n.78 VII anno, 5 settembre 2010
Collezione Peggy Guggenheim: Adolph Gottlieb, una retrospettiva
A cura di Abcveneto
Dal 4 settembre al 9 gennaio 2011, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, presenta Adolph Gottlieb. Una retrospettiva, prima antologica in Italia, dedicata all’espressionista astratto americano. La mostra si colloca nell’ambito di una linea d’indagine, perseguita dal museo veneziano in occasione delle personali dedicate a William Baziotes, Jackson Pollock, e Richard Pousette-Dart, incentrata su quell’emblematica generazione d’artisti d’oltreoceano del secondo dopoguerra, il cui linguaggio nasce e matura proprio negli anni in cui Peggy Guggenheim apre a New York la sua galleria Art of This Century.
La mostra è organizzata in collaborazione con la Fondazione Adolph and Esther Gottlieb, New York, da cui proviene un nutrito nucleo di opere, e include prestiti da musei quali il Museum Frieder Burda di Baden-Baden, il museo Solomon R. Guggenheim di New York, e il Musée national d’art moderne (Centre Pompidou) di Parigi, oltre all’American Contemporary Art Gallery di Monaco e da diverse collezioni private.
La storia di Adolph Gottlieb (1903-1974), carismatico artista e intellettuale, si allinea con quelle degli esponenti dell’Espressionismo Astratto: sodale di Barnett Newman e Mark Rothko, già negli anni ‘30 con quest’ultimo condivide la ricerca di un innovativo linguaggio pittorico basato su una personale espressione artistica, e nel 1935 sono soci fondatori di “The Ten”, gruppo di artisti consacrati alla pittura espressionista. Nel 1941 decidono insieme di esplorare soggetti mitologici e junghiani, dando origine ad una fase importante della nascente Scuola di New York che segna per la prima volta l’indipendenza dei pittori americani dagli schemi dell’avanguardia europea. Ancora con Rothko, Gottlieb è autore dell’ormai storica lettera, pubblicata sul “The New York Times” il 13 giugno del 1943, considerata la prima formale dichiarazione d’intenti dell’Espressionismo Astratto. Nella primavera del 1950 organizza un gruppo di artisti che protestano contro la politica del Metropolitan Museum of Art nei confronti degli artisti contemporanei americani: il gruppo, definito gli “Irascibili” in un articolo del The New York Herald Tribune, divenne noto al grande pubblico grazie ad una celebre fotografia di Nina Leen pubblicata su Life. Nell’immagine compaiono Baziotes, Willem de Kooning, Robert Motherwell, Newman, Pollock, Pousette-Dart, Clyfford Still, e lo stesso Gottlieb. Nel 1958-59, per la mostra itinerante organizzata dal Museum of Modern Art, New York, che includeva Gottlieb e molti di quegli stessi artisti, fu scelto il titolo emblematico di La Nuova Pittura Americana. Tuttavia, come afferma Sanford Hirsch, direttore della Fondazione Adolph and Esther Gottlieb, nel catalogo della mostra alla Collezione Peggy Guggenheim: “Gottlieb è etichettato come pittore espressionista astratto ed è vero che egli fu uno dei fondatori dell’Espressionismo astratto e uno dei suoi maggiori rappresentanti negli anni quaranta e cinquanta. Eppure, il termine è troppo ristretto per contenere l’ampiezza dell’arte di Gottlieb e il suo impatto sui colleghi, il pubblico e gli sviluppi artistici che ne seguirono”. La mostra intende, infatti, dimostrare ai visitatori italiani e internazionali la diversità della produzione di Gottlieb, in continua evoluzione, in accordo con il suo stesso aforisma “Tempi diversi richiedono immagini diverse”.
