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N. 53, V anno, 2008 Venerdì 1 agosto  2008
 
 
 


  Editoriale n 53: Sulla responsabilità

Federico De Nardi

I wanted Christina to learn some responsibility for cleaning her room, but it didn't work. Copyright Billy Owens"...I wanted Christina to learn some responsibility for cleaning her room, but it didn't work. © Billy Owens..."

Proprio in questi giorni, abbiamo letto e ascoltato l'ennesimo caso di doping ciclistico. Riportiamo qui il titolo e alcune righe di un quotidiano qualsiasi, Repubblica.

"...

Il ciclista fermato durante il Tour de France ammette le sue colpe

"Chiedo scusa ai tifosi e ai miei compagni. Mi sono tolto un peso" Doping, Riccò confessa l'uso di Epo "Ho sbagliato, errore soltanto mio" "Mi sono informato su internet. Nel mio gesto non sono stato consigliato da nessuno" Il padre al suo fianco: "Non può aver fatto tutto da solo" ROMA - Riccardo Riccò ci ripensa e confessa di aver assunto l'Epo di terza generazione, il cosiddetto CERA. ..."

Che cosa mi ha colpito in questo ennesimo caso di atleti drogati per vincere? Che questa volta, c'è una differenza: il ciclista che ha assunto sostanze per migliorare le proprie prestazioni, ha ammesso di essersi drogato e ha chiesto scusa a tutti, dando prova di aver imboccato la strada della responsabilità (che è un valore strettamente personale e proprio della maturità), azione che ai miei occhi lo rende meritevole, seppur nella caduta.
Di solito succede il contrario, ovvero che l'atleta o il politico o l'imprenditore, preso con le mani nel sacco, nega strenuamente di aver commesso il fatto, anche in presenza di prove schiaccianti.
Onore quindi, seppure nella sua ammissione di colpevolezza, al ciclista Riccardo Riccò che ha confessato di essere colpevole, dando prova in extremis, di essere sì un campione dopato, ma anche sulla strada per diventare un vero uomo e speriamo che sia d'esempio ad altri, perché non esistono scorciatoie per la vittoria, ma solo una salita infinita fatta di onestà e fatica. Gli altri che non confessano, sono come la bambina della foto, danneggiano sé stessi e il mondo che li circonda.

Federico De Nardi



 

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