n.81 VII anno, 1 dicembre 2010
Capitolo XXIX

Di Maria Prosdocimo
“Dov’è papà?”, chiese Maria, vedendone il posto vuoto a tavola. “Non disturbarlo, è di là in soggiorno, stiamo ascoltando le notizie del telegiornale”, rispose la madre con un’espressione scura in volto. “Cosa succede mamma, perché siete così seri?”
La bambina non ricevette alcuna risposta mentre la donna, raggiunto il marito, gli si era già seduta accanto, quasi trattenendo il respiro.
I fratelli a tavola mangiavano in silenzio e la guardarono con apprensione; “Cosa succede a mamma e papà? Volete dire qualcosa anche a me, santo cielo!” Le rispose il fratello, sussurrandole che qualcosa di grave doveva essere accaduto in un Paese dell’America forse, non aveva capito bene, ma gli era sembrato che stessero parlando del Brasile.
Non si trattava de Brasile, disse la madre, tornando in cucina a vuotare il posacenere di papà traboccante di mozziconi; era in Cile che stavano succedendo cose brutte, in Cile non in Brasile, correggendo il figlio per il quale la geografia del Sud America si riduceva alla patria mondiale del suo sport preferito.
“Brasile, Cile, ho sbagliato solo qualche lettera, non cascherà mica il mondo!”, aggiunse il ragazzo facendo spallucce, senza smettere di mangiare. Un mondo sarebbe “cascato” davvero di lì ad un anno, ma certo il ragazzino non poteva comprendere la gravità di eventi così lontani e drammatici.
Maria entrò quatta quatta nel salottino saturo di fumo e di tensione, avvicinandosi all’ottomana su cui sedevano i genitori; il giornalista stava parlando dei gravi disordini in corso nel Cile sconvolto dalla crisi economica e dalle conseguenze dei recenti scioperi dei camionisti e di certe importanti industrie del rame.
La ragazzina aveva già sentito parlare di quella strana cosa, lo sciopero, ogni tanto qualcuno lo faceva anche a Motta, anche alla sua scuola. La madre ne aveva fatti parecchi anche se, a dire il vero, insieme ad una o due colleghe, era sempre stata fra i pochissimi ad aderirvi. Ancora troppo piccola per comprendere le ragioni delle proteste delle categorie di lavoratori, Maria sentiva tuttavia che le decisioni della madre erano sempre giuste e coerenti. Nella sua mente fece capolino il ricordo di un film visto qualche tempo prima nel quale il protagonista, un ferroviere che a lei era sembrato un uomo buono, ma tanto triste, non aveva partecipato alla protesta dei suoi compagni di lavoro ed era stato per questo da loro apostrofato con una epiteto che lei non aveva mai sentito prima: crumiro.
Sapeva di cattivo quella parola, di sporco, e pur non comprendendo bene tutta la vicenda narrata, aveva sentito una pena infinita per il povero macchinista. Perché mai uno sciopero potesse mettere addirittura in crisi un intero Paese, lei proprio non riusciva a capirlo; le sembrava che quando lo faceva mamma tutto poi procedeva come sempre a Motta, non c’erano più carabinieri del solito per le strade e non si vedeva tutta quella gente nelle piazze, a picchiarsi e a urlare.
“Perché sei così nervoso, papà?”, chiese al genitore, guardando con crescente ansia la bottiglia semivuota di whiskey che egli stringeva fra le gambe. “Zitta tu! Stai zitta!”, le urlò l’uomo senza staccare gli occhi dal video, proteso con tutto il busto verso il televisore acceso e con il volume al massimo.
Le lacrime riempirono violentemente gli occhi della piccina che subito se li asciugò con la manica della camicetta.
Non era il momento di insistere e forse sarebbe stato persino meglio andarsene direttamente a letto senza cena, tanto di lì a poco lo sfogo del padre sarebbe certamente risuonato in tutta la casa.
Meglio non essergli a tiro, non poteva più sopportarne l’espressione dura e incattivita di quando egli era fuori di sé. In quei momenti non era suo padre; dietro al suo sguardo cupo e opaco c’era un’altra persona, di cui lei aveva paura e che odiava disperatamente.
Non riusciva a perdonarlo per questo e tuttavia lo amava visceralmente. Niente e nessuno significava qualcosa per lui in quei frangenti; non la moglie che gli si era votata, e nemmeno i figli, impauriti e indifesi contro la sua veemenza e la furia verbale che li travolgeva come fossero piccole imbarcazioni sorprese da una mareggiata tempestosa.
“Mamma...”, sussurrò Maria con un filo di voce, “io vado di là.”, indicando la stanza da letto e in un attimo si eclissò.
Dal soggiorno le giunsero le rabbiose bestemmie del padre e le suppliche accorate della madre che cercava di riportarlo alla ragione.
