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N. 71, VII anno | 1 febbraio 2010 | ||
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Di Gianluca Saggin
* Ogni vuoto ha il suo recinto. La sua poesia è “ tutta di ossa e di muscoli, disincarnata come un aforisma, lampeggiante in sé (..) Nessun sentimento è romanticamente gridato. Una superiore saggezza frena gli abbandoni e li trasforma in sigilli”, sono parole di Maria Luisa Spaziani alla presentazione a Roma del secondo libro di poesie “Il cerchio dei respiri”. Mentre Elio Pecora, sempre in quell’occasione, dice: “ una voce che viene dal profondo, una voce che sentiamo onesta (..) senza frange, senza finzioni, nel senso appunto di una verità ferma, interiore priva di ornamenti e fughe verso l’apparenza…” Ed ancora, Barberi Squarotti scrive:”La sua poesia è essenziale, rapida, luminosa, in un ritmo musicale dolcissimo”.
Nella nostra regione Luccia Danesin è forse più conosciuta come fotografa. Infatti ha al suo attivo numerosissime mostre in Italia ed anche all’estero, ma la passione fotografica e l’impegno anche sociale in quest’arte, viene dopo l’amore per la poesia che l’ha vista fin da bambina abbozzare i primi versi. G.S. Chi è Luccia Danesin? L.D. Definirsi non è mai facile. Penso di essere una persona curiosa, in costante attenzione e interrogazione. E’ sempre stato nel mio carattere rapportarmi alle cose, alle persone o alle sensazioni cercando di viverle in profondità, cercando di “capire” per dare senso. Ho spesso tentato, senza peraltro riuscirci, di contrastare questo mio approccio perché in alcuni casi porta fatica e sofferenza. G.S. Cos’è la poesia per lei? L.D. Considero la poesia la lingua delle emozioni. Con la parola, il ritmo e la forma, si riesce a mandare un lampo che dà luce, illumina una sensazione. Anche se è una lingua che si ricerca, che viene accolta in solitudine, per me la poesia non è una voce univoca perché, invece -direi- è proprio il luogo dell’ascolto. E’ sentire noi stessi e sentire “l’altro” che evochiamo nella condivisione. E’ come uno specchio dove le immagini, i dialoghi della nostra coscienza possono riflettersi così da poterli riconoscere. Fare poesia per me è vivere una sospensione perché è il “presente” che si fonde e si confonde. Ci porta nell’incantesimo di un linguaggio che cerca il simbolico, la metafora, condensando e dando voce ai pensieri, a quelli più liberi. Infatti considero la poesia un distillato che non sopporta maschere o legacci anzi, scansando il gioco delle apparenze, mette ordine, gerarchia ai desideri. G.S. Come e da che cosa le viene l’ispirazione? L.D. Qualsiasi opera artistica non può essere prodotta a comando. Nasce da un insieme di “suggerimenti emotivi” interni ed esterni a sé. A volte in momenti di silenzio, di riflessione ma anche dalla musicalità e dal fascino di certe parole che, misteriosamente, trovano un’eco dentro; aprono un pertugio e vanno a pescare, a sollecitarne altre… G.S. Quali poeti ama leggere, quali sono stati o costituiscono i suoi riferimenti?
L.D.
Emily Dickinson è stato un incontro di trent’anni fa quando ancora questa poeta americana non era così conosciuta e tradotta. E tuttora è il mio riferimento più importante per la modernità e la ricchezza profonda dei suoi versi. Le sue poesie sono come porte socchiuse sull’universo: partendo da sé, dal suo protetto e minuscolo cosmo, ogni piccola vibrazione, ogni variazione è allegoria, suggerisce altro cogliendo l’essenza del tutto che poi ci viene offerta appassionatamente. G.S. A quando una prossima pubblicazione? L.D. Beh, prima o poi dovrò farlo perché vedo via-via crescere il volume della cartella dove di solito ripongo le poesie. Dentro ci sono fogli e foglietti, ritagli, notes, poesie che considero definitive ma anche molte altre da rivedere, limare, e poi ci sono spunti, frasi, suggestioni… Sì dovrò prendere in mano quella cartella…
** In esilio sempre -
Al limite di un oltre è il transito. L’ora permane
in queste transumanze
* da “Un fard rosso arancio” Edizioni Del Leone, 1997
Pubblicazioni: www.luccia.danesin.literary.it www.provincia.venezia.it/moderata/luccia.htm Di Gianluca Saggin |
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