n.82 IX anno, 8 gennaio 2011
Esiste ancora la cultura in italia? Il convegno di una montagna di libri

A cura di Gioia -la foto è tratta da internet
Le tesi di Zaccaria, Slepoj, Barbareschi, De Michelis, Zanonato, Camon,Durante, Arslan, Rossignoli, Nash-Marshall
Cortina d’Ampezzo. «Da Cortina a Pompei. Esiste ancora la cultura in Italia?» Una domanda che Una Montagna di Libri, la rassegna di incontri con l’Autore di Cortina d’Ampezzo, ha rivolto a un parterre d’eccezione, che si è dato appuntamento nella Regina delle Dolomiti, nella grande sala “Alexander Girardi Hall”. Sono intervenuti Vera Slepoj, Presidente onorario di Una Montagna di Libri, Giuseppe Zaccaria, Rettore dell’Università di Padova, Cesare De Michelis, Presidente di Marsilio, l’attore Luca Barbareschi, gli scrittori Ferdinando Camon e Antonia Arslan, e ancora Ennio Rossignoli, storico animatore degli incontri letterari ampezzani, e Siobhan Nash-Marshall, del Manhattanville College. A moderare l’incontro, introdotto dal responsabile della rassegna Francesco Chiamulera, è stato Francesco Durante, del Corriere del Mezzogiorno.
Da più parti è emersa, durante il convegno, la clamorosa denuncia dell’abbandono dell’immagine della cultura italiana all’estero: se da un lato demagogicamente si propone la cultura italiana come punto di riferimento per l’immagine dell’Italia – arte, moda, gastronomia, ambiente – parallelamente scrittori e intellettuali vengono spesso maltrattati e abbandonati, determinando casi che si configurano come vere e proprie umiliazioni.
In particolare, l’intervento dello scrittore Ferdinando Camon ha colpito fortemente il pubblico in sala, ricevendo applausi convinti. «Sappiamo», ha detto Camon, «che se siamo qui è perché ci sono stati tagli di Tremonti alla cultura, che sono avvenuti i crolli a Pompei, sito per il quale non ci sono mai soldi, che ci sono tagli ai finanziamenti al mondo del cinema e dello spettacolo. Ma i tagli per i libri e l’editoria ci sono sempre stati. I libri non hanno mai goduto di alcun appoggio nella circolazione. Siamo un Paese che ha un’estesa e fitta rete di Istituti Italiani di Cultura all’estero, i quali però non hanno il becco di un quattrino. In Argentina, ad esempio, ho visto folle enormi che correvano per venire ad ascoltare uno scrittore italiano. Ho visto scuole commosse per gli scrittori italiani, con la cerimonia dell’alzabandiera, e tutti con la mano sul cuore quando si sentiva l’inno. Non sarebbe doveroso per l’Italia mantenere rapporti più frequenti con gli Istituti di Cultura? Il problema è che non c’è un euro».
«In Ungheria», ha proseguito Camon, «ho fatto un giro delle università. A Pécs ho parlato in mezzo a folle di studenti, ma il direttore ogni sera mi dava una mancetta per la cena, come fa il buon padre con i figlioletti della scuola media, e mi segnalava il ristorantino vicino dove cenare, quello che costava poco. Ancora: a Parigi ho presentato Primo Levi tradotto da Gallimard, era stata organizzata una grande festa alla presenza di giornalisti di Le Monde, del Nouvel Observateur e dei principali giornali francesi. Sennonché, quando la mattina dopo sto per partire per fare rientro in Italia, l’Istituto di Cultura mi telefona in albergo: “le risulta che sia stato pagato l’albergo?”. “No”, rispondo. Il pomeriggio chiedo al direttore dell’albergo: “siete stati pagati?” “No, monsieur”. La cosa è andata avanti diverse ore. E’ finita che, alla sera, il conto ho dovuto pagarlo io».
Continua lo scrittore padovano: «i libri italiani vengono sistematicamente rubati dagli studenti stranieri. Ad esempio, a Stoccolma mancavano molti libri nella biblioteca dell’Istituto di Cultura, che erano stati sottratti. Sarebbe buona cosa che i libri venissero mandati con regolarità ai principali Istituti di Cultura, e poi distribuiti. Il problema è che gli Istituti dipendono dal Ministero degli Esteri, mentre dovrebbero dipendere dal Ministero della Cultura e quindi da persone competenti».
Concorda con le tesi di Camon anche la scrittrice Antonia Arslan, che ha riferito delle difficili condizioni in cui versano i nostri Istituti di cultura all’estero, specialmente negli Stati Uniti. D'accordo anche Siobhan Nash-Marshall, docente al Manhattanville College, secondo la quale «l’Italia tende troppo ad autodenigrarsi, nonostante le importanti risorse culturali, artistiche, di design che possiede e che il mondo le riconosce. Dovrebbe imparare a volersi più bene».
Secondo Vera Slepoj, Presidente Onorario di Una Montagna di Libri, «l’Italia non è amata da chi la deve rappresentare all’estero, e chi gestisce gli Istituti Italiani di Cultura spesso sono figure sconosciute, di cui non si conosce la competenza e i motivi per cui ricoprono tali incarichi. La cultura italiana all’estero si regge solo sull’amore che gli scrittori e gli intellettuali hanno per il proprio Paese. Ancora una volta è il lavoro individuale a supplire alle mancanze dello Stato, che è assente».
