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N. 71, VII anno   1 febbraio  2010

 
 


  Capitolo XIX: Panta Rei

Di Maria Prosodocimo

Il tono acceso delle voci arrivava persino in strada, dentro il piccolo bar la concitazione della discussione stava riscaldando gli animi. “Cosa starà succedendo?”, chiese stupita Emma, rivolta alle altre due, “Non ne ho la più pallida idea”, le rispose di rimando Costanza, “sembra che stiano litigando.”
Maria si affacciò all’entrata, scostando timidamente le corde pendule della tenda anti-mosche; nella penombra dell’angusto locale vide la figura dinoccolata e traballante di un avventore ubriaco fradicio che gesticolava minacciosamente in direzione della Beppa, asserragliata dietro al grosso bancone.
Si trattava del Ciclista, un noto alcolista del paese, così soprannominato per l’indissolubile binomio fra l’uomo e la sua sgangherata bicicletta.
Di indole mite, il poveretto dava tuttavia in escandescenze, di tanto in tanto, quando la quantità d’alcol immessa nel suo sistema circolatorio superava in percentuale quella dell’ossigeno contenuto nel sangue.
Maria ne conosceva la fama e sapeva che non era pericoloso, tuttavia tornò sui suoi passi e invitò le amiche ad aspettare lì fuori per qualche minuto, sperando che l’ubriaco se ne andasse.
Dopo alcuni istanti il Ciclista rovinò fuori dal locale agitando le lunghe braccia e continuando ad imprecare; inciampò sullo zerbino dell’entrata e tirò giù tutta la tenda, nelle cui corde era rimasto intrappolato.
Rialzatosi da terra, malconcio e intontito, inforcò la bicicletta e si allontanò a zigzag, mancando più volte il pedale e perdendo così l’equilibrio, fino a quando non sparì oltre la curva del viale.
“Cosa è stato?”, chiese Costanza alla Beppa, una volta entrate e vedendo la donna ansimante e pallida oltre il biancore della maschera di cerone.
“Maedeto lu e tuti i imbriagoni!”, le rispose quest’ultima, andando incontro alle bambine e mettendosi poi a sedere con loro. “El sa anca massa ben che no ghe dae da béver vin e l'insiste ogni volta, 'sto càncaro! 'Sto avanso de gaèra! Ah, ma dès' ghe fae vedér mi. Vedarè come che ghe fae passar el vissio de vegnér a far cagnara in casa mia!”
Maria era rimasta in silenzio, comprendeva le ragioni della vecchia esercente, ma una tristezza grande e inesprimibile l’aveva colta nel momento in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli dello sventurato, nell’istante in cui egli, rialzandosi da terra, l’aveva guardata, senza rivolgerle la parola e continuando a masticare bestemmie e saliva.
Il tratto gentile di quel volto smunto e scavato, alterato da una rabbia disperata e incontrollabile, invece di provocarle ripugnanza aveva acceso in lei un’istintiva compassione.
“Ma non ha nessuno? Una famiglia?”, chiese alla negoziante, interrompendone il risentito monologo, “E chi vutu che ghe bade a quel animal? I parenti, se el ghe n'a, i fà ben a tegnerlo aêa larga. L'é soltanto pensieri e preoccupassion, par no parlar dée brute figure co a 'sént!”
“Lasciamo perdere, Maria!”, s’intromise Costanza che già immaginava dove l’amica sarebbe andata a parare, e non intendeva giocarsi male la carta delle confidenze della Beppa. “Sicuramente ci sarà qualcuno a casa che penserà a lui, adesso mangiamoci il nostro gelato e parliamo d’altro.”
Maria avrebbe voluto esprimere all’adulta tutto il proprio disappunto per la gratuità di quel giudizio perentorio, ribadendo che a volte le persone fanno cose sbagliate per ragioni tuttavia comprensibili, ma si rese conto che sarebbe stato fiato sprecato, “perle ai porci”, come diceva sempre sua madre in casi analoghi.
Chiese un cremino e diede l’assalto al gelato senza più aggiungere una parola, sotto lo sguardo complice di Costanza e quello ancora sperduto di Emma. La vecchia esercente aveva ritrovato nel frattempo la solita bonomia e, distolta la mente dallo spiacevole episodio, s’era nuovamente calata nel ruolo a lei più consono di impicciona.
