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Direttore Federico De Nardi www.abcveneto.com Sabato 1 marzo  2008
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Intervista a Diego D.Testolin

A cura di Maria Prosdocimo

Bovisa, Olio su TelaDipingi da sempre, si potrebbe dire che la passione per l'arte faccia parte del tuo patrimonio genetico; c'è stata una circostanza, un accadimento particolare nella tua vita, grazie al quale hai compreso quanto fosse irrinunciabile per te questa passione?

Hai detto bene, dipingo da così tanto tempo che non saprei collocare temporalmente l'inizio di questa mia avventura.
C'è comunque, ora mi torna in mente, un ricordo della mia infanzia che potrei definire rivelatore: ricordo con affetto una trasmissione in bianco e nero, vista con un televisore in bianco e nero, dedicata al Grande Maestro Giorgio De Chirico, in quell'occasione sentii il bisogno di esprimermi attraverso la pittura.

Oltre al grande De Chirico, quali altri artisti contemporanei e del passato, rappresentano per te dei riferimenti e/o dei modelli?

Stilare una classifica è impossibile.
Per fare comunque dei nomi di artisti, per i quali ho una grande considerazione, mi vengono in mente, in ordine di tempo, Beppe ed Emma Ciardi, il grande Afro, Baselitz, alcuni Artisti della Pop Art americana, Emilio Vedova, Bernard Schultze, mentre come movimento penso soprattutto ai Secessionisti Austriaci.

PacificazioneDai tempi in cui, suggestionato ed affascinato dalla Pop Art,  in un certo senso “facevi il verso” ai grandi nudi americani di Tom Wesselman, dipingendo i tuoi piccoli nudi italiani, la tua pittura si è notevolmente evoluta e qualcuno preconizza per te un futuro approdo all'informale; cosa ne pensi tu in proposito?

Da sempre sono stato attratto dalla realtà americana; quando dipingevo le mie tele “Pop,” trasponevo la realtà Americana a quella Italiana, facendo il verso ai “Great American Nude” di Wesselman con i miei “little italian nude”; piccoli nudi italiani della piccola/grande Italia che di rimando tanto affascina per storia, bellezze naturali ed artistiche, il popolo d'Oltreoceano.
Rispetto a quei tempi la mia pittura si è via, via personalizzata, mantenendosi comunque legata alle mie fonti di ispirazione, alle tematiche di fondo che per me sono il viaggio e la letteratura beat.
Rispondendo alla tua domanda, comunque, devo dirti che sinceramente non so se mai arriverò ad una pittura informale, pur rendendomi conto che questa ipotesi fatta da qualcuno ha un suo fondamento di verità e ammettendo che la mia ricerca si basa proprio sul colore, sulla luce e sulle ombre, che armonizzandosi fra loro e componendo una specie di puzzle, danno forma alle mie immagini.

La tua produzione artistica trae ispirazione quasi sempre da quella che potremmo definire la “banalità” del quotidiano: luoghi anonimi di città e metropoli, scorci paesaggistici naturali, persino visioni della Venezia, mille volte vista, di rii e calli. Soggetti che grazie alla tua pittura cessano di essere anonimi e  acquistano riconoscibilità ed originalità propria. Qual è la molla che scatta, cos'è che, della normalità, più ti affascina?

Mi piace farmi sorprendere da ciò che è considerato normale, scontato, e che proprio per questo non  attrae l'attenzione dell'osservatore. Una strada, le facciate di un palazzo, le luci delle automobili ferme ad un semaforo, mescolate a quelle della città  nel buio della notte, le tonalità di grigio di un'autostrada. Cogliere certi dettagli apparentemente banali e trasformarli in soggetti originali, con la mia pittura, è un'esperienza che mi dà piacere e in questa maniera ho la presunzione di poter far notare, anche a chi guarda i miei quadri, il bello del banale.

Accanto alle rappresentazioni, per così dire, più rassicuranti dei quadri dedicati al paesaggio in genere, hai dato vita, negli ultimi due anni, ad un ciclo pittorico decisamente originale e inedito, interamente ispirato alla cosiddetta “scena del crimine”, oggetto per altro di una tua personale di grande successo, presentata alla Galleria Polin di Treviso, che ha chiuso i battenti solo pochi giorni fa. Quali emozioni agiscono in te quando crei  queste opere?

