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N. 71, VII anno   1 febbraio  2010

 
 


  L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto, è un Dio che è morto

Di Alberto Leoncini

Tra le tante migliorie della vita moderna, dai telefonini ai frigoriferi passando per le lavatrici e gli aerei a reazione, ve ne sono alcune ancor più ingegnose, perché tornano utili per la nostra vita non solo sul piano esterno ma ci fanno stare a posto anche con noi stessi e il nostro animo. Tra le migliori di queste invenzioni, citerei senz’ombra di dubbio la “Giornata della Memoria” (il Parlamento si è perfino spinto a riconoscerla con legge, tanto ci teneva. Magari usasse la stessa solerzia per leggi come il reddito di cittadinanza o la tutela dei precari!). Il 27 gennaio di ogni anno celebriamo l’apertura dei cancelli di Auschwitz come data simbolo della Shoah. Che bravi che siamo, quasi mi commuovo di fronte a tale senso di fraternità. E che dire poi delle nostre scuole e istituzioni? Tutti a mostrare video, leggere (o, fin che sarà possibile, ascoltare) testimonianze, fare minuti di silenzio…Tanto i morti sono morti. Bisogna convenire che ricordare i morti è una gran bella comodità. Con una mattinata siamo a posto e la coscienza è bella che sistemata. Un po’ come andare a trovare i parenti in cimitero alla commemorazione dei Defunti. Un giretto, un mazzo di fiori… Basta con le ipocrisie: diciamoci chiaramente che è bello cavarsela con poco. La circostanza. Ecco il male da cui siamo assediati in queste occasioni.
Tra parentesi andrebbe ricordato che nei lager nazisti non furono sterminati solo ebrei, ma anche zingari, omosessuali, cattolici, oppositori comunisti e socialisti, portatori di handicap psichici e fisici…
I vivi scocciano senza dubbio di più: devi dar da mangiare, curare, farti prossimo. Devi dire che l’altro per te è un valore, è qualcosa di unico, devi rompere il nesso mio-tuo.
Anche qui ce la caveremmo con poco…se non fosse che lo dovremmo fare ogni giorno. Pensare all’oggi e agli odierni drammi dell’umanità ci interroga in modo molto più profondo e vivo di tante belle parole riferite al passato. Ammettiamo una buona volta che queste “commemorazioni” ci fanno comodo e sono il più spregevole esito del nostro egoismo, della nostra vigliaccheria e della nostra voglia di passare per i puri, quelli che hanno ragione e che non sbagliano mai. I “civili” che sono inghiottiti dal divano ma che poi danno i dieci euro per l’Africa e, ascoltando le notizie di ogni giorno alla TV, riescono a dire: “passami il sale” (ho mutuato questa immagine da una bella lezione del filosofo palermitano Giuseppe Savagnone).
Commemoriamo pure, ma dopo esserci sporcati le mani nel mondo, dopo aver contribuito tutti gli altri 364 giorni a rendere migliore l’esistenza per il proprio prossimo. Sarebbe ora di iniziare ad avere rispetto per chi è morto, ma rispetto vero perché chi è morto inutilmente viene ucciso due volte. E se vogliamo richiamarci al Vangelo ricordiamo che il chicco di senapa se non muore non porta frutto, ma se muore diventa il più grande degli alberi. Appunto, citavo nel titolo una strofa della famosa canzone dei “Nomadi”, “Dio è morto”… Nei campi di sterminio, ma è risorto nel mondo che faremo. Quarant’anni fa quella canzone è stata censurata perché scomoda, e mi sembra che non ci siamo discostati di molto.
Hanno commemorato la Shoah rappresentanti politici che sono i mandanti morali delle morti dei disperati che attraversano il mare per una speranza di vita migliore: donne, uomini, bambini.
Hanno commemorato la Shoah i prefetti che lasciano i barboni agli angoli delle strade chiudendo anche le sale d’aspetto delle stazioni.
Hanno commemorato la Shoah presidi che stipulano convenzioni con le banche per “incentivare il risparmio fra gli studenti”, e magari quei soldi sono già stati impiegati in un fondo off-shore per finanziare qualche guerra fratricida. Francamente di queste commemorazioni non so proprio che farmene. Saranno un compromesso politico, ma non vi è davvero nulla che serva ad elevare gli animi.

Di Alberto Leoncini

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