Costanza non aspettava altro e astutamente cominciò a tessere la sua tela. “Certo che ce n’è di gente strana qui in paese, vero Beppa?”, disse guardando le due amiche con occhi d’intesa. “E chissà quante storie incredibili sono successe in passato, di cui non si sa nulla!”.
La donna non si fece pregare e cominciò a sciorinare fatti e aneddoti, inanellando una dietro l’altra più descrizioni di personaggi fuori del comune di quanti le ragazzine stesse non immaginassero essere esistiti in quel remoto angolo di provincia.
Il racconto dettagliato e infiorettato di particolari ora drammatici, ora persino spassosi, sembrava divertire Costanza ed Emma, attente ad individuare gli elementi di interesse per loro.
Maria solamente mostrava una ostinata indifferenza, quella donna ciarliera e di così scarsa umanità l’aveva troppo infastidita per coglierne il limite più che l’indole maliziosa.
Al contrario, Costanza ed Emma sembravano essere piuttosto in sintonia con l’interlocutrice, che incoraggiavano alla confidenza blandendola e lasciandole intendere una loro sostanziale condivisione delle sue opinioni.
Emma si sentiva protagonista, per una volta almeno, data la volontaria estraneità di Maria alla conversazione e ciò le provocò una piacevole sensazione: “Sicché il Ciclista è in buona compagnia, a quanto pare. Ce ne sono tanti di ubriaconi qui in paese, vero?”, disse rivolta alla Beppa; “Non è mai capitato che qualcuno troppo “pieno” sia cascato nel fiume e sia annegato?”, affondò Costanza, cercando di avvicinarsi più velocemente all’obiettivo. “Come no! E no i é stadi mia incidenti, el pì dée volte!”, rispose la vecchia i cui occhi si accesero di un nuovo, vivace interesse e la voce si abbassò di tono, diventando quasi un bisbiglio, perché certe cose andavano sussurrate, se ne doveva parlare quasi in segreto perché anche il pronunciarle era tabù. In realtà non ricordava che qualcuno fosse mai inavvertitamente scivolato in acqua ma conosceva bene diversi casi di suicidi avvenuti in passato e si profuse nel racconto di alcune vicende che avevano scosso molto l’opinione pubblica.
La descrizione dei singoli eventi confermò alla piccole investigatrici quanto già affermato da Anna, l’aiutante della Luigia, che cioè la vecchia passerella fosse il luogo da cui più spesso i disperati sceglievano di gettarsi nei gorghi del fiume.
Spuntarono anche i nomi di Ernesto e della Germana, dimostrando come fosse opinione comune che i due poveretti avessero posto fine in quel modo alla loro infelicità.
Le bambine non fecero parola delle notizie in loro possesso sulle due vicende, per non distrarre la donna eccitando la sua curiosità.
“Ma è possibile che di qualcun altro, oltre a Ernesto e Germana, non sia mai stato trovato il corpo?”, incalzò Costanza, “In fondo se questo posto è famoso, qualcuno potrebbe essere venuto anche da fuori a suicidarsi qui, giusto?” “Questo no lo so, però i dise che durante 'a guerra non i abbia butà 'ntel acqua sol i partigiani copàdi dai fasisti, ma anca qualche todesco dêa Vermac, fat a tòchi sull’ar'sene dai partigiani e i resti no i li a pì trovadi, de sicuro li a magnai i pessi.”
Maria impallidì, stringendo nel pugno lo stecchino del gelato fino a spezzarlo in due e a stento riuscì a frenare le parole che volevano uscirle dalla bocca. Doveva starsene zitta zitta, non dire proprio nulla, sperando che la vecchia divagasse ancora e incappasse in qualche altro argomento succulento.
“Cosa ne pensi, Maria?”, le chiese direttamente Costanza, la cui immaginazione si era improvvisamente accesa, “Tuo padre potrebbe saperne qualcosa? E’ stato partigiano anche lui durante la guerra, non è vero?”
“Può darsi!”, rispose la ragazzina con voce strascicata, tentando di non far trapelare la propria agitazione.
Emma osservò l’amica notando il leggero tremore della sua mano ma non disse nulla, le era sembrata strana per tutto il tempo e non collegò il suo stato allo sviluppo inaspettato della conversazione.
