n.76 VII anno, 9 luglio 2010
Sommario esteso della rivista Indipendenza
A cura di Abcveneto
Sommario esteso degli articoli del n. 28 (maggio/giugno 2010)
Editoriale/ 25 aprile 1945 - 25 aprile 2010: il filo interrotto di una liberazione ( a breve su www.rivistaindipendenza.org )
Il default sociale dell’euro. La moneta unica, con i suoi correlati meccanismi, parametri e direttive, genera strutturalmente dipendenza, quindi debito, a cui vincolare anche l'Italia, attraverso una spirale usuraia, a quella finanza statunitense che questo debito in ultima istanza controlla. A dieci anni di distanza dalla circolazione monetaria dell'euro, continua ad abbattersi sui popoli e sulle rispettive classi subalterne una mannaia economica a base di tagli alla spesa sociale ed inasprimenti fiscali, per destinazioni finali che rispondono ad interessi tutt'altro che nazionali, tutt'altro che collettivi. Qual è infatti il presunto “bene comune” di cui parla Berlusconi (6 luglio 2010) per giustificare l'orientamento del Governo verso la richiesta di fiducia al Parlamento per approvare l'ennesima stangata finanziaria? Quanto malessere sociale bisognerà ancora sopportare per obbedire agli obblighi europei ed i diktat dei “mercati finanziari internazionali”? Lo scritto di Alberto Leoncini ci rammenta alcuni dei meccanismi con cui la moneta unica sta disastrando il tessuto economico e sociale (non solo) italiano, auspicando che «l'Euro osannato dai vari Prodi, Padoa Schioppa, Trichet, Monti sia un esperimento finito, da rottamare».
La Grecia e noi: dalla speculazione finanziaria al protettorato atlantico - i "come" e i "perché" di una crisi indotta. L'attuale crisi del debito che ha colpito la Grecia non è il frutto di frodi contabili, corruzione ed evasione fiscale dilagante, né del fatto che “si è vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, frase offensiva per i milioni di cittadini che, dalla Grecia all'Italia, faticano a sbarcare il lunario.... Si è trattato invece di un attacco della finanza USA, per conseguire queste finalità politiche e geopolitiche: centralizzare, auspicabilmente su Commissione Europea e Banca Centrale Europea, le politiche economiche e di bilancio degli Stati dell'Unione Europea; spazzar via definitivamente le sovranità degli Stati, ridimensionando spinte autonome e concorrenziali di paesi che, capitalisticamente, hanno dato qualche segnale di autonomia, come la Germania; legare ancora più strettamente a Washington i destini dei popoli 'europei'. La crisi greca è stata resa possibile dal sistema di regole neo-liberiste dell’Unione Europea, sistema voluto dagli Stati Uniti e funzionale ai propri interessi economico-commerciali e politico-militari, condiviso servilmente anche dalle classi dirigenti greche subalternizzate agli Stati Uniti. Questi punti sono motivati nello scritto. I paragrafi: 1) Washington alla guerra finanziaria. Dalla fine della sovranità economica statale alla catena del debito; 2) Prima della crisi greca. Le consulenze interessate delle grandi banche USA; 3) Le cause tecniche della crisi greca; 4) Integrazione UE, subprime USA, crisi greca. Gli intrecci perversi della globalizzazione finanziaria; 5) Le finalità politiche della crisi greca; 6) Grecia, UE, Germania. Alcune domande; 7) Come uscirne. Prime notazioni preliminari.
E con i nodi della dipendenza, intanto, anche gli italiani, con l'ennesima stangata del governo di turno, cominciano a conoscerne sempre più le conseguenze in termini di tagli sociali, precarizzazione ed insicurezza crescenti di aspettative e aspirazioni di vita...
