Sommario esteso della rivista Indipendenza
A cura di Abcveneto
Sommario esteso degli articoli del n. 28 (maggio/giugno 2010)
Editoriale/ 25 aprile 1945 - 25 aprile 2010: il filo interrotto di una
liberazione ( a breve su
www.rivistaindipendenza.org )
Il default sociale dell’euro. La moneta unica, con i suoi correlati
meccanismi, parametri e direttive, genera strutturalmente dipendenza, quindi
debito, a cui vincolare anche l'Italia, attraverso una spirale usuraia, a
quella finanza statunitense che questo debito in ultima istanza controlla. A
dieci anni di distanza dalla circolazione monetaria dell'euro, continua ad
abbattersi sui popoli e sulle rispettive classi subalterne una mannaia
economica a base di tagli alla spesa sociale ed inasprimenti fiscali, per
destinazioni finali che rispondono ad interessi tutt'altro che nazionali,
tutt'altro che collettivi. Qual è infatti il presunto “bene comune” di cui
parla Berlusconi (6 luglio 2010) per giustificare l'orientamento del Governo
verso la richiesta di fiducia al Parlamento per approvare l'ennesima stangata
finanziaria? Quanto malessere sociale bisognerà ancora sopportare per obbedire
agli obblighi europei ed i diktat dei “mercati finanziari internazionali”? Lo
scritto di Alberto Leoncini ci rammenta alcuni dei meccanismi con cui la moneta
unica sta disastrando il tessuto economico e sociale (non solo) italiano,
auspicando che «l'Euro osannato dai vari Prodi, Padoa Schioppa, Trichet, Monti
sia un esperimento finito, da rottamare».
La Grecia e noi: dalla speculazione finanziaria al protettorato atlantico - i
"come" e i "perché" di una crisi indotta. L'attuale crisi del debito che ha
colpito la Grecia non è il frutto di frodi contabili, corruzione ed evasione
fiscale dilagante, né del fatto che “si è vissuto al di sopra delle proprie
possibilità”, frase offensiva per i milioni di cittadini che, dalla Grecia
all'Italia, faticano a sbarcare il lunario.... Si è trattato invece di un
attacco della finanza USA, per conseguire queste finalità politiche e
geopolitiche: centralizzare, auspicabilmente su Commissione Europea e Banca
Centrale Europea, le politiche economiche e di bilancio degli Stati dell'Unione
Europea; spazzar via definitivamente le sovranità degli Stati, ridimensionando
spinte autonome e concorrenziali di paesi che, capitalisticamente, hanno dato
qualche segnale di autonomia, come la Germania; legare ancora più strettamente
a Washington i destini dei popoli 'europei'. La crisi greca è stata resa
possibile dal sistema di regole neo-liberiste dell’Unione Europea, sistema
voluto dagli Stati Uniti e funzionale ai propri interessi economico-commerciali
e politico-militari, condiviso servilmente anche dalle classi dirigenti greche
subalternizzate agli Stati Uniti. Questi punti sono motivati nello scritto.
I paragrafi: 1) Washington alla guerra finanziaria. Dalla fine della sovranità
economica statale alla catena del debito; 2) Prima della crisi greca. Le
consulenze interessate delle grandi banche USA; 3) Le cause tecniche della
crisi greca; 4) Integrazione UE, subprime USA, crisi greca. Gli intrecci
perversi della globalizzazione finanziaria; 5) Le finalità politiche della
crisi greca; 6) Grecia, UE, Germania. Alcune domande; 7) Come uscirne. Prime
notazioni preliminari.
E con i nodi della dipendenza, intanto, anche gli italiani, con l'ennesima
stangata del governo di turno, cominciano a conoscerne sempre più le
conseguenze in termini di tagli sociali, precarizzazione ed insicurezza
crescenti di aspettative e aspirazioni di vita...