Era davvero strana Maria, a volte il suo comportamento le appariva incomprensibile ma la sincerità del reciproco affetto la induceva a sorvolare su taluni aspetti del carattere lunatico dell’amica.
Costanza e la Beppa intanto avevano condotto il discorso su altri binari e la vecchia le stava descrivendo la losca figura di un compaesano che, nonostante l’età avanzata, molestava le bambine, adescandole con l’offerta di caramelle e ombrellini di carta, di quelli che ornavano le coppe di gelato servite ai tavolini dei bar.
“Lo conosco anch’io.”, s’intromise inaspettatamente Maria, ben contenta di contribuire ad allontanare l’attenzione delle presenti dall’argomento precedente.
“Cossa che el te a fat, quel mascalson?”, le chiese di rimando la Beppa, adombrandosi. “Quando eo suces'? Ghe lo atu dit a to mare?”
“E’ stato qualche mese fa, all’uscita dal catechismo. Mi ha chiesto se volevo vedere i cuccioli della sua cagnetta ma gli ho risposto di no. Non l’ho detto ai miei, mi vergognavo a farlo.”
La vecchia andò su tutte le furie, imprecando contro l’intero universo maschile, a suo dire fatto solo di pervertiti e mascalzoni, tranne la buon’anima del defunto marito, ovviamente.
La piccola avrebbe dovuto parlare subito con i genitori, raccontare loro ogni cosa, per fermare quell’essere spregevole, fargli perdere quel vizietto una volta per tutte.
Costanza ed Emma guardarono l’amica con gli occhi fuori dalle orbite. Maria non aveva mai detto nulla nemmeno a loro e considerarono incredibile che le avesse tenute all’oscuro di una faccenda così spinosa per rivelarla invece ora ad un’estranea.
Lo scopo della bambina era stato raggiunto, la storia dei tedeschi trucidati sull’argine durante la guerra sembrava non interessare più e ora tutta l’attenzione delle presenti era concentrata sul suo incontro ravvicinato con il molestatore di bambine.
Rassicurò la donna che avrebbe parlato ai suoi della cosa, forse quella sera stessa, e in seguito gliene avrebbe raccontati gli sviluppi. “Adesso però devo tornare a casa”, tagliò corto Maria, “mi aspettano per la cena.”
Le bambine salutarono la Beppa, promettendole che sarebbero tornate presto. “Non ho voglia di parlare ancora di questa cosa!”, disse subito Maria, anticipando le prevedibili richieste di spiegazioni delle altre due che la guardavano con aria interrogativa.
Come sempre in questi casi, erano gli altri a doversi arrendere di fronte all’ostinato silenzio della bambina.
Lo sapevano bene sia Emma che Costanza; già in altre occasioni avevano assistito all’irriducibilità della compagna in situazioni che l’avevano messa a disagio, come la volta in cui era arrivato in classe il prete del paese per la consueta benedizione d’inizio anno.
Il religioso aveva rivolto alcune domande agli scolari per saggiarne la preparazione sugli argomenti del catechismo e quando era arrivato a Maria si era illuminato, dicendo che la bambina portava il nome più importante, quello della madre di Gesù, e l’aveva chiamata alla cattedra per farle recitare l’Ave Maria, davanti a tutti i compagni.
Maria lo aveva raggiunto malvolentieri, rossa in volto e nervosissima, gli si era piantata davanti e aveva fatto scena muta.
Il prete l’aveva incoraggiata amorevolmente e questo aveva accresciuto ancor di più il disagio della piccola, incapace di superare il blocco psicologico e piena di sensi di colpa verso quella persona così gentile.
Imbronciata e chiusa in un mutismo ostinato, era rimasta dritta davanti all’uomo, con le braccia irrigidite lungo i fianchi, stringendo i piccoli pugni fino a far diventare le dita delle mani rosse come se avessero i geloni. Non c’era stato verso di smuoverla, non una parola della bella preghiera era uscita dalla sua bocca; alla fine il prete aveva dovuto invitarla a tornare al suo posto, minimizzando l’accaduto.
