n.85 IX anno, 1 aprile 2011
Cineforum: Ibrahim Labyad a Treviso

Di Raffaella Biasi
(scritto da ABBAS ABU ALHASAN - regia di MARWAN HAMED - 2009 -)
La scuola Giorgi di Treviso ha offerto uno spazio per parlare di culture diverse, un tema sempre più necessario. E' stato proiettato a marzo e lo sarà ancora in aprile, il film inedito in italiano: Ibrahim Labyad. La visione di questo film si inserisce in un progetto più articolato (coordinato da Raffaella Biasi), per far conoscere e capire l'altro da sé e nello specifico le altre culture. Il progetto comprende una piccola mostra fotografica, tre film inediti e tradotti in italiano, che parlano di tre zone di immigrazione: Africa del nord, America del sud, Europa dell'est; il prosieguo di una biblioteca con libri in lingue diverse, il teatro in cui ci si racconta e si esorcizzano i mostri delle storie personali e molto altro ancora.
Il primo film scelto è egiziano, del 2009 e parla di una storia vera il cui protagonista è morto nel 2000. E' LA STORIA DI UN BAMBINO A CUI VIENE UCCISO IL PADRE DAVANTI AGLI OCCHI E per vivere deve andare a lavorare per la persona che gli ha ucciso il padre, ma che in seguito deve scappare con tutte le conseguenze di una fuga pericolosa e di un inserimento sociale fatto di difficoltà da cui non si può più scappare. Il bambino, nel film, diventa grande in fretta e attraverso le sue vicende ci fa apprezzare uno spaccato della società in tutti i suoi rituali e i suoi MODI di risolvere la vita.
Pur essendo una storia l'ho scelto per il suo valore documentaristico e realistico, perchè racconta in modo diretto tante scene a cui il vero viaggiatore dei paesi arabi è abituato (la quantità di gente, la festa dell'agnello, le mani intrise di sangue sui muri, il caffè nelle ferite, i vestiti delle donne, il rinfrescarsi sui tetti di notte, l'uso delle armi, la danza del ventre solo per uomini ecc).
È un action movie magistralmente interpretato da degli attori da oscar. Le spettacolari risse con coltello o la spada sono all'ordine del giorno in Egitto, per cui ogni egiziano è abituato ad usare coltelli, spade e bastoni fin da bambino, usanza che è rimasta simboleggiata nella tradizionale danza durante le feste, in cui gli uomini mimano una lotta con spade e coltelli. La vita è durissima e sopravvive solo chi ha coraggio e chi non ha paura del dolore fisico. La violenza del film è sconcertante, lascia agghiacciati. Certo la quotidianità non è così, ma il genere di educazione e di soprusi gerarchici denota una certa tradizione all'educazione punitiva.
Di diverso c'è che il film è creato in Egitto da egiziani. Ne deriva che non è un film con PARAMETRI HOLLYWOODIANI, né bollywoodiani. L'Egitto, madre del mondo (umm al-dunya), ha una grande tradizione filmica che permette di veicolare la sua lingua a tutti i paesi arabi e - con la lingua e i film - anche la cultura. Quindi è stato girato in Egitto con la sensibilità e il modo di vedere le cose dell'Egitto e quindi con una cultura di riferimento che ha delle similitudini con buona parte del nord Africa e medio oriente. Naturalmente devo ricordare che la differenza fra un marocchino, un libico e un egiziano, è simile a quella che c'è tra un greco, uno svedese o uno svizzero, ma comunque sono accomunati sia dalla grande cultura islamica - che tutto pervade – sia, in alcuni strati di popolazione, dalla difficoltà di sopravvivenza economica e dal conseguente modo di affrontare la vita.
Questa è una storia vera, di persone effettivamente vissute e viventi e conosciute. Dal momento che è permeato di scene estreme, mi preme far notare che questo film non rappresenta tutta la popolazione egiziana, che certamente ha quartieri poveri, ma anche medi e ricchi e molto occidentalizzati, ma comunque dimostra che la vita è una vita a tinte forti. E' stato girato nella provincia di Qalyubiya (Cairo nord), nel noto quartiere chiamato “ shobra” (che ha 2 milioni di abitanti), famoso per la droga e la violenza. In questi quartieri non si aggira neanche la polizia egiziana, famosa per la violenza e la ferocia, perchè comunque c'è un capo che assicura, con la sua personalità e i suoi metodi, la giustizia nel quartiere e nella città. Infatti i capi delle famiglie valgono di più della polizia.
Non bisogna quindi fermarsi alla violenza o alla povertà, ma al significato finale del film come per esempio la giustizia ad ogni costo, la vendetta, l'amore, l'amicizia, la solidarietà, la supremazia, la gerarchia, l'ineluttabilità del comportamento di chi nasce in certe zone.
