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N. 56, V anno, 2008 Sabato 1 novembre  2008
 
 
 


  Vi capitolo di Panta Rei

Maria Prosdocimo

Con l’inizio della terza elementare il nuovo maestro entrò nella sua vita con la forza delle novità che rivoluzionano ogni cosa. Alto, snello ed elegante, portava pizzo e baffi alla moda del ventennio fascista, segno distintivo della inequivocabile fede politica. Un’allarmante fama di personaggio burbero e dispotico, dal piglio marziale, durissimo con gli alunni, l’aveva preceduto. Le voci che velocemente si diffusero fra gli alunni preoccupati, in un crescente tam-tam alimentato dall’ansia, raccontavano della facilità con cui egli sapesse ottenere l’attenzione anche dei più scapestrati, grazie a poco ortodossi metodi educativi personali. Qualcuno giurò che dove non arrivavano le sue poderose mani sopraggiungesse, preceduta da un lungo sibilo, la pallina da tennis, sempre presente sulla cattedra. Maria non ebbe paura, a differenza dei compagni poteva contare su informazioni di prima mano, grazie al suo stretto rapporto con un eccellente “informatore”. La madre insegnava nello stesso plesso scolastico e conosceva bene tutti i colleghi. Le garantì, sulla parola, che il nuovo maestro le sarebbe piaciuto. Tanto le bastò. Il solo, grande timore che l’assillava nasceva dal sapere che lei, figlia di un ex partigiano, sarebbe stata allieva di un fascista. Adorava il padre ed era certa che se mai si fosse toccato l’argomento ne avrebbe preso le parti, senza calcolare le possibili conseguenze. Il suo amore per il genitore era acritico ed incondizionato. Sperò con tutta l’anima, segretamente e per tutto il tempo delle elementari, che ciò non si verificasse mai. Già dal primo giorno l’intera classe poté tranquillizzarsi; non v’era nemmeno l’ombra della pallina da tennis sul piano della cattedra. Alcuni fra i ragazzini penetrarono furtivamente nell’aula, durante la pausa della ricreazione, cercandola ovunque, rovistando anche nei cassetti, senza tuttavia trovarla. Il maestro Italo avrebbe accompagnato la classe fino all’esame di licenza elementare e in quei tre anni avrebbe svelato ai fanciulli un mondo nuovo e meraviglioso di conoscenze e di sapere. Possedeva una vasta cultura che dispensò a profusione; non era tenero, né particolarmente espansivo, ma ciò dipendeva dal pudore di un carattere introverso e dalla rigida educazione nella quale era stato cresciuto, non da un animo cattivo. Maria ebbe con lui belle e frequenti conversazioni, condividendo gusti e passioni comuni, come quella, esaltante, per la musica classica, che già in famiglia la piccola aveva imparato a conoscere e ad apprezzare. Proprio l’amore condiviso per l’arte di Euterpe avrebbe ispirato più tardi, a conclusione dell’intero ciclo scolastico, la scelta della piccola per il dono di congedo che avrebbe offerto, con gioia e commozione all’amato maestro. Maggio era ormai alle porte, la lunga preparazione alla prima comunione si avviava a conclusione. Le ultime lezioni di catechismo, tenutesi all’oratorio parrocchiale durate tutto l’anno scolastico, furono integrate da alcune giornate di prove generali in Duomo, dove i ragazzini mimavano il sacro rituale che li avrebbe introdotti all’eucaristia vera e propria di lì a qualche settimana. Era il mese della Madonna e ogni sera alle diciannove il prete officiava la Santa Messa, resa ancor più dolce dai tanti “fioretti” dei piccoli, futuri comunicandi. Confessione e prima comunione venivano impartite entrambe nel medesimo periodo di vita dei giovanissimi frequentatori della Chiesa, in terza elementare, e l’occasione era particolarmente attesa dagli interessati soprattutto perché era garanzia di tanti bei regali da parte di parenti ed amici. Maria sapeva che la maggior parte dei doni che avrebbe ricevuto sarebbero stati libri giacché tutti, nella cerchia familiare, conoscevano il suo amore smisurato per la lettura. Era felice al pensiero e attendeva con trepidazione di sciogliere i fiocchi ai pacchettini. Il primo libro, in ordine di arrivo, le fu donato proprio dal maestro Italo il quale, certo di conoscere ormai il temperamento avventuroso dell’alunna, scelse per lei il romanzo di Mark Twain il cui irrequieto protagonista, Tom Sawyer, gli sembrava ben incarnare