n.85 IX anno, 1 aprile 2011
"Il freddo rumore", racconto di Nicola Rampin, padovano di Comiso

A cura di Abcveneto

Il freddo rumore di Nicola Rampin, racconto ambientato a Padova, suo luogo di nascita, parla della realtà quotidiana, fatti accaduti e combinati con la fantasia dell'autore. Ogni riferimento a cose e/o persone sono da considerarsi puramente casuali.
Monia Mariani nella presentazione del volume scrive: (... ) Il freddo rumore è un racconto inconsueto. Intenso, irriverente pur nella sua semplicità. Può spiazzare, un po' il lettore inesperto: bisogna leggerlo attentamente per farsi un'idea del tutto e comprenderlo appieno. Racconto di strada, perché nella strada nasce e muore.
E' un racconto poetico-filosofico, ricco di timbri "forti", di tinte 'multiformi' e "ipocondriache". Di voci e segretezze. E' idealmente il viaggio-racconto di un dolore: quello di vivere che l'autore percorre, magistralemente, adagio come un melodramma, attraverso i ragionamenti e le supposizioni della giovane protagonista. Un racconto, a prima vista, senza un apparente filo logico. Una voce anteriore che parla, quella di un dolore abissale, fatto di creta a volte o, di solido come il marmo, altre. E' il dolore dell'anima della protagonista (di cui non sappiamo con certezza nemmeno il nome, ma sappiamo che ha meno di trent'anni) che scrive che urla attraverso il nero inchiostro come il pozzo fondo in cui si trova a galleggiare. Un dolore che si esprime attraverso la Poesia, che, a tratti, pura come magma incandescente sembra quarci il tempo. Un'esistenza dissoluta: l'abbandono di sè, il dramma della nascita "la vita è una enorme insonnia", l'incapacità di gestire quella vita ingombrante che la protagonista si è trovata addosso nel vuoto ancora più spaventoso delle droghe.
Il freddo rumore è una altalena di legno sospesa tra infiniti simmetrici, una vertigine tra luce e buio; il buio della fine, di una morte "agognata" e mai cercata fino in fondo. Il suicidio pensato come scappatoia che però non prende forma.
....( ) Prosegue il racconto, altalenante, tra poesia , durezza, crudeltà, odio e rabbia di non riuscire a riprendersi la propria vita risucchiata dentro la droga e il vuoto che sembra, a tratti, offra in dono. Solo, in realtà, come quiete apparente dall'apatia spirituale e cosmica. "Tutto annega in un'incertezza un po' poetica e solo il cielo è ora testimone di questa infinita tristezza e ora il mio più grande desiderio è possedere la morte".
Laura fa repentinamente scivolare, giorno dopo giorno, la sua mano sulla carta e il racconto diventa la liberazione per esprimere quel senso di separatezza "riflesso alla mia deversità". L'immagine dell'acqua che per Laura purifica "liquido fumante... pareti bianco latte ipnotico, pacifico gallegiante... fluidifica i pensieri", e poi ci sono i sogni che nella notte la possiedono, la plasmano la reinventano (... )Forse c'è la redenzione : l'Amore?!
"Ancora mao l'amore anche quando mi devasta". Una poesia di dolore senza, apparentemente, una decorosa liberazione, se non nell'ultimo trapasso che ri-conduce all'eternità di quell'amore mai placato.
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A cura di Abcveneto


 
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