Pomigliano d’Amerika: servaggio del lavoro alla FIAT - colonialismo interno e
dipendenza estera. L'accordo capestro proposto dall'amministratore delegato
della FIAT, Sergio Marchionne, per Pomigliano d'Arco non spunta dal nulla e non
è casuale per la realtà sociale individuata, il meridione d'Italia, dove il
ricatto occupazionale (“lavoro, a qualunque costo, o chiusura”) è socialmente
più sentito. La «barbarie pre-moderna» dei diktat FIAT di strozzinaggio sul
lavoro sono il risultato di fase della progressiva incorporazione della FIAT
auto nella “nuova Chrysler”; delle prescrizioni di politica economica del
“Washington Consensus” –tra cui la flessibilità del lavoro– veicolate a livello
globale dal FMI ed in Eurolandia soprattutto da Bruxelles e Francoforte; di
'principi' e normative europee –dalla “libertà d'impresa” agli orientamenti e
direttive sul lavoro della Commisisone Europea, dalla liberalizzazione dei
movimenti di capitale e di commercio estero allo smantellamento delle sovranità
statali e nazionali (anche) in tema di politica industriale. Se ne ricava
quindi che la contraddizione capitale/lavoro sganciata da un contesto di
sovranità politica nazionale, si rivela assolutamente marginale ed impotente.
Le lotte dei lavoratori devono passare per la difesa degli interessi nazionali,
pena la loro inefficacia.
L’assalto alla scuola italiana negli ultimi decenni (terza parte). I
provvedimenti ed i progetti di riforma ai tempi dell'ultimo governo Prodi sono
oggetto di attenzione in questo scritto di Roberto Renzetti sulle riforme di
devastazione della scuola pubblica italiana, anche queste su impulso europeo. I
paragrafi: 1) Pedagogismo, distruzione della scuola e Lisbona 2000; 2) Da
Berlinguer a Fioroni. Parità economica e sistema misto pubblico-privato; 3) Chi
è che sostiene il ministro?; 4) Per un ripristino degli esami di riparazione e
dei Programmi Nazionali nella scuola; 5) Gli inquietanti risvolti dell’
“identità culturale” delle scuole; 6) L’illiberalità del centrosinistra sulla
scuola. I rilievi del “Manifesto dei 500”; 7) Un po’ di memoria storica. La
dequalificazione della scuola pubblica e nazionale nella riforma dei cicli di
Berlinguer.
Al di là dell'indignazione e la legittima contestazione dei tagli del corpo
docente e non docente, ultimi quelli del centrodestra, che ha iniziato a
cancellare di fatto tantissimi precari e a precarizzare gli ultimi entrati di
ruolo, tra le pieghe dello scritto si ribadisce la necessità di una proposta di
asse culturale nella scuola che contrasti lo sfaldamento progressivo di
contenuti e formativo cui hanno concorso in questi anni centrodestra e
centrosinistra.
Gli USA contro la sovranità energetica e scientifica italiana - dal dopoguerra
agli anni Settanta. Alle origini della dipendenza petrolifera (seconda ed
ultima parte). Energia, ricerca e sovranità nazionale. Un Paese che voglia dare
sostanza alle proprie aspirazioni all’indipendenza non può non porsi il
problema di una politica energetica e di ricerca scientifica che soddisfi i
bisogni della propria collettività e che sia svincolata dagli interessi
capitalistici e di dominio di oligarchie interne ed estere. Dopo aver criticato
i progetti nucleari del centrodestra e lanciato proposte per l’indipendenza
energetica nazionale (cfr. “Dal petrolio al nucleare: diversa la fonte, analoga
la dipendenza”, Indipendenza n. 24), Roberto Renzetti ripercorre alcune vicende
di storia patria nel campo energetico e della ricerca scientifica per
dimostrare due tesi: 1) come affidare la produzione di energia a gruppi privati
si riveli penalizzante per la collettività nazionale; 2) i pesanti
condizionamenti di Washington nella politica energetica e nella ricerca
scientifica nazionale, in particolare nell'aver ancorato il Paese alla
dipendenza petrolifera. Si ripercorrono le vicissitudini di figure “borghesi”
come Enrico Mattei e Felice Ippolito, accomunate dal perseguire progetti che, a
prescindere dal merito, sono abortiti perché osteggiati dalle strategie di
dominio USA. «In conclusione: l'Italia si ritrova con una grossa quantità di
centrali termoelettriche; le è stato impedito di avere un rifornimento autonomo
di petrolio; le è stata preclusa la strada dell'allora alternativa energetica
nucleare; non ha sviluppato né la geotermia né il solare. Dietro tutto ciò ci
sono i padroni statunitensi ed i governi e gli uomini italiani che sono stati
loro fedeli servitori. Si tenga bene a mente tutto ciò quando si leggono
dichiarazioni come quelle odierne del governo Berlusconi, secondo cui oggi è
indispensabile il nucleare!».
