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N. 54, V anno, 2008 Lunedì 1 settembre  2008
 
 
 


  Anniversario di Cesare Pavese: Cercare scampo nella morte

Milena Milani

Cesare PaveseFa sempre molto caldo, a Roma, nella serata in cui si assegna il Premio Strega. Gli invitati indossano abiti estivi, e anche le scrittrici si adeguano, così gli scrittori, i giornalisti, gli editori. Ogni clan ha il suo tavolo in posizioni strategiche di fronte al palco, sul quale stanno gli scrutatori e dove c’è la grande lavagna con i nomi dei cinque selezionati e i titoli dei loro libri. Una bella ragazza, possibilmente attricetta televisiva, è pronta a scrivere con il gesso il numero dei voti attribuiti ai singoli finalisti. Operatori TV si fanno largo tra la folla in piedi, chiedendo pareri su quanto avverrà tra poco (che, già in quegli anni, si è sempre saputo in partenza, per le manovre di alcuni pacchetti di schede). Intanto i fotografi corrono come impazziti, da un politico all’altro (immancabili dal 1947 in avanti). Ci sono anche industriali, imprenditori, campioni del calcio sposati con fantastiche giovanissime mogli. Siamo nel 1950, si sussurra che vincerà Cesare Pavese, è il suo turno, Maria Bellonci è soddisfatta, sicura di quella affermazione. In più lo scrittore ha adesso una aureola di sciupafemmine, anche se è scostante, goffo, quasi torvo. In realtà è un timido, capace però di avere coinvolto due attrici americane, sia pure di medio livello, che sembrano essere in competizione tra di loro per godere dei suoi favori. Ma Pavese andrà a letto almeno con una delle due? In quell’estate tutti si pongono questa domanda. Anche perché lui, lo scrittore, è impenetrabile, introverso, soverchiato dai problemi esistenziali. È arrivato il momento clou della gara, sulla lavagna compare il nome dell’autore, è fatta, ha più voti di tutti gli altri, Pavese è primo, guarda caso, con ”La bella estate”, del 1949, non il suo libro migliore che sarà invece ”La luna e i falò” del 1950, giudicato un capolavoro. Anche “La bella estate” tratta i temi consueti, la forza della natura, i miti dell’infanzia, la riscoperta della campagna ma anche l’impossibilità di integrarsi con i propri simili. L’attrice americana, per la quale ha perso la testa, non è presente, c’è soltanto la sorella di lei, ma non è la stessa cosa. Lo scrittore piemontese di Santo Stefano Belbo, dove è nato nel 1908, non esulta, non riesce a sorridere, vorrebbe sprofondare sotto terra, non essere mai partito da Torino per quella avventura letteraria che lo turba e lo distrugge. Mi trovavo a poca distanza mentre lo proclamavano vincitore, doveva salire sul palco e trovare le parole per il consueto ringraziamento. Avrei voluto aiutarlo in quel momento imbarazzante. La gente non capiva e continuava con gli applausi. Quasi due mesi dopo lui si sarebbe ucciso. La sua morte avvenne in albergo, a Torino, lasciò un foglietto dove raccomandava di “non fare troppi pettegolezzi”. Era il ventisette agosto 1950, chi va in vacanza non ha voglia di parlare del trapasso finale. Tuttavia i pettegolezzi ci furono e, dopo tanto tempo, continuano ancora. In questa nuova estate 2008, più infuocata di quella di allora, ritorna il mistero annunciato di quel suicidio, di quella morte “che avrà i tuoi occhi”, secondo un altro suo titolo celebre, di un volume di poesie, uscito postumo nel 1951. Lo rivedo lo scrittore catapultato tra il pubblico del Premio Strega, è pallido, smarrito, con un abito spiegazzato più grande della sua taglia, la barba mal rasata, gli occhi dietro le lenti, perduti su orizzonti che nessuno scorge se non lui. L’America, il continente sterminato di cui traduce gli scrittori anche se non ne parla la lingua, quelli che insegna a scuola ai suoi studenti, il mondo fittizio di Hollywood, dove lei se n’è andata all’improvviso e forse non ritornerà più. Il riconoscimento appena ottenuto non placa il tormento di Pavese, avrebbe voluto offrirlo alla sua donna in pegno d’amore. “La bella estate” si è volatizzata, c’è Roma con i suoi ritmi mondani, lontanissimi dal suo universo intellettuale. Meglio risalire la Penisola, cercare scampo nella morte.

Albisola quindici agosto 2008

Milena Milani



 
 
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