Maria era poi rimasta silenziosa e indisponibile verso i compagni per il resto della mattinata, senza rispondere a chi le chiedeva che cosa le fosse successo. Il maestro, al contrario, non le aveva chiesto nulla, come se avesse compreso, lui solo, la natura di una ritrosia così marcata e inspiegabile in una creatura solitamente vivace e incline all’esibizionismo.
“Domani non vengo, devo andare dalla nonna.”, annunciò Maria prima di congedarsi dalle amiche, “Ci vediamo lunedì.”
Le ragazzine si avviarono verso le rispettive abitazioni, ciascuna con i propri pensieri, ciascuna rimuginando su ciò che più l’aveva colpita durante la strategica chiacchierata con la Beppa.
“Sei in ritardo tutte le sere, ormai!”, brontolò la madre di Maria, aprendole la porta di casa, “Sono già tutti a tavola; vatti a lavare le mani e fai presto che abbiamo ospiti!” Appena varcata la porta della cucina Maria vide un uomo dell’età di suo padre, il fisico possente e una massa ariosa di biondi capelli, folti e luminosi. Era Dimitri, l’amico russo di papà del quale tanto avevano sentito parlare in casa e che almeno due o tre volte all’anno mandava una lettera di saluti all’amico italiano.
Era arrivato nel pomeriggio con un carico di doni per i marmocchi, alcuni giocattoli, delle barrette di cioccolata e strane frittelle dolci mai viste prima, oltre a due bottiglie di autentica Vodka che papà aveva prontamente occultato nel suo personale ed inviolabile stipetto, accanto ai fucili da caccia e ad un carteggio misterioso. Il compagno Dimitri aveva fatto la Resistenza in Italia e aveva conosciuto così suo padre.
Nonostante i due fossero sempre rimasti in contatto, si rivedevano ora per la prima volta dopo la fine del conflitto. Erano visibilmente eccitati ed emozionati, sicuramente già abbondantemente “carburati”; con un’espressione mista di orgoglio e fierezza il padre presentò Maria all’amico: “Questa qui è la secondogenita, tosta come suo padre, la mia stellina! Dai, Maria, saluta Dimitri!”, disse rivolto alla figlia, invitandola ad avvicinarsi all’uomo che si era cortesemente alzato dalla sedia.
La bambina sfoderò un sorriso smagliante mettendo in mostra i numerosi, bianchissimi denti e strinse con slancio la mano dell’ospite.
I fratelli erano allegri, Dimitri doveva averli già conquistati ed essi stavano ridendo di gusto fra loro, mentre mamma continuava a portare in tavola i piatti ricolmi di pasta al pomodoro. “Sembri più grande della tua età,”, disse l’uomo rivolgendosi alla ritardataria, “mostri almeno undici anni.
Tuo padre dice che sei forte come un torello e testarda come un mulo; è vero?” Maria rise. Di essere forte lo sapeva bene, non la batteva nessuno a braccio di ferro e la sua ostinazione poi era quasi proverbiale. Aveva notato ultimamente certe occhiate che le rivolgevano i ragazzi più grandi e persino qualche maschio adulto, ma non ci aveva fatto troppo caso. Non si era soffermata a considerare il proprio aspetto fisico né, tanto meno, la propria femminilità; i maschi erano per lei solo dei compagni di avventure, tranne Marco ovviamente, ma quella era stata una storia a parte, una fantasia romantica che aveva riempito il suo poetico cuore per molto tempo e di cui aveva percepito sin dall’inizio solo l’idealità.
Le piacque l’apprezzamento ricevuto e sentirsi guardata con ammirazione da un uomo che, certo, aveva l’età di suo padre, ma era prima di tutto un bell’uomo. Un leggero rossore le colorò le gote e sentendo quel calore scorrerle nel sangue si affrettò a rispondergli, sperando che non se ne fosse accorto: “Mi piace arrangiarmi a fare le cose, non mi va di chiedere aiuto agli altri perché c’è più gusto a farcela da soli.”, rispose cortesemente, dando la prima forchettata alla sua pasta. Le piaceva tanto la pasta al sugo di mamma, specie le linguine, condite con i succosi pezzetti di polpa della salsa odorosa di basilico e abbondante parmigiano.
Dimitri l’osservava divertito, riconoscendo istintivamente nella piccola gli atteggiamenti e la verve dell’amico.
