Foto: il manicomio di Treviso
Mostra fotografica di Loris Menegazzi allo Spazio Antonino
Paraggi di Treviso, in via Pescatori 23, fino all’11 luglio 2004,
dal mercoledì alla domenica dalle 16.00 alle20.00, lunedì e martedì
chiuso, ingresso libero
a cura di ABCVeneto
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© