CAPITOLO XXII: PANTA REI
Di Maria Prosdocimo
Improvvisamente dal soggiorno giunsero le note struggenti dello Schiaccianoci.
“Com’è bella questa musica! Di chi è?” chiese ispirata Costanza, “E’ Ciaikovsky,”, rispose visibilmente perplessa Maria, girando la testa verso la provenienza del melodioso suono, “dev’esserci mia sorella di là, vado a vedere. Tu aspettami qua.”
Lasciata l’amica in compagnia della madre Maria uscì dalla cucina e raggiunse il salottino.
La luce del pomeriggio filtrava tra le asticelle delle serrande quasi completamente abbassate, proiettando reticolati
luminosi sulle pareti e sui mobili: “Cosa ci fai lì per terra?”, chiese a Marta che se ne stava rannicchiata nell’angolo più in ombra del soggiorno.
Sul giradischi il long plain di vinile continuava a girare sotto la puntina del braccetto di plastica, emettendo melodie e fruscii; era il Valzer dei Fiocchi di Neve che Clara, la figlia dei signori Stahlbaum, guarda incantata insieme al suo bel principe Schiaccianoci dopo essere giunta nel Regno delle Nevi.
Si trattava del brano preferito da Marta, che tante volte le due sorelle avevano ballato insieme, improvvisando coreografie e passi di danza strampalati a imitazione dei corpi di ballo più famosi al mondo.
Non tanto la leggera differenza d’età fra le due, quanto la maggior robustezza fisica di Maria rispetto all’esile struttura della sorella, aveva sempre determinato l’assegnazione dei ruoli, per cui, nei balletti, la prima era costretta per forza ad interpretare le parti maschili, lasciando alla seconda i passi leggiadri e più eleganti delle eroine femminili.
“Non vuoi più stare con me?” le chiese la piccolina con espressione corrucciata, mentre il nocciola dorato degli occhi mandava bagliori attraverso un velo sottile di lacrime.
“Ma cosa vai a pensare? Sei proprio tutta scema!” esclamò Maria mostrandosi stupefatta e fingendosi un po’ risentita. “Certo che voglio stare con te, solo che abbiamo dovuto fare un sacco di ricerche per la scuola in questi giorni, ti saresti annoiata con noi...”, continuò afferrando per le mani la sorella e aiutandola a rialzarsi.
“Vieni qua, sciocchina!” le disse stringendola fra le braccia, “Oggi resto a casa con te, Costanza può andare da sola in biblioteca e io recupererò domani.”
Marta sorrideva raggiante ora. Strinse a sua volta in un abbraccio impetuoso Maria, appoggiando teneramente la testa sulla sua spalla e rimanendo così per alcuni istanti.
“Possiamo ballare la danza dei negretti!”, disse quasi gridando e saltellando per la gioia, “Dei moretti, stupida! Dei moretti. Quando ti entrerà nella zucca?”.
Quello dell’Aida, insieme alla magnifica Danza delle spade di Khachaturian, era fra tutti i balletti il suo preferito.
Sulle note vivaci e incalzanti di quei brani la bimba si scatenava, improvvisando piroette e salti in rapida successione che trasformavano il suo corpicino in un’esplosione di energia vitale, capace di far strabuzzare gli occhi a chi l’osservava.
Danzava e si contorceva freneticamente per ore, ma sempre con grazia, fino a cadere a terra, sfiancata e felice.
“Vada per Verdi!”, rispose Maria sorridendo divertita; sentiva dilagare dentro di sé una tenerezza sconfinata per quella creatura facilmente adombrabile, la cui felicità troppo spesso dipendeva in gran misura da lei.
“Non prendertela, Costanza,”, disse all’amica, accompagnandola alla porta, “lo devo fare,” continuò sussurrando quelle parole piano per non farsi sentire dalla sorellina rimasta
ad osservarle mentre si allontanavano, “Marta ha bisogno di me oggi, non la posso lasciare da sola.”
Costanza sorrise, non era arrabbiata, avrebbe dato chissà che cosa per avere una sorella così affezionata, con la quale confidarsi e complottare: “Domani alla stessa ora!”, rispose salutandola, “Domani ci daremo dentro e leggeremo tutti gli articoli che non abbiamo ancora controllato.”
“A domani!” sussurrò, grata, Maria.
Il soggiorno adesso era tutto illuminato; riavvolte completamente le serrande, Marta aveva spostato già le poltroncine di vimini ed il tavolino, addossandoli alle pareti per fare spazio al centro della piccola stanza, ora invasa dalla luce del sole e splendente come il suo cuore felice.
Maria s’infilò la calzamaglia verde e calzò le Superga blu che teneva da parte, come reliquie preziose, solo per quell’uso sporadico.
Rimasta in canottiera bianca e calze scure, il taglio corto dei capelli neri e crespi tirati all’indietro e lisciati con dell’acqua saponata, sembrava proprio, in miniatura, un primo ballerino della Scala, una minuscola étoile dalla muscolatura nervosa e scattante, pronta a sollevare e a far volteggiare in aria la più aggraziata e leggiadra sorellina, bellissima con le sue calzette rosso fuoco e il gonnellino di taffettà azzurro.
In cucina, la madre sorrideva fra sé e sé, immersa nei mille profumi del suo famoso minestrone estivo, contenta di udire la risata argentina della piccola Marta che, ritrovata la consueta allegria, aveva già ricominciato a stuzzicare la maggiore, provocandola ad arte e fingendo di non dare importanza ai suoi ammaestramenti.
L’una esuberante e azzardata, l’altra meticolosa e pignola benché non meno vivace e fantasiosa.
La dolcezza della sera calò gradualmente sulle cose, spegnendo a poco a poco colori e rumori; tutto alla giovane sposa parve perfetto e prezioso: due figlie veramente felici, il marito piacevolmente impegnato nel suo lavoro di restauro, giù nel laboratorio, il figlio maggiore ancora in giro per campi a far scorribande con gli amici e il sorriso dolce, tutto per lei, dell’ultimo nato che la guardava e le parlava da dentro il box, fra giocattoli e resti di merenda.
Era quella la felicità! E sarebbe bastato così poco per perpetuarla ogni giorno, per sempre.
Chiuse gli occhi per sentire meglio la musica, per lasciarsi penetrare da essa e, accennando a qualche passo di danza, cominciò a preparare la tavola, sistemando con precisione ogni tovagliolo, le posate ad una ad una, lucidandole per bene con un panno asciutto, controllando contro luce ogni bicchiere perché fosse perfettamente trasparente e senza residui di asciugatura.
Fece ogni cosa con cura, continuando a volteggiare nella stanza al ritmo della musica e dei suoi pensieri dolci come l’aria di quella serata perfetta, sotto lo sguardo divertito del bambino che aveva abbandonato le proprie occupazioni per osservarne incuriosito le insolite movenze.
Non capiva, non poteva capire cosa stesse accadendo alla madre, ma quella gioia contagiosa arrivò anche all’innocente creatura, coinvolgendola e moltiplicando la sua felicità.
Di Maria Prosdocimo