n.92 IX anno, 1 novembre 2011
Fiamme di passione salgariana

di Alberto Leoncini
Mi ero astenuto, finora, dall’intervenire nelle celebrazioni per il centenario della morte di Emilio Salgari (1911-2011), scrittore nostro conterraneo cui sono affettivamente e intellettualmente molto legato.
Abbiamo assistito in questi mesi ad una sequela di celebrazioni per le quali non mi sono parecchio entusiasmato, anche perché considero il lavoro di ricerca come qualcosa di più silenzioso e soprattutto di “lunga lena”, cioè radicalmente antitetico a ogni spettacolarizzazione o strumentalizzazione da ricorrenza.
Polemiche a parte, senza peraltro voler fare d’ogni erba un fascio, mi sono capitate di recente due occasioni cui non ho saputo resistere: anzitutto la ristampa per “Greco&Greco” (www.grecoegrecoeditori.it pp. 441, € 14,00) di “Cartagine in fiamme”, testo salgariano che ha rivisto la luce, dopo lungo oblio, nel 2001, per Quiritta, a cura di Luciano Curreri, da quasi un decennio docente all’Università di Liegi (Belgio). Debbo dire, per onestà intellettuale, che al curatore mi lega un’amicizia di lunga data, che tuttavia non credo m’influenzi oltre il dovuto nel parlare dell’opera. In questo caso, peraltro, l’elemento sentimentale è duplice, coinvolgendomi, come dire, in prima persona, come organizzatore, nel 2005, di una presentazione, in quel di Treviso, del testo pubblicato da Quiritta.
Sono convito che quell’edizione sia una pietra miliare negli studi salgariani ad oggi praticamente insuperata. Per la prima volta è stata realizzata un’edizione idonea a conferire dignità critica in senso pieno, al Nostro. Troppo spesso le sedicenti “edizioni critiche” salgariane annoverano uno striminzito saggio e qualche nota al testo o, al più, delle pedanti spiegazioni similfilologiche il cui affondo critico, resta, purtroppo, modesto. Con “Cartagine in fiamme” è stato sfondato un muro per la critica letteraria, inserendo convintamente Salgari nel tessuto degli autori degni di attenzione ermeneutica. Non posso quindi nascondere il mio sbigottimento nello scoprire l’assenza del saggio critico, cui facevo cenno, nella ristampa appena uscita. Certo, si trattava quasi di un “libro nel libro”, ma la particolarità del testo salgariano (un unicum per ambientazione e struttura narrativa) e, quasi più importante, il ruolo che ha rivestito nell’apparato degli studi salgariani lo rendevano e lo rendono, a mio avviso, imprescindibile, per quanto io stesso non ne condivida tutte le soluzioni.
A dir il vero, Luciano Curreri lascia e integra la ricca e precisa “Nota al testo” (pp. 425-438), che dava e dà ancora la misura del lavoro filologico compiuto e approfondito, anche via l'incontro trevigiano, e al tempo stesso, con la consueta ironia, in alcune, rapide ma significative “Avvertenze” (pp. 439-441), dice le ragioni della riedizione senza il lungo saggio del 2001, che sarà del resto riproposto in una monografia, Demolizioni, città in fiamme, femmes fatales e altre immagini della cultura otto-novecentesca, per “Nerosubianco” (http://www.nerosubianco-cn.com/); una casa editrice piemontese con cui Curreri collabora da tre fecondi anni, forieri di ventiquattro pubblicazioni in tre nuove collane (“le drizze”, “le bandiere”, “le golette”) e celebrati con una manifestazione a Torino, lo scorso 13 ottobre, che ha visto riuniti una quindicina di collaboratori provenienti da tre stati esteri e sei città italiane, al fine di creare una sorta di “famiglia” in grado di andare oltre la mera produzione editoriale.
Tralasciando la mia digressione, resta senz’altro la riproposizione di un libro di sicuro interesse per il lettore curioso e deciso a confrontarsi con un Salgari eccentrico rispetto alle “rotte” più battute dell’avventura e capace di confezionare una trama godibilissima e coinvolgente sullo sfondo della fine di Cartagine per mano romana. Si intrecciano tradimenti, vicende amorose e avvenimenti storici, seppur ampiamente rimaneggiati e abilmente piegati ai fini dello sviluppo narrativo, in grado di condurre il lettore in uno scenario fatto di “effetti speciali” e, come spesso accade nell'opera di Salgari, con l'autore a prendere le parti degli “sconfitti”. L’altra occasione materializzatasi è stato l’invito ad intervenire alla tavola rotonda d’apertura alla IV edizione di “Silegge a Treviso” dedicata proprio a Salgari come autentico “re” del viaggio letterario. Lo scorso 23 settembre, si ha avuto l'occasione di incontrare e confrontarsi con Gian Domenico Mazzocato, Roberto Fioraso, Claudio Gallo e il sottoscritto, a partire dal recente “Emilio Salgari: la macchina dei sogni” (BUR, pp. 488 € 12,00) di Gallo e Bonomi, del quale sono stati letti brani da Sandro Buzzatti.
Mi sembra di poter dire che le prospettive tracciate dai relatori abbiano gettato una luce significativamente innovativa sull’autore e sui luoghi comuni del quale è ancor oggi vittima, primo fra tutti l’evanescenza dello spessore culturale e la “tenuta” all’interno di un confronto con le grandi correnti ed esperienze letterarie a lui contemporanee, in Italia e altrove. Anche qui mi auguro di non peccare di partigianeria, ma credo sia stato aperto uno squarcio stimolante ed efficace anche sui potenziali sviluppi di indagine critica, che, com’è stato detto, dovranno sempre più ricercare la specificità di ogni singola opera in seno alla vasta produzione salgariana tralasciando gli aspetti di biografismo onnivoro con cui si è per troppo tempo filtrata l’indagine critica.
Ciò, si badi, non deve in alcun modo astrarre Salgari verso un non meglio identificato empireo inconciliabile con l’insieme di valori e caratteristiche che questi sintetizza e personifica, tuttavia il futuro della critica salgariana dovrà essere in grado di compiere il grande sforzo, ad un tempo umano e culturale, di dare dignità piena a opere che sono state concepite e sviluppate per “passare di mano in mano”.
Di Alberto Leoncini


 
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