Pomigliano d’Amerika: servaggio del lavoro alla FIAT - colonialismo interno e dipendenza estera. L'accordo capestro proposto dall'amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne, per Pomigliano d'Arco non spunta dal nulla e non è casuale per la realtà sociale individuata, il meridione d'Italia, dove il ricatto occupazionale (“lavoro, a qualunque costo, o chiusura”) è socialmente più sentito. La «barbarie pre-moderna» dei diktat FIAT di strozzinaggio sul lavoro sono il risultato di fase della progressiva incorporazione della FIAT auto nella “nuova Chrysler”; delle prescrizioni di politica economica del “Washington Consensus” –tra cui la flessibilità del lavoro– veicolate a livello globale dal FMI ed in Eurolandia soprattutto da Bruxelles e Francoforte; di 'principi' e normative europee –dalla “libertà d'impresa” agli orientamenti e direttive sul lavoro della Commisisone Europea, dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale e di commercio estero allo smantellamento delle sovranità statali e nazionali (anche) in tema di politica industriale. Se ne ricava quindi che la contraddizione capitale/lavoro sganciata da un contesto di sovranità politica nazionale, si rivela assolutamente marginale ed impotente. Le lotte dei lavoratori devono passare per la difesa degli interessi nazionali, pena la loro inefficacia.
L’assalto alla scuola italiana negli ultimi decenni (terza parte). I provvedimenti ed i progetti di riforma ai tempi dell'ultimo governo Prodi sono oggetto di attenzione in questo scritto di Roberto Renzetti sulle riforme di devastazione della scuola pubblica italiana, anche queste su impulso europeo. I paragrafi: 1) Pedagogismo, distruzione della scuola e Lisbona 2000; 2) Da Berlinguer a Fioroni. Parità economica e sistema misto pubblico-privato; 3) Chi è che sostiene il ministro?; 4) Per un ripristino degli esami di riparazione e dei Programmi Nazionali nella scuola; 5) Gli inquietanti risvolti dell’ “identità culturale” delle scuole; 6) L’illiberalità del centrosinistra sulla scuola. I rilievi del “Manifesto dei 500”; 7) Un po’ di memoria storica. La dequalificazione della scuola pubblica e nazionale nella riforma dei cicli di Berlinguer.
Al di là dell'indignazione e la legittima contestazione dei tagli del corpo docente e non docente, ultimi quelli del centrodestra, che ha iniziato a cancellare di fatto tantissimi precari e a precarizzare gli ultimi entrati di ruolo, tra le pieghe dello scritto si ribadisce la necessità di una proposta di asse culturale nella scuola che contrasti lo sfaldamento progressivo di contenuti e formativo cui hanno concorso in questi anni centrodestra e centrosinistra.
Gli USA contro la sovranità energetica e scientifica italiana - dal dopoguerra agli anni Settanta. Alle origini della dipendenza petrolifera (seconda ed ultima parte). Energia, ricerca e sovranità nazionale. Un Paese che voglia dare sostanza alle proprie aspirazioni all’indipendenza non può non porsi il problema di una politica energetica e di ricerca scientifica che soddisfi i bisogni della propria collettività e che sia svincolata dagli interessi capitalistici e di dominio di oligarchie interne ed estere. Dopo aver criticato i progetti nucleari del centrodestra e lanciato proposte per l’indipendenza energetica nazionale (cfr. “Dal petrolio al nucleare: diversa la fonte, analoga la dipendenza”, Indipendenza n. 24), Roberto Renzetti ripercorre alcune vicende di storia patria nel campo energetico e della ricerca scientifica per dimostrare due tesi: 1) come affidare la produzione di energia a gruppi privati si riveli penalizzante per la collettività nazionale; 2) i pesanti condizionamenti di Washington nella politica energetica e nella ricerca scientifica nazionale, in particolare nell'aver ancorato il Paese alla dipendenza petrolifera. Si ripercorrono le vicissitudini di figure “borghesi” come Enrico Mattei e Felice Ippolito, accomunate dal perseguire progetti che, a prescindere dal merito, sono abortiti perché osteggiati dalle strategie di dominio USA. «In conclusione: l'Italia si ritrova con una grossa quantità di centrali termoelettriche; le è stato impedito di avere un rifornimento autonomo di petrolio; le è stata preclusa la strada dell'allora alternativa energetica nucleare; non ha sviluppato né la geotermia né il solare. Dietro tutto ciò ci sono i padroni statunitensi ed i governi e gli uomini italiani che sono stati loro fedeli servitori. Si tenga bene a mente tutto ciò quando si leggono dichiarazioni come quelle odierne del governo Berlusconi, secondo cui oggi è indispensabile il nucleare!».