Poco dopo fu raggiunta da Marta che, senza nemmeno spogliarsi, si infilò nel letto della sorella, stringendosi a lei e liberando un pianto sommesso. “Non ti preoccupare, Martina, vedrai che fra poco andrà a dormire e domani sarà di nuovo il nostro papà, non è lui a parlare, ce lo dice sempre mamma che le cose che dice gli escono dalla bocca ma non dal cuore.”, “E’ vero”, rispose la sorellina, “ma intanto le dice...”, aggiunse continuando a piangere.
La madre le trovò così, abbracciate; sollevò dolcemente la più piccola e la portò nel suo letto, rimboccandole le lenzuola, poi andò a sedersi accanto a Maria che era ancora sveglia e l’osservava immobile, con occhi smarriti.
“Papà è molto preoccupato, Maria, quello che sta succedendo in Cile è una cosa molto brutta e pericolosa, non solo per la gente di quel Paese, ma anche per tutti noi.”, raccontò alla figlia come meglio poté la genesi dei fatti, dalla elezione del presidente Allende a quella fase critica per la giovane democrazia cilena.
Le parlò dei potenti nemici internazionali che stavano facendo di tutto per abbattere il governo cileno democraticamente eletto e si soffermò a descrivere la figura di Allende.
Sembrò a Maria che per tanti aspetti quell’uomo sconosciuto fosse simile al suo papà, per la fede nell’idea di libertà, per la passionalità nella lotta in favore dei diritti civili, per la laica ed umanissima ribellione contro le sofferenze dei più poveri.
“Papà pensa che ce la faranno a mandarlo via?”, chiese la bambina; “Tuo padre avrà tanti difetti”, le rispose la madre, “ma possiede una qualità rara; capisce prima di altri come andranno a finire le cose, non sbaglia mai le previsioni purtroppo e ora è angosciato perché ha paura che non si accontenteranno di mandare via il presidente Allende.”
“Cosa vuoi dire, mamma?”, chiese allarmata la piccola, “Voglio dire che teme che lo vorranno eliminare uccidendolo.”, rispose la donna i cui occhi si velarono improvvisamente di lacrime.
Chissà se anche il Presidente aveva dei figli e chissà cosa stavano provando ora, sapendo il padre in pericolo.
“Ma se lo uccidono andranno in prigione, vero?”, sussurrò la ragazzina che, vedendo la madre commossa, s’era stretta a lei cercando protezione e consolazione.
“Se ciò avverrà nessuno dei responsabili andrà in prigione perché diventeranno loro la Legge in quel Paese e speriamo che non uccidano altre persone. Adesso però dormi, tesoro mio, domani papà starà meglio e potrai fargli tutte le domande che vuoi, lo sai che gli piace tanto parlare con te. Buona notte.” L’indomani, a scuola, Maria osservò che della drammatica situazione cilena nessuno parlava; non i compagni di classe e nemmeno i maestri. Tutto sembrava tranquillo e normale come sempre.
Attese per quasi tutta la mattinata, senza registrare alcunché, poi, verso la fine delle lezioni, volle introdurre l’argomento, sebbene fosse l’ora di aritmetica e non quella di italiano o storia, durante le quali ogni tanto la conversazione toccava anche temi di attualità.
“Maestro, perché i militari del Cile non sono come quelli che ci hai fatto conoscere tu a Rivolto e vogliono mandare via il Presidente Allende?”
L’uomo, preso in contropiede, la guardò sorpreso; “Chi ti ha detto queste cose, Maria?”, chiese mostrandosi interessato alla sua domanda; “La mamma mi ha raccontato quello che sta succedendo in quel Paese e io non capisco perché quegli uomini vogliono mandare via un presidente buono...forse vogliono ucciderlo.”
“Ma va là! Non succederà, non ti preoccupare.”, la rassicurò il maestro, provando a spiegarle la situazione dal suo punto di vista.
Intanto gli scolari, superato il primo momento di stupore per la domanda della compagna, erano già tornati alle loro occupazioni, disinteressandosi all’argomento.
“Al telegiornale hanno detto che lo sciopero dei camionisti è stato organizzato dagli uomini di destra di quel Paese e che gli americani li stanno aiutando di nascosto...”, aggiunse la piccola con un filo di voce.
Il suo maestro era di destra, lo sapeva bene, ma era buono; lui non avrebbe mai fatto del male ad Allende, ne era più che certa.
L’uomo rimase in silenzio alcuni istanti. Quella ragazzina mostrava coraggio ad affrontare determinati argomenti e sembrava davvero preoccupata per qualcosa che avveniva a migliaia di chilometri di distanza come se la stesse coinvolgendo personalmente.
Non poteva liquidarla con una frettolosa spiegazione, né poteva demolire ai suoi occhi le convinzioni del padre che sapeva essere suo antagonista politicamente, ma che umanamente ed intellettualmente rispettava.
I due adulti, del resto, avevano sempre mantenuto un atteggiamento rispettoso l’uno nei confronti dell’altro, non manifestando in presenza della bambina la reciproca disapprovazione per le scelte politiche fatte.