Per una moratoria dei prodotti OGM. La parola ai popoli. Permettere la
commercializzazione e la coltivazione degli Organismi Geneticamente Modificati
significa sottomettersi in maniera forse irreversibile alle strategie di
controllo del mercato del cibo degli Stati Uniti, decisi sponsor della
diffusione globale degli OGM. Lasciar passare gli OGM significa assistere
progressivamente alla distruzione dell’agricoltura italiana e alla perdita
della sovranità alimentare. La “coesistenza” tra le coltivazioni tradizionali e
l’OGM è impossibile, contaminando questi ogni coltura attraverso aria, terra,
corsi d'acqua, un rischio forse irreversibile per la salute umana e per l’
ambiente. Altro che “lotta alla fame nel mondo”, che si combatte proteggendo le
agricolture locali dalla voracità delle multinazionali agroalimentari, con
l'adozione di modelli alimentari rispettosi dell'ambiente e della salute
individuale e nazionale. Incurante delle forti obiezioni, la Commissione
Europea di Barroso intende mettere a punto un sistema che consenta agli Stati
di scegliere se autorizzare o no le colture OGM. Con buona pace dello stesso
“principio di precauzione” introdotto nel Trattato Europeo di Maastricht
(1992)! In nome dell'Europa e per conto degli Stati Uniti, dunque, gli OGM
stanno per irrompere nell'agricoltura italiana. Sarebbe ora che il mondo
dell'anti-imperialismo facesse causa comune con gli agricoltori italiani e li
appoggiasse nel promuovere una consulta referendaria che lasci al voto dei
cittadini la possibilità di esprimersi su una questione di vitale importanza.
Come proposte operative giuridiche e istituzionali, può essere utile la “Carta
di Montebelluna” della retezerogm, sottoscritta da numerose associazioni,
riportata nell'articolo.
L’Italia agricola e delle piccole imprese nella morsa della “globalizzazione”.
Parlare di agricoltura come “questione nazionale” potrebbe sembrare la
maldestra riesumazione di un armamentario politico da “battaglia del grano”. Le
teorie economiche oggi dominanti ritengono d'altronde che specializzarsi nell’
agricoltura sia una scelta perdente a causa dei bassi investimenti teoricamente
necessari per operare in tale ambito, essendo il fattore produttivo più
importante per operare nel campo agricolo ovviamente la terra. Tuttavia la
realtà contemporanea si è fortemente discostata da tali nozioni che trovano
ancora ampio spazio nella letteratura economica. Il settore primario si è fatto
sempre più “tecnologico” e gli interessi correlati su questo versante fanno
gola. Le vicende degli OGM e dell'acquisto di milioni di ettari di terreno
agricolo (“land grabbing”) da parte di multinazionali e Stati, delle
speculazioni borsistiche sui principali beni alimentari, costituiscono gli
elementi più rilevanti in tal senso. Sottoposta all’attacco della dinamica
globalizzante dell’agrobusiness ed alle strategie di controllo alimentare
planetario in particolare di Washington, la “sovranità alimentare” –che non è
comunque sinonimo di autarchia– è sempre più una questione centrale nello
scenario geopolitico che si avvia verso il “multipolarismo”. In questo contesto
va compreso il precarissimo stato del settore agricolo italiano, penalizzato
dalla Politica Agraria Comunitaria (PAC) ed in pesantissima crisi economica a
causa della flessione della domanda interna ed estera, per nulla beneficiario
dei rilevanti rincari dei “prodotti agricoli”, che arrivano sulle nostre tavole
a prezzi tutt’altro che modici, inibendo ulteriormente la domanda stessa. Ciò
penalizza anche il correlato indotto imprenditoriale, in cui l’Italia detiene
storicamente, anche all’estero, una posizione di primario rilievo. Tra queste
realtà, vi è la Bi.Vi. Irrorazione di Treviso, piccola azienda a conduzione
familiare specializzata nella produzione di accessori per il trattamento
fitosanitario delle colture agricole (in sostanza l’irrorazione, dalle pompe a
spalla ai carrelli). Comprendere le difficoltà di settori di piccola-media
impresa è importante per capire il contesto sociale in cui agire. Anche al fine
di ragionare su un indirizzo politico-economico per l’agricoltura che, in nome
della “sovranità alimentare” e della tutela degli interessi ambientali e
sanitari della popolazione di questo Paese, concili biodiversità e la
preferibile biologicità delle colture con un reale progresso (anche)
tecnologico, con ovvia considerazione degli interessi dei lavoratori del
settore. In quest'ottica diamo la parola a Maria Biscaro, contitolare dell’
azienda trevigiana.