Il ciclo che ho dedicato alla “scena del crimine”, che continua ad impegnarmi e al quale lavorerò anche in futuro, nasce  dall'ispirazione che mi deriva da certe mie esperienze personali e dirette, a contatto con situazioni tragiche di dolore e morte, violenza e brutalità, ed è frutto di una profonda meditazione sull'idea stessa di vita e morte.
Una visione epicurea dell'esistenza, del “qui e adesso”, della dualità distinta ed inconciliabile vita/morte poteva appartenermi a vent'anni, quando le pulsioni erano predominanti, a discapito della spiritualità. Ora il confine non mi appare più così marcato e netto, vita e morte non mi sembrano più realtà contrapposte, ma l'una sempre e comunque compenetrata dall'altra, l'una presente, e contemporaneamente, nell'altra. Perciò quel che cerco nell'ultimo sguardo di una vittima di violenza, nell'atteggiamento di un volto o di un corpo violati, è una traccia del suo spirito, un segno dell'affermazione del Sé come identità, come anima, anche nel momento in cui la follia omicida la vorrebbe, al contrario, annientare.

Cimentarsi con un argomento così drammatico ed insidioso (poiché il rischio di scadere nel voyeurismo è dietro l'angolo) deve probabilmente rispondere ad una forte esigenza interiore: parlami ancora delle ragioni profonde, magari anche di ordine morale, che  ti hanno spinto a misurarti con un tema così difficile, tanto da approcciare, quanto da raccontare e proporre.

Ti ho già ampiamente risposto sulle motivazioni più profonde che mi hanno indotto a compiere questa mia personale indagine dell'animo umano, in situazioni estreme.
Posso confidarti un particolare che magari ti sembrerà strano, forse persino eccentrico, ma che in realtà ha un grande significato per me: ho avuto la sensazione che fossero le stesse infelici protagoniste di questi efferati delitti a chiedermi di parlare di loro, una specie di lascito di cui io possa essere testimone, raccontando il loro estremo senso di impotenza nei confronti di chi si è arrogato il diritto di decidere della loro sorte.
Sono le ragazze della porta accanto o in altri casi sono ragazze costrette già in vita a subire violenze  e soprusi di ogni genere.

Crime scenePer i dipinti ispirati alla scena del crimine spesso utilizzi anche materiale fotografico e nel ricreare pittoricamente le immagini fermate dal fotografo, o parti di esse, produci uno loro slittamento semantico. Cosa ritieni di riuscire a dire di più e/o di diverso con i tuoi dipinti, rispetto a ciò che viene descritto dal linguaggio fotografico?

Lo scatto fotografico ai fini dell'indagine poliziesca inevitabilmente ha una funzione documentaria e anche i corpi delle vittime di un delitto, come ogni altro dettaglio della scena del crimine, vengono, per così dire, “trattati come oggetti della scena”. La persona uccisa, il suo corpo privo di vita,  diventano un “oggetto” da studiare e indagare per la comprensione della dinamica stessa dell'evento, sperando di pervenire, anche grazie a questo, alla soluzione del caso.
La foto poliziesca quindi non ha altri intenti che questo; nei miei quadri, al contrario, tento di dire  molto di più di queste persone,  vorrei che il risultato fosse quello di metterne in luce l'anima, in qualche maniera, o per lo meno quello che io sento che loro mi trasmettono. Perciò, sì, la foto mi offre lo spunto ma il mio dipinto in realtà racconta ben altro.

Credi che l'artista, oggi, abbia ancora un ruolo sociale, di denuncia e/o di testimonianza?

A dire il vero, ho sempre pensato che la cosa più importante per un artista sia riuscire ad esprimere sé stesso, con le modalità espressive che gli sono congeniali, senza doversi  preoccupare di “trasmettere” messaggi di natura morale o educativi e didattici in generale.
Nel ciclo che ho dedicato alla scena del crimine, tuttavia, il desiderio di dire qualcosa sul problema dell'abuso e della violenza efferata e gratuita, c'è in effetti. Una forma di denuncia vi si può leggere sicuramente, emerge certamente anche un'attenzione particolare al fatto che quasi sempre siano le donne le vittime della violenza. Attribuire inoltre ai miei dipinti anche un valore di testimonianza della condizione di emarginazione di chi vive ai margine della società, non è in contrasto con i miei intenti, anzi.

