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N. 54, V anno, 2008 Lunedì 15 settembre  2008
 
 
 


  Parte la stagione teatrale a Bassano del Grappa

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Giuliana De Sio a Bassano del GrappaLa Stagione Teatrale Città di Bassano, edizione 2008/2009, promossa dall’Assessorato allo Spettacolo e dalla Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona, rappresenta un nuovo tassello che si aggiunge al lavoro svolto in questi anni con l’obiettivo di offrire alla nostra città il meglio della produzione teatrale nazionale, selezionando spettacoli di assoluto valore artistico ed attori tra i più accreditati tra quelli attivi sulla scena italiana.

Ma al di là della qualità del singolo evento, quello che ci preme da sempre evidenziare rispetto al lavoro e alla modalità con la quale viene costruito il cartellone è la precisa volontà di disegnare un percorso di riflessione e di analisi rispetto ai temi trattati, agli autori selezionati e alle proposte di messa in scena individuate.

In sostanza, disegnare una stagione teatrale non significa semplicemente mettere insieme dei titoli in modo più o meno casuale, ma riflettere su tematiche, poetiche, possibilità di analisi e di riflessione che ogni serata a teatro può suscitare nel pubblico. Perché se è vero che gli spettatori rivendicano il legittimo diritto all’intrattenimento, il modo in cui questo può essere esperito implica sempre e comunque un’assunzione di responsabilità rispetto chi fa la proposta, e per noi questo presuppone saper riempire anche il divertimento di contenuti, offrendo non solo occasioni di svago ma proposte culturalmente importanti in senso etico e morale.

Osservando i temi trattati quest’anno, ad esempio, un punto di contatto è la volontà di mettere al centro le contraddizioni che ogni individuo vive all’interno della società di oggi. Un rapporto conflittuale che viene costantemente alimentato dalla sue gioie, le sue miserie, i suoi dubbi, le sue certezze, la sua predisposizione a prevaricare e l’assoluta disabitudine alla rinuncia.

Un padre del pensiero politico come Thomas Hobbes parla di homo homini lupus per evidenziare la natura egoistica di ogni azione umana, asserendo che a determinare il comportamento del singolo è più che altro l'istinto di sopravvivenza.

Applicando un concetto strettamente filosofico a gran parte dei testi in programma, si delineano una serie di ritratti impietosi, su come l’uomo non si senta mai spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di una disposizione naturale, quanto dalla volontà di esercitare il controllo o dalla paura di essere sottomesso.

Un’individualità dunque osservata all’interno delle diverse dinamiche sociali, mors tua vita mea, ennesima metafora messa in campo per palesare l'egoismo umano, per evidenziare la difficoltà di entrare in comunicazione con l’altro, a partire dal microcosmo della famiglia, specchio fedele della società in cui viviamo.
Il tema è perfettamente centrato da Neil Simon autore “leggero” per antonomasia che in Un giardino di aranci fatti in casa riflette sulle dinamiche familiari, sul valore della paternità incarnato dallo sguardo bonario di Gianfranco D’Angelo, sulla difficoltà di capirsi quando il tempo ha messo una profonda distanza nei legami di sangue.

Le stesse dinamiche familiari sono presenti nell’adattamento teatrale del celebre Il laureato che perde i suo connotati spazio temporali, l’America ribelle del 1968, se osservato come metafora: da una parte della difficoltà di crescere, dall’altra dell’incapacità di accettare la routine o il tempo che passa. Sarà la strepitosa Giuliana De Sio a dare corpo a una livida Mrs Robinson, lacerata nell’anima al punto di non conoscere la pietà per nessuno, figli compresi.

Una società dunque, quella che emerge, che è specchio della convenzione, anche all’interno del nucleo familiare, ricettacolo di invidie e falsità. E’ quella disegnata con assoluta attualità dal celeberrimo Enrico IV di Pirandello, e restituita alla perfezione dall’interpretazione di Ugo Pagliai e Paola Gassman, assidui frequentatori del grande drammaturgo sicilano.