Fascismo contro nazione. Storia ed attualità di una strumentalizzazione.
Esaminando la storia della sinistra italiana negli ultimi decenni, un elemento
distintivo che emerge in tutta la sua evidenza è senza dubbio la rimozione
dell'idea di nazione e di patriottismo. Rimozione, questa, di natura culturale
oltre che politica. Indubbiamente una delle ragioni determinanti di una simile
idiosincrasia nei confronti di categorie politiche intrinsecamente connotabili
in modo tutt'altro che negativo va ricercata nella strumentalizzazione che il
pensiero liberale prima, e soprattutto il fascismo poi, hanno operato nei
confronti del concetto di nazione e della sua spendibilità politica. Se nel
primo caso la manipolazione appare evidente, nel caso del fascismo la
strumentalizzazione si è rivelata decisamente più subdola e difficile da
smascherare. Non sorprende quindi che nell'immaginario comune di gran parte
degli italiani “la nazione”, “la patria”, “il tricolore”, “l'inno nazionale”,
siano generalmente percepiti come un patrimonio pressoché esclusivo della
cultura di destra, cui opporre un malinteso internazionalismo ("inter" infatti
sta per "tra", non per "senza" le nazioni), del tutto funzionale alla logica
del capitalismo. Si rende dunque necessario sfatare il mito del legame
indissolubile ed esclusivo tra fascismo e nazione, la quale è stata invece dal
primo utilizzata strumentalmente in vista di ben altri obiettivi,
sostanzialmente imperialistici e anti-nazionali. Contro ogni tentativo di
strumentalizzazione e la superficialità con cui larghi spezzoni del movimento
antagonista liquidano sbrigativamente il concetto di nazione, è dunque ancora
una volta necessario riaffermare con forza la centralità del legame
inscindibile tra liberazione nazionale e liberazione sociale. Centralità nella
quale può essere riassunto il pensiero nazionalitario, e che è tra l'altro
corroborata dalla storia stessa del socialismo, dal momento che ha storicamente
costituito l'elemento cardine di qualsiasi applicazione pratica dello stesso. I
paragrafi dello scritto: 1) Il fascismo storico; 2) Il nazismo; 3) Da Salò al
neo-fascismo “atlantico", fino al post-fascismo; 4) Il neofascismo
“rivoluzionario”: dalla Giovane Europa all'Eurasia; 5) Imperialismo fascista
contro patriottismo nazionale.
L’involuzione storica dell’antifascismo. L’antifascismo ha cambiato segno nel
corso degli ultimi 70 anni. È la constatazione di Gianfranco La Grassa, che
esordisce esprimendo ammirazione per l'antifascismo "nobile", quello degli
uccisi e dei perseguitati, del carcere e del confino, dei protagonisti della
Resistenza, la cui ossatura fu comunista. L'antifascismo è oggi egemonizzato
dagli eredi dei “voltagabbana”, di quel capitalismo privato diventato
“antifascista” solo a guerra perduta, appoggiando il colpo di Stato monarchico
del 25 luglio 1943 ed il relativo cambio di alleanze. Si tratta di un ceto
parassitario prone agli Stati Uniti, che nella vulgata antifascista dominante
rappresenterebbero dei “liberatori” piuttosto che degli invasori. Un importante
ruolo in questa involuzione lo riveste il PCI; l'articolo ne tratteggia
prodromi storici e processo degenerativo verso il “compromesso storico” con il
grande capitale e con gli Stati Uniti, con il suo apice nell'ascesa di D'Alema
a capo del governo durante l'aggressione alla ex Jugoslavia.
Origine e significato dello Stato-nazione. Il caso dell’Italia (seconda ed
ultima parte). La figura di Mazzini ed il ruolo storico del cattolicesimo
liberale di Gioberti sono particolare oggetto di attenzione di questo articolo
di Massimo Bontempelli. Qualche accenno anche alla figura di Garibaldi.
Significativa in particolare la parabola di Mazzini, da “terrorista" a patriota
nella mitologia del Risorgimento. «Mazzini, morto nel 1872 bandito dal regno
d'Italia, che continuava a considerarlo un terrorista, dopo la sua morte viene
sorprendentemente legittimato come patriota, perché con il passare del tempo la
classe dirigente del regno, stretta tra l'estraneità di larghe masse dello
Stato unitario, il disconoscimento dei cattolici, e poi anche l'opposizione dei
socialisti, rappresentativi della nascente classe operaia, si accorge di aver
bisogno, per costruire compiutamente la nazione, sia dei suoi ardenti seguaci,
sia del suo insegnamento morale e civile».
