n.84 IX anno, 1 marzo 2011
Caliban: la materia dei sogni e quella delle relazioni

Intervista a cura di Alberto Leoncini
Nel cuore del centro storico di Treviso, in via Castelmenardo, è stato inaugurato un bellissimo spazio con molteplici vocazioni: galleria d’arte, centro espositivo, negozio vintage e punto d’incontro. Con un rimando shakespeariano denominato “Caliban, spazio di libero accesso alla materia di cui sono fatti i sogni” http://calibansnc.wordpress.com/, per quanto la prospettiva sarebbe quella di realizzare un centro aggregativo capace di supportare e coordinare le energie propositive che Treviso esprime in campo culturale, sociale e associativo. Intessere relazioni, dunque, ma anche dare la possibilità di fare acquisti fuori dal consumismo bulimico: libri, riviste, pezzi unici fra l’arte e l’artigianato.
Tutti aspetti di cui c’è un gran bisogno nel nostro capoluogo; proprio su questo versante abbiamo rivolto alcune domande al titolare Simone Battig, scrittore e redattore di http://samgha.wordpress.com/ .
Una sfida: aprire a Treviso un negozio di nicchia, almeno rispetto ai grandi circuiti del commercio… Resto perché, parafrasando Saviano…
Per quanto mi riguarda addirittura “torno”… Paradossalmente le motivazioni sono le stesse per cui sono andato via: una città soffocata, afona, priva di slanci culturali. Quando sono partito (fine anni ’90) la realtà era inquietante: chiudevano cinema e Teatro Comunale, eravamo alla fine di in un periodo di espansione industriale e della ricchezza cieca degli anni ‘80. E non rimaneva nulla perché nulla si era sedimentato culturalmente. Due avvenimenti, presi a titolo d’esempio, ma che danno la cifra di una temperie sociale. Eppure il legame con il tuo luogo d’origine si conserva, e sei portato a notare i piccoli cambiamenti nell’universo cittadino, specie vedendoli da fuori. Mi sembra che oggi Treviso sia un luogo con un tessuto sociale da ricostruire, e questa può essere un’opportunità viste anche le potenzialità. Cogliamola, perché ne abbiamo gettate troppe: pensiamo solo a Treviso Comics, un’iniziativa analoga ha reso Lucca una vera capitale artistica. Che ne rimane invece a Treviso rispetto ai fulgori degli anni ‘90? Non si può pensare che le cose piovano dall’alto, tocca ai trevigiani riprenderle in mano, e tutti dobbiamo far rete con chi ci prova o ci riprova.
Come vi siete mossi finora? Quali riscontri vi hanno soddisfatto di più? Dove c’è ancora da lavorare?
Effettivamente, essendo aperti da pochi mesi, è presto per fare bilanci tuttavia sicuramente lo stupore del pubblico nel “trovarci” ci fa ben sperare. Puntiamo molto sull’unicità del luogo, cerchiamo di costruirci un’identità inclusiva: galleria, libreria, negozio di design e artigianato… Per noi l’ambito “galleria d’arte” è ancora in via di formazione perché siamo dei neofiti ed è un ambiente molto scivoloso, mentre con i libri è decisamente più facile intessere relazioni e avere riscontri. Paradossalmente hanno più successo libri molto costosi piuttosto che quelli a poco prezzo e questo dà da pensare sul modo con cui viene attribuito il “valore”. Vorremmo che il nostro spazio fosse anzitutto “abitato”, pensiamo cioè che esserci e proporre un’alternativa al consumo usa e getta sia importante e ne abbiamo fatto una professione. Credo molto all’idea di “decrescita”, anche nei prodotti. Sogno che possa esserci una qualità significativa, magari unica, ma per tutti, senza dover necessariamente spendere follie, sfruttando in modo intelligente il riuso, il recupero e la manualità. In questo modo si dà al consumatore la possibilità di capire la genesi dei prodotti, evitando la serialità omologante. E in questo senso va letta l’osmosi fra arte e artigianato, che spesso è solo una “fase” dell’arte.
Alcune peculiarità del negozio di cui andate fieri?
Il fatto che ci siamo, e che ci siamo sempre. Sabato e domenica compresi. Non è da tutti, e anche per noi è un sacrificio, ma lo vogliamo fare perché se questo negozio deve essere una seconda casa, questa non può essere chiusa! Poi abbiamo la peculiarità di offrire cose uniche per tutti, si badi che parlo di cose uniche ma non alla rinfusa. Dietro ogni pezzo c’è una scelta, un ragionamento, un’idea. Speriamo di riuscire a trasmetterlo. Non vogliamo mettere assieme tante cose anonime, ma puntare molto sulla rottura degli automatismi per cui c’è una netta distinzione fra ciò che vale e costa ed è bello, mentre c’è quello che è pacchiano, di scarsa qualità ed economico. No, non deve funzionare così!
L’indipendenza, di pensiero e di movimento, come si difende questo valore?
Credo che per poter fare delle scelte non obbligate sia fondamentale avere un’autonomia finanziaria, e da qui sorge la necessità di concepire una dimensione commerciale, il mio agire non deve cioè essere basato sul “do ut des” ma sulla possibilità di scommettere su un nome nuovo, su quello che ritengo migliore e più meritevole. Se ti affidi ad un soggetto terzo che ti garantisce la sopravvivenza ne sei giocoforza condizionato, per me è essenziale, invece, l’autosostentamento. Vorrei sottolineare che un ipotetico insuccesso impoverirebbe me, certo, ma qual è il prezzo che il tessuto sociale si troverebbe a dover pagare? Voglio dire che non siamo dei martiri che si immolano, stiamo solo cercando di costruire una rete reale che parli di bellezza nella vita quotidiana e riesca a trattenere le energie vitali, sociali, culturali ed anche economiche che ognuno di noi può mettere in circolazione. Questo è uno dei modi che noi abbiamo pensato valga la pena sperimentare e far crescere per uscire dal tunnel dei percorsi già scritti.
Mi sembra che il vostro cliente ideale sia fondamentalmente una persona curiosa, questo ingrediente è sufficiente per far lievitare un progetto economico-culturale, per passare cioè dalla rete virtuale all’incontro reale?
Bisogna entrare nell’ottica di rivolgersi “a tutti” perché in ciascuno di noi c’è sensibilità e propensione ad appassionarsi, i modelli esistono solo nella nostra testa. Ciò che bisogna temere sopra a tutto è proprio l’indifferenza, quella sì uccide! In ogni senso, se riusciremo a far sentire tutti parte attiva nell’attività quotidiana saremo in grado di dare un grande contributo. Le soluzioni si trovano solo se c’è partecipazione, che non significa vivere in attesa dell’ennesimo evento per prendervi parte passivamente ma esserci tutti i giorni in ogni singolo pensiero e gesto quotidiano.
Intervista a cura di Alberto Leoncini


 
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