«Ci troviamo in un periodo di crisi», riflette il Rettore dell’Università di Padova, Giuseppe Zaccaria. «Ma la scelta di fronte alla quale siamo posti è se continuare a galleggiare colmando buchi di bilancio che affondano le loro radici nel passato, oppure fare un investimento coraggioso sul futuro, per porre le premesse di un nuovo sviluppo del nostro Paese. E’ ormai da anni che si è preferito riversare ingenti risorse economiche su canali clientelari e improduttivi piuttosto che su investimenti nel patrimonio culturale artistico e monumentale del nostro Paese. Anche nel settore dell’università la insensata politica di tagli lineari che ha contraddistinto questi ultimi anni – senza una vera volontà di investire nel settore della ricerca, dell’innovazione e della conoscenza – ci mette in una situazione nella quale è difficile competere. Nonostante tutto questo, sono convinto – per rispondere alla domanda del dibattito, “Esiste ancora la cultura in Italia?” – che in Italia la cultura ci sia ancora, che ci siano molte eccellenze, che ci siano ancora ricercatori di grande competitività. Da questo punto di vista, lo sport demagogico di sparare sui “baroni” non porta da nessuna parte».
Si toglie qualche sassolino dalla scarpa l’attore e parlamentare Luca Barbareschi: «la cultura italiana deve liberarsi dal solito circuito ideologico che decide che cosa vale la pena di essere promosso e che cosa no. Nessuno ha impedito ad alcuni registi italiani di venire diffusi su determinati circuiti secondo un criterio di conformismo ideologico. Tanto per fare un nome: Paolo Virzì, perché è di sinistra. E la stessa cosa vale per la lirica, che è stata gestita spesso da autentici farabutti. O per il teatro, dove abbiamo attrici come Mariangela Melato che a fronte di compensi di tutto rispetto poi ha il coraggio di inscenare proteste contro i tagli. La cultura ha bisogno innanzitutto di regole. E’ stata una fortuna che Inghilterra abbia avuto Margaret Thatcher, che ha azzerato drasticamente i contributi per il mondo dello spettacolo, obbligandolo così a riorganizzarsi radicalmente».
Secondo il Presidente di Marsilio Cesare De Michelis «bisogna ridurre l’invadenza dello Stato nella gestione delle cose culturali. L’Italia non ha risolto un equivoco: lo Stato ha il dovere della tutela del patrimonio culturale, non della gestione di quel patrimonio. Prendiamo ad esempio il sistema museale: intanto è un assurdo che gli orari di apertura dei musei debbano essere gli stessi su tutto il territorio nazionale, in Sicilia come ad Aosta. E poi, la fatica che si fa nel mandare la gente a visitare i musei è direttamente proporzionale alla domanda spontanea che c’è nella partecipazione agli eventi espositivi, come le mostre. C’è un’evidente contraddizione tra modelli statici, senza rapporto con l’utenza e, dall’altra parte, la domanda che gli utenti manifestano e continuano a manifestare. Il cinema è un altro dei casi in cui il continuo intervento assistenziale dello Stato ha distolto produttori e registi dall’attenzione al mercato. Il cinema italiano, nonostante indubbi elementi di qualità che lo caratterizzano, fatica a imporsi. Gli unici produttori che ci restano sono, di fatto, RAI e Fininvest, alle quali del mercato straniero importa, nei fatti, pochissimo».
Chiosa Francesco Durante, del Corriere del Mezzogiorno: «la cultura in Italia si trova in un momento molto difficile, perché non viene considerata vitale come invece dovrebbe essere. E’ quindi oggetto di tagli lineari abbastanza indiscriminati, che se sono dannosi in generale per tutta l’Italia, nel sud diventano terrificanti, perché creano il paradosso che l’unica vera risorsa di quella parte del paese viene di fatto annullata. E’ un problema di sensibilità generale, che la politica dovrebbe risolvere».
Un intervento ovviamente centrato sulla realtà culturale di Cortina, quello di Ennio Rossignoli, storico animatore dell’estate culturale ampezzana. «La natura degli incontri culturali a Cortina è molto cambiata in questi decenni», spiega. «Negli anni ‘60 e ‘70 c’erano salotti incredibili, dove pranzavi accanto a Saul Bellow, potevi scambiare due parole con Hemingway, discutere di teatro con Vittorio Gassman. Eravamo un popolo di devoti, che correva da una casa all’altra, con una dimensione diversa, meno pubblica. Poi tutto è passato sul palco, da dove l’autore interloquisce con il pubblico. Il che è una cosa molto interessante, ma diversa. In ogni caso, “Una Montagna di Libri” è tra le rassegne che difendono quello che io chiamo il “nucleo letterario”, che si è un po’ perso in altre manifestazioni ora in voga a Cortina. C’è una spettacolarizzazione evidente, che è coerente con il trend della cultura odierna. Si invitano i politici: anche noi li invitavamo nei decenni passati, certo, ma con loro non si parlava mai di politica, come invece si fa ora. Il protagonista era solo e soltanto il libro».
A cura di Gioia


 
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