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N. 54, V anno, 2008 Lunedì 1 settembre  2008
 
 
 


  Addio a Nin Scolari

Luccia Danesin

Nin Scolari fondò nel 1975 Teatrocontinuo a Padova

Si è spento il mese scorso dopo una grave malattia a 69 anni. Nin Scolari un attore, registra e drammaturgo acuto e coerente, attivo sulla scena nazionale da oltre 30 anni, sempre alla ricerca di nuove forme espressive per un teatro che sapesse scandagliare temi, miti, approdi e ad un più profondo contatto con l’essenzialità del vivere. Al Nin e alla sua compagna di vita e di lavoro, l’attrice Luciana Roma dobbiamo la nascita a Padova nel ‘75 di Teatrocontinuo. Compagnia che si colloca come III° teatro o teatro di gruppo. Questa definizione è stata data da Eugenio Barba che ha cercato di raccogliere tutti quei fenomeni teatrali che si sono espressi al di fuori della ufficialità teatrale e hanno assunto come loro immagine espressiva l’uso del corpo. Questo tipo di metodo e di scelta teatrale implica un coinvolgimento attivo dello spettatore e un riferimento abbastanza specifico all’antropologia storica e culturale.

Anni fa ebbi occasione di fare al Nin una breve intervista sullo spettacolo ”Si può morire anche d’amore” che andava in scena a Padova nella sede di Teatrocontinuo in Vicolo Pontecorvo. I tre elementi su cui ruota lo spettacolo sono la vita, l’amore, la morte. Ciò che la rappresentazione tende a trasmettere è l’angoscia della perdita, dell’assenza dell’amato, angoscia che non vuole diventare disperazione impotente ma che si aggrappa alla speranza di poter, in qualche modo e a qualsiasi costo, tenere in vita l’oggetto del proprio amore. Richiesta che nello spettacolo viene ad essere esaudita quanto Tone, uno dei protagonisti, baratta una parte della sua vita in cambio di un pezzettino di vita in più della moglie. L’amore perciò come forza che trascende e supera l’irrazionalità che vi è in ogni morte e che porta alla consapevolezza dello stretto rapporto (e fusione) tra vita, amore e morte che “l’essere” esprime e, solo in questa accettazione, il presente viene ad essere interamente compreso.

Come è nata l’idea di mettere in scena uno spettacolo con il tema dominante del rapporto con la morte?
L’idea ci è nata dal “sentore” di morte che si respira al giorno d’oggi. Non più voglia di vivere, non più valori o credenze personali o sociali e anche perché ognuno di noi, ad un certo punto della sua vita, si confronta con la morte: la morte di persone care. Questo ci ha posto delle domande: perché non si riesce più ad accettare che si deve morire? Oppure, perché si uccide continuamente? Oppure, perché questo stillicidio di morte quotidiana, questo morire un po’ dentro ogni giorno?. Avete costruito il testo avvalendovi di qualche riferimento letterario? Sì. Abbiamo incominciato con delle letture antropologiche sul tema della morte e ad un certo punto è apparsa questa storia di Tone che ancora oggi è raccontata dai montanari delle valli Ladine che, pur nella sua elementarità, contiene tutti gli elementi dell’evoluzione del concetto di morte dalla preistoria ai tempi moderni. Storia che è stata poi arricchita dall’apporto immaginativo delle quattro persone che hanno costruito il testo. Credo che alla fine il nostro spettacolo risulti non un inno alla morte ma un inno alla vita anche perché “si muore un po’ per amore, quindi amando”, come si muore un poco ogni giorno quando si opera una scelta perché si lascia sempre qualcosa o qualcuno anche caro. L’importante è capire che tutto questo fa parte della vita in sé.

Luccia Danesin



 
 
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