n.72 VII anno 1 marzo 2010
Rivisitare l’Ottocento a Venezia. La mostra del museo Correr

Di Anna Paola Zugni-Tauro
Giacomo GuardiDopo il glorioso Settecento veneziano di dimensione europea per stile di vita e per creazione di capolavori, ricco di personaggi emergenti da Sebastiano Ricci, a Canaletto, a Bellotto, a Rosalba Carriera, a Pellegrini, Casanova, Goldoni, Galuppi, Vivaldi, Marcello, nei cent’anni (1797-1859) dell’Ottocento, cioè dalla caduta della Repubblica alla prima Biennale, il panorama appare sconfortante, irreversibile, ma pur sempre affascinante a livello internazionale.
L’atmosfera di morte fu amata dai decadenti europei da Heine, Byron, Shelley, dai romantici francesi, da Nietsche, Hofmansthal, Mann, Rilke, Hesse, che crearono capolavori ispirati da una città capace ancora di suscitare le sensazioni di Proust, le narrazioni di James, l’estetismo di Fortuny e di D’Annunzio. Sul piano culturale queste furono le resurrezioni della intramontabile “fenice”, ma sul piano concreto e al di là del mito si scoprono invece le difficoltà economiche e demografiche provocate da ignoranza, speculazione, epidemie, furti, scassi edilizi, miseria, sofferenze e tensioni che percorrono la storia dell’Europa intera causando irreparabili tramonti.
Nonostante tutto la città ha continuato a vivere, a resistere ed anche a progettare, a costruire, ad opporsi al degrado ed alle umiliazioni con volontà spesso eroica e con profonda consapevolezza della propria identità. Per capire questa parte positiva aldilà degli esaltanti fremiti wagneriani e dello struggimento funebre di Mann, bisogna rileggere “La Repubblica del Leone” di Alvise Zorzi nella trattazione dell’Ottocento, quando descrive l’eroica resistenza dei veneziani sia di fronte a Napoleone, sia di fronte all’Austria. Che tragedia!
La fame del 1849 non aveva raggiunto gli abissi della fame napoleonica del 1814 e si era aggiunta la peste! Una ripresa si avrà solo negli anni Ottanta. Il valoroso Daniele Manin dal suo esilio parigino esclamava: “ Noi non domandiamo all’Austria di essere liberale e umana… Noi domandiamo che se ne vada” ed era questo il pensiero dei veneziani.
La ricca mostra “ 800 disegni inediti dell’Ottocento veneziano”, ( 19-12-09 – 11-04-10) curata da Giandomenico Romanelli, Filippo Pedrocco e Andrea Bellieni con i preziosi disegni delle immense raccolte del Correr ed esposta nelle sale del Museo ci induce a riconsiderare questo secolo problematico per una Venezia infelice e intrepida, sostenuto da una popolazione la cui identità non fu spenta dalle odiose e rapaci occupazioni straniere. E’ una stimolante proposta che ci invita a conoscere artisti testimoni di quel secolo con rivelazioni interessanti e varietà di toni.
Ecco i memorabili eventi storici documentati da Giuseppe Borsato, quali il corteo acqueo per Napoleone nel novembre 1807, il giuramento a Francesco I° delle Provincie Venete in San Marco nel 1815, e da Luigi Querena che illustra la rivoluzione in Piazza San Marco il 22 marzo 1848. Il Querena ci raffigura anche Venezia con la neve, suggestiva ma deserta in Palazzo Ducale e in Campo SS. Giovanni e Paolo, e poi vedute del Canal Grande col “fresco” e di Palazzo Ducale con un modesto spettacolo di burattini in Piazzetta. Anche Carlo Gilio ci fa vedere una melanconica chiesa dei Miracoli e Giovanni Pividor ci propone immagini intenzionalmente pittoresche, ma ai nostri occhi tristi, della scala del Bovolo e di San Marcuola.
Donne bigollantiE i veneziani dove sono? Accanto ad un interno in casa Spaur di un belga fattosi veneziano, François Vervloet, agli schizzi del grande Ippolito Caffi, chi ci introduce nei caffè è Giacomo Favretto, che in anni meno tragici tra il 1875 e il 1880 coglie nei numerosi e confortevoli caffè veneziani con carta e matita momenti dal vivo della borghesia, documentando gli abbigliamenti e gli atteggiamenti dei personaggi, nonché le atmosfere degli interni e i dettagli di tappezzerie, specchi, mobili ancor oggi riconoscibili nei caffè Quadri o Florian
E i poveri dove sono? Ce lo rivela Eugenio Bosa che sa guardare al popolo e viene definito il primo pittore di genere in ambito veneziano: egli seppe farsi portavoce di una denuncia sociale e testimone del dilagare della miseria soprattutto negli anni 20 e 30. Egli introduce i poveri veneziani, lontani dal relativo benessere sul quale poteva ancora contare una parte della popolazione, con i loro stracci, la loro vita stentata, i litigi, le delusioni per la perdita al lotto, le dimesse consolazioni dell’osteria, la fatica delle donne” bigollanti”, che portano i secchi sulle spalle e camminano a piedi nudi sulle pietre della città. Questo pittore “verista” incontrò nell’Italia del Nord favore e fortuna.
Ho indicato i motivi del vivo interesse che suscita la mostra. Accanto a questa visita all’inedita panoramica ottocentesca sotto forma di disegni consiglio l’utilissima lettura di un volume pubblicato da “Elzeviro” nel 2005, che aiuta piacevolmente ad immergersi nel medio Ottocento.
E’ “Vita veneziana” di William Dean Howells, il primo console americano a Venezia dal dicembre 1861 al 1865. Aveva 24 anni quando raggiunse l’ex Serenissima e la esplorò con un acuto spirito d’osservazione, una vasta cultura, sensibilità, curiosità, amore e humor. Il suo libro ci dà uno spaccato vivo e convincente e fu pubblicato in America nel 1866: divenne un classico che avvierà la corrente verista nordamericana, ricca di celebri scrittori che ameranno Venezia, da Henry James a Edith Wharton. Magistralmente tradotto da Renato Prestriniero, illustrato con foto d’epoca da un raffinato editore quale Alessandro Tusset, ci regala uno spaccato di vita veneziana veramente prezioso, inoltrandoci in un periodo storico in cui si costruiva l’unità d’Italia.
Di Anna Paola Zugni-Tauro


 
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