la ribellione all’autorità propria della ragazzina. Fu tuttavia, fra tutti quelli ricevuti, il romanzo della Rawlings, “Cucciolo”, a colpirla al cuore, diventando sin dalle prime righe la lettura più amata. Il mondo meraviglioso di Jodie e del suo cucciolo di cerbiatto Flag, l’amicizia del bambino con il fragile compagno di avventure immaginate Icaro, l’assorbivano completamente nei lunghi pomeriggi di lettura, durante i quali Maria si estraniava completamente dalla realtà e viveva insieme ai personaggi di quelle fantastiche storie emozioni e situazioni. Tom Sawyer e Huckleberry Finn, Jodie e Icaro, Maria e le due amiche Costanza ed Emma; era come se la sua fervida fantasia riuscisse ad annullare ogni barriera temporale, culturale e fisica, regalandole la possibilità di vivere come reali situazioni solo immaginate. Non erano tante, del resto, le opportunità offerte dal luogo in cui era nata, e il bisogno di evadere dalla ripetitività del quotidiano per trovare alimento adeguato alla sua anima si faceva ogni giorno più pressante. Come Tom anche lei desiderava svincolarsi da ogni legame e sentirsi libera di tentare anche le imprese più azzardate, come quelle fantastiche di un altro suo grande idolo, Pippi Calzelunghe, senza però riuscire mai ad ignorare del tutto il profondo e tenace attaccamento alle persone amate. Il giorno che tentò di volare dal terrazzo di casa, munita solo di un ombrello, si rese conto che non tutto ciò che aveva visto fare alla sua amica televisiva le poteva riuscire con la stessa facilità e un buon numero di ammaccature continuò a ricordarglielo nelle settimane seguenti. Esito negativo ebbe anche la sua performance con le spazzole da biancheria legate alle piante dei piedi per una pattinata sul pavimento della cucina, preventivamente cosparso di acqua saponata. Pippi s’era prodotta in numeri acrobatici sensazionali in una situazione analoga, scivolando agilmente sui pavimenti di casa insaponati, lei invece non era riuscita nemmeno ad avanzare di qualche metro. Pensò che le spazzole non fossero quelle più adatte e dovette rinunciare all’impresa, non prima di aver ripulito e ben lavato tutto il pavimento della stanza, appena in tempo prima che qualcuno di casa se ne accorgesse, magari a proprie spese. Il capitano Efraim, genitore della rossa ragazzina svedese, perennemente assente, salvo in casi di assoluta emergenza, rappresentava l’ideale figura paterna per Maria che, come l’avventurosa e fortissima eroina, voleva contare solo su sé stessa nelle difficoltà e trionfare per forza e coraggio di fronte agli amici. In fondo, per certi aspetti, suo padre era davvero simile al capitano Efraim; riusciva a risultare assente benché vivesse in quella casa ed erano rari i momenti in cui moglie e figli erano realmente ammessi nel suo mondo. Il ruolo di Zietto, il cavallo bianco a pois neri, Maria l’aveva affidato alla sua bella femmina di setter maculato, mentre per quanto riguardava quello del signor Nilsson, la vivacissima scimmietta, s’era dovuta arrendere alla proibizione dei genitori di prendere in casa qualsiasi altro animale. L’addestramento della cagnetta s’era dimostrato piuttosto facile, era riuscita a farle fare il salto ad ostacoli, rovesciando a terra il tavolinetto del soggiorno e incitando l’animale a superarlo con un balzo, agitandogli sotto al naso qualche avanzo di carne dal pranzo. Più difficile era risultato convincere la bestiola a passare dentro al cerchio, sebbene non fosse infuocato. A sé stessa aveva riservato gli esercizi acrobatici, dalle evoluzioni al trapezio, fatto installare nel giardino di casa dal padre dopo sua insistenza, ai giochi d’equilibrio, a due metri da terra, sulla sommità del cancello della recinzione, muovendosi cautamente ma senza paura. Fu talmente soddisfatta dei risultati raggiunti che decise di attirare un pubblico pagante e, a tale scopo, preparò delle locandine pubblicitarie, riempiendo decine di pagine dei quaderni di scuola con disegni coloratissimi e con l’annuncio che ad una certa ora, in quel giardino, sarebbe stato proposto uno strepitoso spettacolo circense, al modico prezzo di 100 lire. Infilzò ogni singolo manifesto sui rametti di ligustro della siepe di recinzione, e rimase ad attendere gli spettatori, indossando già il primo costume di scena da acrobata, che altro non era se non uno dei numerosi costumi da bagno per il mare. Trascorse due ore, l’attesa si fece, via, via, più snervante e la bambina cominciò a sospettare che i manifesti non fossero abbastanza accattivanti ed invitanti, perciò uscì dal giardino per verificare come mai nessuno si fermasse a leggere l’annuncio e, con grande sorpresa, vide che non c’era più nemmeno un foglietto infilzato sulla siepe. Una voce severa le giunse dopo alcuni istanti: “Vergògnate, stupideta!”