Per una moratoria dei prodotti OGM. La parola ai popoli. Permettere la commercializzazione e la coltivazione degli Organismi Geneticamente Modificati significa sottomettersi in maniera forse irreversibile alle strategie di controllo del mercato del cibo degli Stati Uniti, decisi sponsor della diffusione globale degli OGM. Lasciar passare gli OGM significa assistere progressivamente alla distruzione dell’agricoltura italiana e alla perdita della sovranità alimentare. La “coesistenza” tra le coltivazioni tradizionali e l’OGM è impossibile, contaminando questi ogni coltura attraverso aria, terra, corsi d'acqua, un rischio forse irreversibile per la salute umana e per l’ ambiente. Altro che “lotta alla fame nel mondo”, che si combatte proteggendo le agricolture locali dalla voracità delle multinazionali agroalimentari, con l'adozione di modelli alimentari rispettosi dell'ambiente e della salute individuale e nazionale. Incurante delle forti obiezioni, la Commissione Europea di Barroso intende mettere a punto un sistema che consenta agli Stati di scegliere se autorizzare o no le colture OGM. Con buona pace dello stesso “principio di precauzione” introdotto nel Trattato Europeo di Maastricht (1992)! In nome dell'Europa e per conto degli Stati Uniti, dunque, gli OGM stanno per irrompere nell'agricoltura italiana. Sarebbe ora che il mondo dell'anti-imperialismo facesse causa comune con gli agricoltori italiani e li appoggiasse nel promuovere una consulta referendaria che lasci al voto dei cittadini la possibilità di esprimersi su una questione di vitale importanza. Come proposte operative giuridiche e istituzionali, può essere utile la “Carta di Montebelluna” della retezerogm, sottoscritta da numerose associazioni, riportata nell'articolo.
L’Italia agricola e delle piccole imprese nella morsa della “globalizzazione”. Parlare di agricoltura come “questione nazionale” potrebbe sembrare la maldestra riesumazione di un armamentario politico da “battaglia del grano”. Le teorie economiche oggi dominanti ritengono d'altronde che specializzarsi nell’ agricoltura sia una scelta perdente a causa dei bassi investimenti teoricamente necessari per operare in tale ambito, essendo il fattore produttivo più importante per operare nel campo agricolo ovviamente la terra. Tuttavia la realtà contemporanea si è fortemente discostata da tali nozioni che trovano ancora ampio spazio nella letteratura economica. Il settore primario si è fatto sempre più “tecnologico” e gli interessi correlati su questo versante fanno gola. Le vicende degli OGM e dell'acquisto di milioni di ettari di terreno agricolo (“land grabbing”) da parte di multinazionali e Stati, delle speculazioni borsistiche sui principali beni alimentari, costituiscono gli elementi più rilevanti in tal senso. Sottoposta all’attacco della dinamica globalizzante dell’agrobusiness ed alle strategie di controllo alimentare planetario in particolare di Washington, la “sovranità alimentare” –che non è comunque sinonimo di autarchia– è sempre più una questione centrale nello scenario geopolitico che si avvia verso il “multipolarismo”. In questo contesto va compreso il precarissimo stato del settore agricolo italiano, penalizzato dalla Politica Agraria Comunitaria (PAC) ed in pesantissima crisi economica a causa della flessione della domanda interna ed estera, per nulla beneficiario dei rilevanti rincari dei “prodotti agricoli”, che arrivano sulle nostre tavole a prezzi tutt’altro che modici, inibendo ulteriormente la domanda stessa. Ciò penalizza anche il correlato indotto imprenditoriale, in cui l’Italia detiene storicamente, anche all’estero, una posizione di primario rilievo. Tra queste realtà, vi è la Bi.Vi. Irrorazione di Treviso, piccola azienda a conduzione familiare specializzata nella produzione di accessori per il trattamento fitosanitario delle colture agricole (in sostanza l’irrorazione, dalle pompe a spalla ai carrelli). Comprendere le difficoltà di settori di piccola-media impresa è importante per capire il contesto sociale in cui agire. Anche al fine di ragionare su un indirizzo politico-economico per l’agricoltura che, in nome della “sovranità alimentare” e della tutela degli interessi ambientali e sanitari della popolazione di questo Paese, concili biodiversità e la preferibile biologicità delle colture con un reale progresso (anche) tecnologico, con ovvia considerazione degli interessi dei lavoratori del settore. In quest'ottica diamo la parola a Maria Biscaro, contitolare dell’ azienda trevigiana.