Le volevano bene entrambi e questa era la cosa più importante, nessuno dei due avrebbe mai permesso che le implicazioni della proprie convinzioni politiche costituissero, anche solo indirettamente, un problema per la piccina. “In Cile la situazione è molto diversa dalla nostra, ci sono tanti problemi che noi non possiamo conoscere bene. Il Presidente cileno è un uomo di sinistra e i comunisti hanno fatto tante brutte cose in passato, perciò ci sono persone che non lo vorrebbero come presidente. Ma da questo ad ucciderlo ce ne corre! Vedrai che troveranno una soluzione che accontenterà tutti quanti. Anche alle persone di destra importa dei poveri e dei deboli, sai?”
“Ma maestro, perché quelli di destra che non sono d’accordo con lui non possono accettarlo come presidente per un po’? Lo ha eletto la maggioranza dei cileni, in fondo! Cosa c’entrano gli americani con quel Paese?”, insistette Maria, “Se quelli che hanno le tue idee politiche qui in Italia facessero la stessa cosa, tu cosa penseresti?”
Il maestro avvertì un improvviso disagio, la conversazione stava andando più in profondità di quanto avesse potuto prevedere. Stava per rispondere quando la piccola mostrò di volergli fare un’altra domanda: “Allora tu sei diventato fascista perché...”, ma le parole le morirono in gola, rendendosi conto di colpo di aver condotto il discorso su un piano personale che s’era ripromessa di non toccare mai.
“Come dici?”, chiese l’uomo invitandola a concludere la frase, “Cosa mi volevi chiedere?”, insistette con dolcezza, vedendo che la bambina s’era fatta tutta rossa in volto e taceva ostinatamente.
“Dai, non aver paura, chiedimi quello che vuoi sapere.” In quel momento suonò la campanella della fine delle lezioni; Maria si chinò sulla cartella e cominciò a riporvi i quaderni e le penne, preparandosi a mettersi in fila con i compagni per uscire dall’aula.
“No, Maria, tu resta qui finché accompagno gli altri in cortile. Arrivo subito!”
Il maestro condusse gli scolari all’uscita e dopo alcuni minuti, durante i quali nella ragazzina l’agitazione era cresciuta a dismisura, fece ritorno in aula.
“Adesso siamo soli, non ti sente nessuno dei tuoi compagni, perciò stai tranquilla e finisci la domanda di prima.”
Maria ora era pallida e sentiva un rivolo di sudore freddo scorrerle lungo la schiena; l’emozione le impediva di ritrovare la sua consueta sicurezza.
Con voce flebile, dopo qualche istante di attesa e qualche frase rassicurante del maestro, pronunciò finalmente il resto della frase: “Maestro, tu ti preoccupi sempre dei deboli, passi le tue vacanze estive con i bambini poveri o orfani e anche in classe non tratti mai male neanche quelli che ti fanno arrabbiare tanto. Allora, forse, sei diventato fascista perché ti facevano pena i fascisti che hanno perso la guerra...hai pensato che forse non erano tutti cattivi, anche tu sei di destra, ma non sei cattivo...”
Era stata un vera pena pronunciare quelle parole e Maria rimase a fissare l’uomo sperando di non vedergli comparire in faccia un’espressione contrariata o, peggio ancora, arrabbiata.
Gli occhi del maestro s’inumidirono e un sorriso dolcissimo gli illuminò il volto; non lo aveva mai visto così bello prima, rimase disorientata dall’inaspettata reazione.
“Stai bene maestro?”, gli chiese preoccupata, “Mai stato meglio, piccola mia!”, le rispose lui continuando a sorridere.
“Vieni qua che ti voglio abbracciare!”, Maria si avvicinò titubante e si lasciò stringere da quelle forti braccia, sentendosi avvolgere da un affetto così vero che fugò d’incanto tutti i suoi timori.
“Vai a casa adesso, tesoro, altrimenti mamma e papà si preoccupano. Ci vediamo domani mattina e stai serena; nessuno ucciderà il tuo Allende!”.
L’uomo si rallegrò intimamente, quel momento di reciproca confidenza gli sembrò essere un buon aggancio per approfondire anche altri discorsi con la bambina, nei giorni successivi. Trasse un sospiro di sollievo e si diresse verso casa con il cuore più sollevato.
Sulla strada del ritorno la bambina si sentì leggera come una farfalla. Felice e con un gran appetito fece di volata le scale di casa, irrompendo come un ciclone in cucina dove trovò i genitori ad aspettarla, sorridenti e già seduti a tavola.
“Il pollo fritto! E vai!”, disse vedendo al centro del tavolo in bella mostra un piatto di portata ancora colmo dei dorati e croccanti pezzi di carne. Mamma era particolarmente brava nel cucinare certi manicaretti, il pollo fritto le riusciva a meraviglia, anche se il timballo di pasta fatta in casa restava insuperabile.
Ogni volta era una festa per i bambini e anche per gli adulti, le porzioni poi erano sempre più che generose.
Grazie mamma! Pensò la ragazzina fra sé e sé, sapendo che anche cose come quella facevano parte del costante sforzo della donna di creare un’atmosfera più serena in famiglia. Quanto ti voglio bene, mammina mia!
Maria Prosdocimo
Di Maria Prosdocimo


 
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