n.86 IX anno, 4 maggio 2011

Quattro SI per dire NO, la battaglia civica che l’Italia ci chiede
A cura di Alberto Leoncini
Tracciare in poche battute un decalogo di motivazioni per le quali l’appuntamento referendario del 12 e 13 giugno prossimi sarà una tappa di primaria importanza per la vita sociale e politica italiana è senza dubbio un’esigenza imprescindibile vista la sistematica congiura del silenzio pervicacemente portata avanti da voci “di sinistra” e “di destra” a testimonianza delle mastodontiche cointeressenze che stanno dietro alla posta in gioco. Solo per quanto riguarda l’acqua si parla infatti di un business stimabile in 64 miliardi di euro di giro d’affari. Per rendere l’idea, più dell’intero fatturato globale del gruppo FIAT. Ma c’è di più: l’acqua è un bene a domanda rigida (una significativa variazione del prezzo genera una modesta variazione della quantità domandata: è evidente, non se può fare a meno!) quindi si tratta di far acquisire a oligopoli la gestione di un bene che non potrà mai “perdere” il mercato. Ovviamente tali oligopoli avranno a disposizione un potere di “ricatto” che va ben oltre la mera gestione del servizio.
Se a ciò si aggiungono il tema del nucleare e il legittimo impedimento, è chiaro che il potenziale di fuoco espresso da questi referendum sia enormemente pervasivo rispetto all’indirizzo da imprimere al futuro prossimo e non solo. Lo snodo è dunque fondamentale. Quale contenuto può darsi, infatti, ad un ordinamento autenticamente democratico se non può essere determinato in modo “democratico” il destino di nulla o quasi di ciò che è “pubblico”? Non si tratta forse di consegnare una ulteriore delega in bianco a una classe politico-affaristica che fa di tutto per farci accettare questo simulacro di “democrazia a intermittenza”? L’idea che le forze politiche facciano deliberatamente campagna astensionista non è forse considerabile come un gravissimo segno di crisi istituzionale? Il voto che si esprimerà fra poco più di un mese sarà dunque un preciso segnale per disapprovare un’agenda politica nella quale i beni pubblici e i diritti sociali sono estromessi in nome del profitto, delle disuguaglianze e della gestione predatoria della cosa pubblica. Che spazio conservano, oggi, temi come il ruolo pubblico nell’economia, la tutela ambientale, della biodiversità ma penso anche all’amministrazione giudiziaria, alla politica monetaria, allo sviluppo economico sostenibile dopo almeno vent’anni di sbornia mercatista? Per dirla in sintesi, se l’acqua è vita, difendere l’acqua significa difendere la vita in ogni accezione, e su questo aspetto invito a leggere le riflessioni di p. Alex Zanotelli: uno che su queste cose la sa ben più lunga di chi scrive.