Tornando alla tua produzione artistica, fatta eccezione per i quadri del ciclo dedicato alla scena del crimine, in tutti gli altri, curiosamente, l'essere umano non compare mai, ma se ne percepisce comunque e fortemente la presenza; qual è la ragione di questa “apparente” esclusione?

Non posso dire che si tratti di una scelta meditata come lo sono altre che ho fatto e faccio. Mi sono posto questa domanda io stesso e la sola risposta che sono riuscito a darmi è che quando dipingo un paesaggio  in esso istintivamente non colloco l'essere umano, anche se tu giustamente dici che lo si percepisce comunque (probabilmente nei segni della sua presenza che inevitabilmente lascia sempre e comunque in ogni ambiente); quando invece mi concentro sulla figura umana il paesaggio si percepisce appena, anche per il taglio dell'inquadratura. C'è sempre una dicotomia, uno spazio di mezzo”, che per adesso non sono interessato a colmare.

In questi anni hai fatto esperienza, direttamente e indirettamente, di ciò che ruota intorno al mondo dell'arte; hai conosciuto artisti, critici e curatori più o meno affermati e noti a livello nazionale, galleristi e mercanti d'arte, collezionisti e  semplici appassionati d'arte; in poche parole hai conosciuto, da dentro,  l'ambiente. Qual è l'opinione che ti sei fatto al riguardo?

 

Si tratta di un mondo certamente affascinante e stimolante. È comunque un mondo molto chiuso, e soprattutto per  i giovani che aspirano a far conoscere il proprio lavoro la vita non è facile.
È la storia del giovane calciatore promettente che ha bisogno di scendere in campo per fare esperienza e far conoscere il proprio talento. Nel mondo dell'arte, così come nel calcio,  bisogna trovare il “mister” che ha il coraggio di darti fiducia e di farti “giocare”.

Restando nell'ambito della pittura; si fa un gran parlare da alcuni anni della cosiddetta “Nuova figurazione italiana”, e in effetti il panorama artistico nazionale appare molto prodigo di proposte che vengono tutte ricondotte a questa definizione. Che opinione ti sei fatto sulla consistenza di questo contemporaneo e specifico fenomeno, sul suo valore e sulla sua reale portata, rispetto a più celebri e rivoluzionari movimenti artistici del passato?

Credo che dopo le esperienze artistiche, spesso davvero rivoluzionarie e dirompenti, del secolo scorso, fosse inevitabile un ritorno alla pittura con la P.
È un processo che ha avuto origine con la Transavanguardia e che è continuato fino ai giorni nostri. Ci provò già De Chirico nel '900, con la coraggiosa provocazione del “pictor optimus”, e lui sicuramente se lo poteva permettere.

Cosa significa per te essere artista contemporaneo?

Sono contento di vivere in quest'epoca, mi sento privilegiato per questo e per potermi esprimere con la massima libertà. Mi ricollego a quello che ho detto poc'anzi: nel '900 certe  tendenze nel mondo dell'arte  imponevano all'artista di annullare la pittura a favore del concettuale e di linguaggi che spesso così rivoluzionari nemmeno lo erano. Oggi per fortuna non è più così e si può scegliere.

 

NOTE BIOGRAFICHE
DeposizioneDiego D. Testolin nasce a Schio (VI), il 22 luglio 1968.
Si diploma alla scuola di grafica pubblicitaria di Vicenza “Bartolomeo Montagna” nel 1987.
La sua produzione artistica comincia già quando è poco più che adolescente, con sperimentazioni di vario genere, sia per i temi affrontati, sia per le tecniche ed i materiali utilizzati, dall’acquerello all’olio, dalle spatole ai pennelli, su tela e su legno e altri supporti.
Realizza dipinti che sono di volta in volta espressione di una fase della sua crescita e della sua formazione di uomo e di artista.
Il ciclo cosiddetto “Pop”, risalente ad una quindicina di anni fa, rappresenta un momento importante del suo percorso, il primo che attira su di lui l’interesse di persone estranee alla cerchia familiare e degli amici, infatti alcuni suoi lavori vengono acquistati da privati.
Si tratta di una produzione che tuttavia finirà con l’abbandonare per approdare ad altro, nella sua costante ricerca di nuove modalità espressive, di temi originali o se non proprio nuovi almeno proposti in maniera originale che sia espressione della sua personale cifra.
Ecco allora che sul finire del 2004 compaiono i suoi paesaggi, dipinti ad olio su tele di diverse dimensioni, raramente ridotte, egli predilige infatti una superficie ampia, sulla quale realizzare scorci e visioni dei luoghi che appartengono al suo vissuto, alla sua memoria.
Località della pedemontana vicentina,  sua terra d’origine, aree urbane metropolitane delle città dove ha trascorso periodi importanti della sua vita, Milano e Roma e, ancora, scorci di parchi cittadini della città di Padova, dove risiede, osservati da un punto di vista insolito ed originale.
E’ proprio il ciclo dei paesaggi ad essere proposto in due mostre personali tenutesi nel corso del 2006, a giugno e a settembre, nella raffinata cornice di due palazzi storici di altrettanti comuni veneti, Motta di Livenza (TV) ed Arquà Petrarca (PD).