“Ti fermi a dormire qui, stanotte?”, gli chiese Marta che desiderava prolungare ancora un po’ la bella serata e restare ad ascoltarlo mentre raccontava meraviglie della sua terra così lontana e misteriosa. Teneva gelosamente stretta fra le mani la matrioska avuta in regalo, ostentando orgogliosa il trofeo sotto lo sguardo incuriosito della sorella maggiore.
A causa del proprio ritardo Maria era stata scippata del giocattolo dalla scaltra piccoletta che aveva fatto valere il diritto di averlo visto per prima; l’invidia un po’ la rodeva dentro, ma finse indifferenza, tanto prima o poi Marta avrebbe mollato la presa, si trattava solo di pazientare un tantino. I genitori insistettero per ospitare Dimitri quella notte ed egli alla fine si arrese, contento di tanta accoglienza; venuta meno l’incombenza di trovare dove dormire, il russo si rilassò del tutto e i due vecchi amici tirarono le ore piccole a ricordare il comune passato e a tracannare buon vino.
Maria ebbe il permesso di restare alzata ben oltre il Carosello, concessione accordata già da qualche tempo al fratello, e rimase accoccolata vicino al padre, divertendosi al suono delle loro voci sempre più biascicate a mano a mano che le caraffe si svuotavano.
Era strano davvero come papà potesse apparire così felice ed allegro pur avendo bevuto una grossa quantità di vino; di solito quando eccedeva con l’alcol quella sua stessa voce alterata le metteva paura e lo trasformava, ai suoi occhi, in una minaccia incontrollabile, ma questa volta non era così e pur non sapendosi spiegare l’insolita circostanza fu contenta di non sentire rancore per lui.
Il fratello salutò e andò a dormire; la conversazione fra i due adulti, che non facevano ormai più caso alla bambina semi addormentata sulle gambe del padre, si fece via via, più allusiva e preoccupata.
Per il gran sonno Maria stentava a tenere gli occhi aperti, ma una mezza frase del padre la ridestò del tutto; il termine “golpe” le suonò del tutto sconosciuto, ma papà lo aveva pronunciato con una tale gravità che la sua attenzione si fece più viva che mai.
Dal racconto che il genitore stava facendo all’amico, la piccola apprese ciò che solo qualche anno prima era accaduto in Italia, minacciando seriamente la giovane democrazia del Paese.
Che i forestali avessero tentato di prendere il potere con un atto di forza le sembrò cosa davvero singolare, immaginando un’armata di boscaioli che davano l’assalto alla Capitale, muniti di accette.
La parola forestali aveva evocato in lei l’immagine di uomini barbuti, vestiti con pesanti camicie quadrettate, bretelle e calzoni alla zuava, con ai piedi grossi scarponi da montagna.
Solo dopo un po’ comprese che dicendo “golpe dei forestali” il padre si riferiva al tentativo di colpo di stato di una forza di polizia dello Stato Italiano, organizzato dal “principe nero”.
Le era capitato di sentir nominare a volte il nome di Borghese in casa, ma nessuno le aveva raccontato per bene quella oscura vicenda.
Papà sembrava particolarmente infervorato, come se stesse parlando di una cosa avvenuta solo poche ore prima, tanta era la rabbia; l’amico ne condivideva lo stato d’animo ed entrambi, ormai completamente sintonizzati sugli stessi parametri alcolici, andarono avanti ancora un po’ congetturando e ipotizzando una spedizione punitiva in Spagna, da condurre con altri compagni opportunamente coinvolti, per stanare l’ex comandante della X Mas e riportarlo in Italia, non senza avergli prima riservato un “trattamento speciale”. La madre portò ai cospiratori due belle tazze di caffè nero bollente, disse alla figlia di andarsene a letto subito e invitò il marito ad accompagnare l’amico nella stanza degli ospiti.
Maria obbedì senza protestare, baciò il padre e anche Dimitri, augurando loro una buona dormita e si ritirò nella sua stanza.
Marta dormiva profondamente, dolcemente, nel suo lettino; la guardò alla luce dell’abatjour, era bellissima e sorridente come la più piccola delle bambole dentro la matrioska; ci avrebbe pensato sempre lei a proteggerla, da tutto, anche dai forestali se mai fosse stato necessario.

casiestremi@yahoo.it

A cura di Abcveneto

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