USA/ “Obamacare”, il risanamento dell’industria della salute negli States. L’
essenza delle 2.800 pagine di "Obamacare", riforma definita storica dai media
oltre che dalla scandalosa sinistra italiana, è un mega drenaggio di risorse
pubbliche verso le compagnie di assicurazione private, sull’orlo della
bancarotta anche perché l’impoverimento in crescita negli USA ha fatto
aumentare il numero degli impossibilitati a permettersi un’assicurazione
sanitaria (costi da migliaia di dollari all’anno). Nell'articolo si
tratteggiano gli elementi salienti della riforma presunta “socialista” «scritta
su misura dell'industria farmaceutica e delle assicurazioni private».
Venezuela/ Sovranità politica e liberazione sociale. Parla l’ambasciatore in
Italia. «Con la vittoria elettorale di Chavez si mettono in moto due processi
paralleli: quello della re-istituzionalizzazione e della rivoluzione sociale
dal basso. Da una parte quindi il tentativo di fornire una nuova legittimità
istituzionale e di rendere efficaci le istituzioni e le funzioni statali. Dall’
altra l’avvio di un processo di trasformazione sociale sostenuto da larghi
movimenti di base (…) Complessivamente questo processo di trasformazione viene
denominato «processo bolivariano» (…) Considerata l’estensione e la varietà
dell’area politica che appoggia il processo, pretendere di misurare la
trasformazione sulla base della capacità di imporsi di un solo settore, risulta
non solo poco serio, ma perfino pericoloso (…). Se il processo non potesse
contare su una certa ampiezza politica, esso non solo non sarebbe migliore, ma
probabilmente non esisterebbe del tutto (…) Il fatto interessante del processo
bolivariano consiste proprio nella molteplicità e nella varietà delle
organizzazioni che va ben oltre la contraddizione centrale tradizionale tra
capitale e lavoro» (Dario Azzellini, “Il Venezuela di Chavez”, DeriveApprodi,
2006). La descrizione del «processo bolivariano» espressa in queste righe ci
conferma che ogni realtà politica nazionale ha le sue specificità, e che dunque
un reale processo di liberazione nazionale –che per essere effettivo, stante la
valenza collettiva del concetto di nazione, necessita dell'emancipazione
sociale delle classi subalterne– non consiste nell'imposizione dall'alto di una
qualsivoglia ideologia. Il fondamento nazionale, che è il modo culturale (e non
a caso plurale) con cui gli uomini si concretano nel loro essere storico, è
quanto di meno uniforme, omogeneizzante e coercitivo ci sia e si possa pensare,
anche al suo stesso interno, restando orizzonte sociale tra i più liberi per le
collettività e le individualità che le compongono. Il caso del Venezuela è
contraddistinto da un confronto democratico, a sempre più ampia partecipazione
popolare, tra diverse posizioni politiche ed esigenze di classe per la
costruzione di un nuovo assetto di società. Un confronto che non manca di
contraddizioni e lacune, insufficienze e lentezze, ma che ha intanto consentito
visibili miglioramenti nelle condizioni e prospettive di vita delle classi
subalterne. Nonostante il carisma e la funzione svolta da Chavez, è comunque la
Costituzione ad assumere un ruolo centrale nel «processo bolivariano», che
consiste proprio nel tradurre sul terreno sociale i valori e gli orientamenti
fissati da questo vero e proprio “contratto sociale” tra classi e forze
politiche. Tempi e modalità di realizzazione rimangono come detto questioni
aperte nel “laboratorio venezuelano”. Qualunque siano gli sviluppi della
trasformazione sociale in atto, dall'altra parte dell'Oceano un'indicazione
arriva forte e chiara: non può esserci rivoluzione sociale senza libertà (e
quindi sovranità) nazionale. Solo riconquistando l'indipendenza nazionale è
possibile giungere concretamente alla riconquista di una 'possibilità di
socialismo', un assetto sociale che renda conseguibile la felicità per le
individualità e collettività che abitano ogni nazione. L'intervista è all’
ambasciatore del Venezuela in Italia, José Luis Berroteran Acosta.
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