Tra la fine del 2005 e la prima metà del 2006,  Testolin sviluppa un’idea originale derivatagli dalla possibilità di collaborare con la Polizia Scientifica, grazie alla sua specializzazione nella realizzazione degli identikit, attività per la quale è il referente della Polizia di Stato per il Triveneto.
La singolarità di  questa sua esperienza lo porta spesso a contatto con situazioni ed ambienti preclusi alla gente comune.
Conoscere le dinamiche e i dettagli di omicidi efferati, nei quali la violenza va al di là di ogni comprensione umana, lo costringe a riflessioni profonde sull’essere umano, lo porta a guardare oltre l’accadimento stesso e, nell’analizzare il dato oggettivo, la sua umanità lo induce ad osservare con occhio particolare le vittime di violenze.
In ciò che osserva, Testolin vede la duplice valenza di un messaggio estremo, quello involontariamente lanciato dall’aggressore, che ne denuncia in maniera evidente lo sconvolgimento mentale ed emotivo, drammaticamente leggibile nei corpi violati e in tutto ciò che costituisce la “scena del crimine”, e quello della vittima che ci lascia intuire i sentimenti da essa vissuti negli ultimi istanti di vita.
Nella seconda parte del 2006 dà inizio ad un nuovo ciclo di opere, di importanti dimensioni, che chiama “On the road”, in omaggio alla sua formazione culturale ed intellettuale maturata grazie alle letture giovanili di scrittori e poeti della Beat Generation americana. Nascono quindi i quadri dell’ultimo periodo nei quali egli parla della sua personale adesione ad un modo di sentire la vita, in sintonia con quello di Bukowsky piuttosto che Kerouac, di Ginsberg piuttosto che Burroughs.
Il viaggio ideale di attraversamento degli Stati Uniti d’America, coast to coast, lungo interminabili rettilinei d’asfalto dritti come schegge, attraverso pianure immense e paesaggi diversissimi fra loro, Testolin lo compie percorrendo in lungo e in largo la sua pianura Padana, cooptandone in sé stesso luci e colori, vivendola alla maniera beat, quanto a sensazioni, emozioni ed esperienze personali consumate.
È proprio questa la parte di sé che egli vuole raccontare attraverso le sue pennellate; una parte importante, che egli avverte appartenergli profondamente ed intimamente, mai rinnegata e a lui connaturata, ora finalmente narrata anche nelle sue tele del ciclo “On the road”.  Il dinamismo intrinseco delle immagini e l’uso del colore nel rendere la luce particolare e i suggestivi colori della pianura veneto-lombarda sono al servizio della sua idea del viaggio come esperienza formativa e conoscitiva che lo fa approdare ad un luogo interiore, più che ad una meta geografica, e lo rivela a sé stesso.
Altre suggestioni, che in lui nascono dalla visione del paesaggio lagunare e di Venezia, trovano originale e inedita espressione in un altro e parallelo ciclo di opere, mediante il gesto pittorico e un gioco sapiente di luci e colori che rivitalizzano e attualizzano scorci mille volte già visti, luoghi veneziani che ormai appartengono alla memoria collettiva dell'umanità.
La poesia e l'incanto di una Venezia vissuta e sentita con moderna sensibilità, che dialoga naturalmente con la terraferma, in uno scambio fluido di suggestioni cromatiche.
L'artista vive e lavora a Padova.

A cura di Maria Prosdocimo

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