Fascismo contro nazione. Storia ed attualità di una strumentalizzazione. Esaminando la storia della sinistra italiana negli ultimi decenni, un elemento distintivo che emerge in tutta la sua evidenza è senza dubbio la rimozione dell'idea di nazione e di patriottismo. Rimozione, questa, di natura culturale oltre che politica. Indubbiamente una delle ragioni determinanti di una simile idiosincrasia nei confronti di categorie politiche intrinsecamente connotabili in modo tutt'altro che negativo va ricercata nella strumentalizzazione che il pensiero liberale prima, e soprattutto il fascismo poi, hanno operato nei confronti del concetto di nazione e della sua spendibilità politica. Se nel primo caso la manipolazione appare evidente, nel caso del fascismo la strumentalizzazione si è rivelata decisamente più subdola e difficile da smascherare. Non sorprende quindi che nell'immaginario comune di gran parte degli italiani “la nazione”, “la patria”, “il tricolore”, “l'inno nazionale”, siano generalmente percepiti come un patrimonio pressoché esclusivo della cultura di destra, cui opporre un malinteso internazionalismo ("inter" infatti sta per "tra", non per "senza" le nazioni), del tutto funzionale alla logica del capitalismo. Si rende dunque necessario sfatare il mito del legame indissolubile ed esclusivo tra fascismo e nazione, la quale è stata invece dal primo utilizzata strumentalmente in vista di ben altri obiettivi, sostanzialmente imperialistici e anti-nazionali. Contro ogni tentativo di strumentalizzazione e la superficialità con cui larghi spezzoni del movimento antagonista liquidano sbrigativamente il concetto di nazione, è dunque ancora una volta necessario riaffermare con forza la centralità del legame inscindibile tra liberazione nazionale e liberazione sociale. Centralità nella quale può essere riassunto il pensiero nazionalitario, e che è tra l'altro corroborata dalla storia stessa del socialismo, dal momento che ha storicamente costituito l'elemento cardine di qualsiasi applicazione pratica dello stesso. I paragrafi dello scritto: 1) Il fascismo storico; 2) Il nazismo; 3) Da Salò al neo-fascismo “atlantico", fino al post-fascismo; 4) Il neofascismo “rivoluzionario”: dalla Giovane Europa all'Eurasia; 5) Imperialismo fascista contro patriottismo nazionale.
L’involuzione storica dell’antifascismo. L’antifascismo ha cambiato segno nel corso degli ultimi 70 anni. È la constatazione di Gianfranco La Grassa, che esordisce esprimendo ammirazione per l'antifascismo "nobile", quello degli uccisi e dei perseguitati, del carcere e del confino, dei protagonisti della Resistenza, la cui ossatura fu comunista. L'antifascismo è oggi egemonizzato dagli eredi dei “voltagabbana”, di quel capitalismo privato diventato “antifascista” solo a guerra perduta, appoggiando il colpo di Stato monarchico del 25 luglio 1943 ed il relativo cambio di alleanze. Si tratta di un ceto parassitario prone agli Stati Uniti, che nella vulgata antifascista dominante rappresenterebbero dei “liberatori” piuttosto che degli invasori. Un importante ruolo in questa involuzione lo riveste il PCI; l'articolo ne tratteggia prodromi storici e processo degenerativo verso il “compromesso storico” con il grande capitale e con gli Stati Uniti, con il suo apice nell'ascesa di D'Alema a capo del governo durante l'aggressione alla ex Jugoslavia.
Origine e significato dello Stato-nazione. Il caso dell’Italia (seconda ed ultima parte). La figura di Mazzini ed il ruolo storico del cattolicesimo liberale di Gioberti sono particolare oggetto di attenzione di questo articolo di Massimo Bontempelli. Qualche accenno anche alla figura di Garibaldi. Significativa in particolare la parabola di Mazzini, da “terrorista" a patriota nella mitologia del Risorgimento. «Mazzini, morto nel 1872 bandito dal regno d'Italia, che continuava a considerarlo un terrorista, dopo la sua morte viene sorprendentemente legittimato come patriota, perché con il passare del tempo la classe dirigente del regno, stretta tra l'estraneità di larghe masse dello Stato unitario, il disconoscimento dei cattolici, e poi anche l'opposizione dei socialisti, rappresentativi della nascente classe operaia, si accorge di aver bisogno, per costruire compiutamente la nazione, sia dei suoi ardenti seguaci, sia del suo insegnamento morale e civile».