. Era l’antipatico vicino di casa che lei chiamava maliziosamente Gable per la straordinaria somiglianza delle sue orecchie a quelle del famoso attore americano. “E per che cosa?”, gli rispose lei di getto, accigliata e già sul piede di guerra; “Co 'ste monàde te disonora to pare; cossa te situ messa in testa? Vutu far un circo a casa tua? E to pare lo saêo? Penso proprio de no, sennò el te 'varía sistemà lu par ben!”, aggiunse l’impiccione prima di voltarle le spalle e rientrare in casa, senza darle il tempo di replicare. Maria si accese d’ira, quella era la sua siepe e nel suo giardino poteva fare ciò che più le andava. Come s’era permesso quell’imbecille di strappare tutte le sue locandine? Che male c’era in ciò che aveva fatto? Ormai, tuttavia, s’era fatto tardi per quel pomeriggio e dovette rinunciare alle sue velleità artistiche, nonché ai suoi progetti di business, ma gliela avrebbe fatta vedere lei a Gable, prima o poi. In qualche maniera gliel'avrebbe fatta pagare, ci fossero voluti anche anni, l’avrebbe fatto! Giunse finalmente la domenica mattina della prima comunione; Maria s’era confessata il giorno precedente, insieme a tutti gli altri neo comunicandi. Durante l’ultimo mese di aprile il confessore le aveva impartito l’assoluzione una volta a settimana e lei aveva dato fondo alla sua personale riserva di peccatucci. Il pomeriggio precedente il grande giorno, avvertendo la necessità di agevolare la missione del sacerdote, ritenne giusto inventarsi qualche manchevolezza extra, di poco conto, giusto per adempiere all’incombenza. Confessò naturalmente anche una certa propensione a raccontare bugie, chiudendo così il cerchio e sentendosi in pace con sé stessa. Era una splendida domenica mattina di maggio, maschi e femmine vestivano tutti una bianca tunica con profili ricamati in filo dorato; le bambine portavano il velo di tulle, uguale per ciascuna di loro e fermato da un cerchietto per capelli infiorettato. I piccoli sposi e spose di Gesù, ordinatamente disposti intorno all’altar maggiore del tempio, parteciparono emozionati e con devozione alla sacralità del rito, recitando scrupolosamente le preghiere imparate e intonando i canti scelti per l’occasione. Al momento dell’eucarestia Maria avvertì una sensazione strana, come se dal centro del suo cuore qualcosa avesse iniziato ad espandersi e stesse cercando di uscire dal corpo. Fu colta dallo spavento e sentì venirle meno l’aria; barcollò subito riprendendosi. In fondo alla chiesa un improvviso trambusto attirò la sua attenzione e quella degli altri fedeli; un’anziana donna aveva perso i sensi ed era scivolata a terra. I soccorritori la stavano già rialzando per accompagnarla all’esterno e in pochi istanti venne ristabilita la gioiosa e fremente atmosfera del rito. Probabilmente il fumo dell’incenso è troppo forte, pensò fra sé e sé la bambina, che aveva sempre provato un certo disgusto per quell’odore. “Va tutto bene?”, le sussurrò una vocina dietro di lei; era Emma che, seguendola nella fila mentre tornavano ai rispettivi posti, si era accorta del suo temporaneo disagio; “Sì, sì, va tutto bene, non ti preoccupare, grazie.” Terminati i festeggiamenti della giornata, una volta a letto, Maria rimase sveglia a lungo, non riuscendo ad addormentarsi. La sensazione provata in chiesa era stata davvero molto strana; l’incenso, certo, poteva esserne stata la causa eppure lei sentiva che qualcosa di inspiegabile le era accaduto. La stanchezza, infine, ebbe il sopravvento e con il sonno i pensieri della piccola s’involarono per non tornare più a farle visita, nei giorni a seguire.

Chi volesse scrivere all'autrice, può farlo a questo indirizzo di posta elettronica: casiestremi@yahoo.it

Maria Prosdocimo


 
 
 
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