C’è una corda, però, che vorrei sollecitare per i liberali, i conservatori e quelli che proprio ce l’hanno su con lo “Stato onnipresente”: il secondo quesito si occupa di “remunerazione del capitale investito”. Questa, ordinariamente, avviene se l’impresa funziona: genera cioè ricavi costantemente superiori ai costi. Nel caso dell’acqua viene garantita per legge. Su un bene, come dicevo poc’anzi a domanda rigida: dovrebbero essere proprio gli imprenditori sani e onesti, quelli che rischiano in proprio, a lottare in prima linea contro questa vera e propria rendita che si instaurerebbe a favore di soggetti il cui ritorno sarebbe blindato addirittura da una fonte legale contravvenendo a qualsiasi spirito liberale di “rischio d’impresa” cui riconnettere il profitto conseguente. Qui c’è profitto senza rischio: una pacchia se non fosse che si tratta di accollare la società di costi dilatati e di servizi decisamente aleatori, tanto più che, male che vada, il 7% annuo comunque arriva (un’enormità!). Per chi mastica di economia si tratta di “beni posizionali”. Tutto ciò credo possa spiegare l’ostilità frontale manifestata dalla compagine contraria (Federutility, Confindustria, Forum Nucleare…) e dai media da questa controllati: tutte le cartucce sono state sparate, dalla censura sistematizzata fino alla vergognosa decisione di non accorpare il referendum con il secondo turno delle amministrative, spedendo un conto alla collettività di ca. 400 milioni di euro (in un periodo di profonda crisi economica e di tagli a stato sociale, scuola, sanità…) senza contare i subdoli tentativi di aggirare con abrogazioni di facciata la consultazione (quelli che “il popolo è sovrano”…). La finalità, con ogni evidenza è quella di evitare il raggiungimento del quorum, affinché la consultazione sia valida (prescritto dall’art.75 Cost.) poiché rimarrebbe in tal modo in vigore la disciplina di privatizzazione selvaggia approvata con la complicità dell’attuale opposizione, che, è bene ricordare, ha anch’essa le mani in pasta con le utilities. Ideale sistemazione per i trombati di ogni colore. La finalità, per chi lo vuole fare, s’intende, essere strategici e avere una sola finalità: portare la gente a votare. Che voti SI o NO, poco importa perché la Realpolitik insegna che i SI saranno, verosimilmente, preponderanti quindi il vero nemico da battere è l’astensionismo (in un simile referendum, limitato alla sola municipalità di Berlino, i SI hanno prevalso con circa il 98%!). Con 1.4 milioni di sottoscrizioni presentate, sarebbe sufficiente che ognuno di noi convincesse a votare almeno 20 persone. Credo sia tecnicamente fattibile.
La battaglia insomma si vince se ognuno fa la sua parte e si sente chiamato a una responsabilità civica che in realtà può essere anche solo ricondotta al mero egoismo (andate a chiedere come sono cambiate le bollette nei comprensori dove si è già privatizzato…!). Quali che siano le motivazioni individuali quel che si deve tenere a mente è la finalità comune: l’idea che, in fondo, la società civile debba remare dalla stessa parte perché stavolta una possibilità di farcela c’è. Questo a mio avviso l’orizzonte programmatico e il vero sfondamento della linea dell’orizzonte politico che questo appuntamento può serbarci.
Ecco perché quella sull’acqua è una battaglia civica senza etichette, difatti a memoria, mi vengono in mente scarsi precedenti del genere nella storia repubblicana nei quali un tema sia riuscito a smuovere dal basso entusiasmi, idee, sogni come l’acqua “bene comune”. Si badi che una eventuale vittoria non modificherà definitivamente le cose, ma aprirà un fronte di progettualità politica i cui esiti sono tutti da scrivere e toccherà alla partecipazione democratica dettare le linee guida di una rinnovata gestione “partecipata” dei servizi pubblici che verrebbero coinvolti con l’effetto domino generato dalla vittoria referendaria. Questa carta, insomma, ce la dobbiamo giocare al meglio.
Io credo che una fondamentale, in questo caso ma non solo, arma di lotta politico-sociale sia la creatività, da intendersi come capacità di far passare contenuti in modo non necessariamente diretto e convenzionale. Mettendoci però la faccia, dando una testimonianza. Fermando amici, colleghi, vicini di casa e parlando, intessendo relazioni. La sproporzione di mezzi è, evidentemente, enorme amplificata peraltro dalla leva dell’astensionismo fisiologico.
Non si deve dunque lasciare nulla di intentato e sfruttare ogni possibilità concretamente disponibile per la riuscita dell’obiettivo, e non mi riferisco solo alle potenzialità di internet ma anche a strumenti decisamente più tradizionali: ricordate il dibattito scaturito nel 2003 con le “bandiere della pace” fuori dagli edifici? Certo, questo è un ulteriore elemento di difficoltà perché la sfida da politica, diventa umana. Proviamoci, dunque.
albertoleoncini@libero.it
http://www.referendumacqua.it/
A cura di Alberto Leoncini


 
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