Dovremmo metterci tutti al posto del protagonista, immaginando che la vita talvolta ti obbliga a essere quello che non vorresti essere o che non saresti se non nascessi nel posto sbagliato o in quel luogo particolare. Un tal pensiero ci dovrebbe far riflettere sulla necessità dell'accoglienza dell'altro e del donare. Certo che chi vive in quella società cresce con un carattere forte, ossia chi affronta vite dove bisogna essere responsabilizzati fin da piccoli, ne esce con un carattere sveglio e capace di affrontare destini molto piu terribili di quelli dei nostri giovani, apparentemente dei duri ma sostanzialmente dei mollaccioni, o comunque troppo inclini al divertimento e incapaci di vere prese di responsabilità, se non ci sono i genitori a pagare il conto dietro. Nessuno dei giovani italiani che io conosco potrebbe affrontare un minimo di quanto descritto qui e non per la violenza fisica, ma per la difficoltà continua della sopravvivenza. Così riflettiamo sul fatto che questa è la vita di milioni di individui nel pianeta. Quindi mostro questo film agli italiani, non perché guardino la povertà o risveglino pregiudizi, ma perché si rendano conto di tante realtà di cui sono ignari, tra cui la superiorità caratteriale di una grossa fetta di popolazione mondiale.
Le cose da tener presente guardando il film quindi sono:
- il caso o il destino, che viene sottolineato dalla scelta delle parole e dall'idea di Dio che tutto circonda e pervade.
- l'amore, che è un amore totale e irrefenabile, il protagonista ama fino alla fine, anche se la vita lo ha reso quasi un animale. Anzi, l'amore è il filo conduttore delle azioni, un amore un po' all'antica per noi, molto melodrammatico ma efficace. Ricordiamo che nella società egiziana il rapporto di coppia è esclusivamente matrimoniale e i 2 anni di fidanzamento precedenti il matrimonio non prevedono il contatto carnale. La sposa arriva vergine e i giochi d'amore sono innocenti, ma la passione è struggente. Per questo l'amore carnale ha un significato secondario qui. Un amore per cui ci si immola o si viene immolati. - i legami di amicizia e di amore che sono costruiti su forti emozioni e chiedono in cambio la vita dell'individuo. L'amicizia è una amicizia totale, come si usa in quella società, che ti abitua a sacrificarti per un amico con sprezzo della morte. Da noi l'amicizia è legata al trascorrere il tempo libero o al condividere interessi. Altro concetto chiave è quello della solidarietà della famiglia che tutto tiene e sopporta, e la famiglia piu forte comanda. Qui vedremo il capo che detiene un potere totale ma perchè è capace di qualsiasi sottile sentimento, come di qualsiasi estrema azione. Il capo si assicura una gerarchia, quindi il rispetto per la gerarchia è obbligatorio. - il concetto del prendere il proprio diritto è un concetto di giustizia privata, che non è la vendetta o l'occhio per occhio / dente per dente in maniera esatta, ma si avvicina al fatto che comunque non ti fai mettere i piedi in testa e - prima o poi - ti crei la tua giustizia/vendetta, quel tanto che basta per riequilibrare lo status quo di prima del sopruso.
- la morte come parte integrante della vita che non fa paura a chi crede in Dio, per cui quasi nessuno ha paura della morte e la sfida è continua.
- La violenza non è stile hollywood degli ultimi dieci anni (Tarantino, Rodriguez, Guy Ritchie ecc), ma più realistica perché non sembra un videogioco virtuale. Per esempio i tagli che vengono inferti denotano l'abilità all'uso quotidiano del coltello o della spada in quanto i veri professionisti non uccidono, possono fare tagli superficiali che ti fanno indebolire, ma non morire o tagli che ti lasciano una cicatrice di disonore. Dicevo che l'iperviolenza occidentale è tanto astratta nella sua rappresentazione, da apparire esorcizzata e privata della sua carica nichilista, invece nel film in questione la violenza non perde mai la sua dimensione carnale concreta. La violenza in questo contesto è ancora perfettamente integrata nelle dinamiche sociali e richiede la conoscenza e l'applicazione di un rigido codice di comportamento. L'uso di lame e corpi contundenti è predominate rispetto alle pistole e segna la necessità di un contatto, di uno scambio. Interessante anche rilevare come le forze di polizia, private del monopolio della violenza, si comportino in modo anche più efferato delle varie bande criminali e non agiscano quasi mai per applicare la legge e l'ordine, quanto piuttosto per interessi personali.
L'uso del linguaggio intriso del frasario che si riferisce continuamente all'idea di Dio e al comportamento da deboli femminucce, per esempio.
Il ruolo delle donne, fondamentali e di sfondo, riflette una variopinta casistica di ruoli femminili, molto più complessa del pregiudizio che abbiamo noi. Le donne: qui ci sono tanti tipi di donne e tutte usano la forza fisica e dimostrano la loro perfidia o sete di giustizia, comandando gli uomini, che però travalicano sempre il loro ordine. Nei costumi di scena, non si notano tutti i 'burqa' che solitamente vediamo in televisione, ma comunque le scene qui sono castigate.
Di Raffaella Biasi


 
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