USA/ “Obamacare”, il risanamento dell’industria della salute negli States. L’ essenza delle 2.800 pagine di "Obamacare", riforma definita storica dai media oltre che dalla scandalosa sinistra italiana, è un mega drenaggio di risorse pubbliche verso le compagnie di assicurazione private, sull’orlo della bancarotta anche perché l’impoverimento in crescita negli USA ha fatto aumentare il numero degli impossibilitati a permettersi un’assicurazione sanitaria (costi da migliaia di dollari all’anno). Nell'articolo si tratteggiano gli elementi salienti della riforma presunta “socialista” «scritta su misura dell'industria farmaceutica e delle assicurazioni private».
Venezuela/ Sovranità politica e liberazione sociale. Parla l’ambasciatore in Italia. «Con la vittoria elettorale di Chavez si mettono in moto due processi paralleli: quello della re-istituzionalizzazione e della rivoluzione sociale dal basso. Da una parte quindi il tentativo di fornire una nuova legittimità istituzionale e di rendere efficaci le istituzioni e le funzioni statali. Dall’ altra l’avvio di un processo di trasformazione sociale sostenuto da larghi movimenti di base (…) Complessivamente questo processo di trasformazione viene denominato «processo bolivariano» (…) Considerata l’estensione e la varietà dell’area politica che appoggia il processo, pretendere di misurare la trasformazione sulla base della capacità di imporsi di un solo settore, risulta non solo poco serio, ma perfino pericoloso (…). Se il processo non potesse contare su una certa ampiezza politica, esso non solo non sarebbe migliore, ma probabilmente non esisterebbe del tutto (…) Il fatto interessante del processo bolivariano consiste proprio nella molteplicità e nella varietà delle organizzazioni che va ben oltre la contraddizione centrale tradizionale tra capitale e lavoro» (Dario Azzellini, “Il Venezuela di Chavez”, DeriveApprodi, 2006). La descrizione del «processo bolivariano» espressa in queste righe ci conferma che ogni realtà politica nazionale ha le sue specificità, e che dunque un reale processo di liberazione nazionale –che per essere effettivo, stante la valenza collettiva del concetto di nazione, necessita dell'emancipazione sociale delle classi subalterne– non consiste nell'imposizione dall'alto di una qualsivoglia ideologia. Il fondamento nazionale, che è il modo culturale (e non a caso plurale) con cui gli uomini si concretano nel loro essere storico, è quanto di meno uniforme, omogeneizzante e coercitivo ci sia e si possa pensare, anche al suo stesso interno, restando orizzonte sociale tra i più liberi per le collettività e le individualità che le compongono. Il caso del Venezuela è contraddistinto da un confronto democratico, a sempre più ampia partecipazione popolare, tra diverse posizioni politiche ed esigenze di classe per la costruzione di un nuovo assetto di società. Un confronto che non manca di contraddizioni e lacune, insufficienze e lentezze, ma che ha intanto consentito visibili miglioramenti nelle condizioni e prospettive di vita delle classi subalterne. Nonostante il carisma e la funzione svolta da Chavez, è comunque la Costituzione ad assumere un ruolo centrale nel «processo bolivariano», che consiste proprio nel tradurre sul terreno sociale i valori e gli orientamenti fissati da questo vero e proprio “contratto sociale” tra classi e forze politiche. Tempi e modalità di realizzazione rimangono come detto questioni aperte nel “laboratorio venezuelano”. Qualunque siano gli sviluppi della trasformazione sociale in atto, dall'altra parte dell'Oceano un'indicazione arriva forte e chiara: non può esserci rivoluzione sociale senza libertà (e quindi sovranità) nazionale. Solo riconquistando l'indipendenza nazionale è possibile giungere concretamente alla riconquista di una 'possibilità di socialismo', un assetto sociale che renda conseguibile la felicità per le individualità e collettività che abitano ogni nazione. L'intervista è all’ ambasciatore del Venezuela in Italia, José Luis Berroteran Acosta.
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