L’esposizione si articola in un percorso che inizia con dipinti, disegni e acqueforti degli anni trenta, che comprendono i ritratti di Rothko e Milton Avery, altro grande amico dell’artista, e opere ispirate a un importante soggiorno in Arizona negli anni 1937-38. Prosegue poi con una selezione molto ampia, per la prima volta riunita in Italia, della prima serie completa dei dipinti di Gottlieb, i Pictographs, che l’artista comincia a elaborare nel 1941, anno dell’attacco di Pearl Harbor e dell’entrata in guerra degli Stati Uniti. Sono infatti i Pictographs a collocare Gottlieb, insieme a Rothko e a pochi altri, come Arshile Gorky e Pollock, tra i pionieri di una nuova avanguardia americana. L’artista pone lo spettatore di fronte a griglie in cui l’immagine è sezionata per simboli, dall’occhio alla mano ai geroglifici, inventati come traduzione di un’arte primitiva e di matrice mitologica, elaborata dallo studio degli indiani d’America e delle culture visive primitive. Formalmente, rappresentano uno sviluppo distintivo dell’Espressionismo Astratto, la composizione ‘allover’, nella quale l’opera non si basa su un nucleo narrativo centrale ma sulla sua distribuzione uniforme fino a comprendere i bordi delle tela. Nei primi anni ‘50, esaurita la serie dei Pictographs, Gottlieb sviluppa composizioni note come i Labirinti (cominciando con Labirinto #1, 1950, in mostra) e i Paesaggi immaginari dal 1951, come Mare e marea (1952, in mostra). Nella prima opera la griglia che ordinava i simboli dei Pictographs diventa protagonista, dominando il dipinto o facendosi trasparente per rivelare tocchi di pennello nascosti nella profondità della tela. Nella seconda, la composizione si divide in due zone con corpi “celesti” nella parte superiore e un immaginario paesaggio sottostante, dipinto con vigore. Questi lavori conquistano critica e pubblico facendo raggiungere all’artista, dalla metà degli anni ’50, successo e fama. Nel 1956, la parte inferiore dei Paesaggi immaginari si stacca dal bordo del dipinto per diventare una forma fluttuante indipendente all’interno di composizioni verticali note come Bursts, senza dubbio le opere più conosciute di Gottlieb. Nel 1963, una giuria presieduta da Giulio Carlo Argan sceglie Gottlieb per il primo premio della Biennale di San Paolo, Brasile. Negli anni sessanta, nonostante la Pop Art si ponga in antitesi all’Espressionismo astratto, la pittura di Gottlieb è percepita dalla critica come una profetica e vitale fonte dell’arte Minimale. In mostra non mancherà una selezione di piccole sculture, ideali tridimensionali di quell’immagine cosmica imperante nell’arte di Gottlieb: opere in cartone colorato, studi primigeni di un linguaggio plastico, affiancate, secondo la cronologia, alle tematiche pittoriche che li hanno ispirati. L’esposizione si chiude, infine, con una serie di tele, in cui l’esplosione si contrae, si congela in forme e colori più freddi, create dall’artista nei primi anni ’70, poco prima della sua scomparsa, nel 1974, a poco meno di settantuno anni.
La mostra gode del sostegno della Regione del Veneto, di Terra Foundation for American Art, Chicago, Illinois e di Intrapresae Collezione Guggenheim. Hangar Design Group ha curato l’immagine coordinata per la comunicazione. Clear Channel, Radio Italia e Corriere della Sera sono media partner.
Terra Foundation for American Art si dedica a promuovere l'interesse, la comprensione e l’approfondimento dell'arte americana, rivolgendosi a un pubblico nazionale e internazionale. Per promuovere ulteriormente il dialogo con l’arte americana, la Fondazione collabora e supporta esposizioni, ricerche e progetti didattici innovativi. Implicita in tali attività è la convinzione che l’arte possieda le potenzialità sia per distinguere che per unire culture diverse.
La mostra è accompagnata da un esaustivo catalogo illustrato, edito da Giunti, con saggi di Luca Massimo Barbero, Curatore Associato della Collezione Peggy Guggenheim, e Pepe Karmel, Professore Associato e Presidente del Dipartimento di Belle Arti della New York University.
A cura di Abcveneto


 
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