferimento erano, in campo internazionale, l’americana “Life” (1936), antesignana del fotogiornalismo, e, in Italia, i maggiori settimanali di massa di allora (avviati o ripresi nel dopoguerra), quali gli antagonisti “Oggi” (1945) e “Tempo” (1946) o “L’Europeo” (1945), con un taglio tuttavia profondamente diverso. La fotografia di Gilardi, lontana dall’immagine costruita ed estetizzante del fotogiornalismo d’oltreoceano, si esprime infatti con i modi originali di una esuberante e personale interpretazione dell’iconografia del lavoro. Testimonianza visiva ma soprattutto umana, tramite segni mnemotecnici – come Gilardi ama ridefinire le istantanee di questo periodo –, di un’Italia profondamente diversa da quella di oggi.

A cura di Abcveneto


 
 
 
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