Oppure quella intercettata da Goldoni quasi tre secoli fa ne La vedova scaltra, acuta indagine sull’eterno gioco delle parti che definisce l’incolmabile divario tra maschile e femminile e gioca sui luoghi comuni dell’appartenenza di genere per rivendicare il diritto alla diversità. Una lettura attualizzata dall’adattamento e dalla regia di una grande protagonista della cultura italiana del 900 come Lina Wertmuller.

Un altro aspetto da evidenziare in questa edizione della stagione teatrale bassanese è la scelta degli autori. Accanto ai classici Goldoni e Pirandello o ai beniamini del teatro d’intrattenimento quali Neil Simon e Bernard Slade, spuntano i nomi di Friedrich Durrenmatt e Jean Genet due straordinari testimoni del 900 europeo troppo poco frequentati dai palcoscenico italiani. Al primo va riconosciuto il merito di aver contribuito al rinnovamento del teatro di lingua tedesca, trattando in chiave grottesca i problemi della società contemporanea e smascherando le meschinità nascoste dalla facciata del perbenismo borghese. A rappresentare la sua poetica La più bella giornata della mia vita (La panne), indagine sui sensi di colpa e sull’incapacità umana di giudicare i propri simili, trattata con amara ironia da Gianmarco Tognazzi.

Altrettanto amaro, ma ancora più inquietante, il testo Le serve (Les bonnes) di Jean Genet, che in questa versione riunisce due mostri sacri del teatro italiano come Franca Valeri e Annamaria Guarnieri. Genet è indubbiamente uno degli autori più controversi del secolo scorso, portatore di un’esperienza poetica in cui la vita e l'opera d'arte si intrecciano profondamente, al punto da rendere difficile la distinzione tra episodi inventati ed esperienze realmente vissute. Due approcci diversi all’impegno politico, quelli di Durrenmatt e Genet, che sintetizzano idealmente la distonia tra l’utopia collettiva e l’edonismo individualista entro cui l’uomo contemporaneo continua a dibattersi.

A completare il programma, e dunque questo ideale viaggio tra le umane imperfezioni, due testi che lasciano un barlume di speranza. Il senso di appartenenza ad una comunità, per quanto sgarrupata e provvisoria, come quella di un gruppo musicale raccontato con affetto e partecipazione in Senza Swing, il testo che apre la rassegna e vede il ritorno al teatro del più esplosivo fenomeno televisivo degli ultimi anni: Flavio Insinna.

Ma ancora di più ad esaltare quanto di positivo la nostra condizione è in grado di determinare per garantire, senza retorica, un possibile futuro sviluppo sociale, si manifesta l’intensa umanità dei personaggi presentati nel testo di Bernard Slade Romantic Comedy, resi credibili dalla distaccata partecipazione di Marco Columbro e Mariangela D’Abbraccio. La simpatia che i caratteri qui descritti restituiscono allo spettatore nasce da una stima reciproca così forte da suonare sospetta. "Perchè si vogliono tutti così bene?" si finisce col chiedersi. Eppure qualcuno avrà ciò che vuole e qualcun'altro no. Ci saranno dei vincitori e dei vinti. La verità è che in questo testo anche i vinti risplendono quanto i vincitori, quasi come se il destino che l'autore ha assegnato alle sue creature fosse quello giusto per tutti.

Un paradiso possibile in fin dei conti dove l’Homo homini lupus ritrova quella dimensione spirituale che l’avvicina al divino, attua un meditato superamento della sua animalità per esaltare concetti come quello della solidarietà, dell’appartenenza, della rinuncia mai intesa come sottrazione ma vissuta come scelta consapevole.

Un invito dunque alla comprensione reciproca, alla condivisione, quella stessa che l’esperienza del teatro è in grado di generare negli spettatori. In chi decide di abbandonare la cuccia rassicurante delle quattro mura domestiche per aprirsi al dialogo, al confronto, per riuscire, attraverso l’altro e le sue diversità, a conoscere un po’ meglio anche se stesso. Imparare a confrontarsi con la diversità e con l’unicità dell’altro, a partire dal nostro vicino di poltrona, è questo l’augurio che facciamo a chi assieme a noi deciderà di vivere, non solo il piacere, ma anche il valore che continua ad avere il teatro, oggi più che mai.

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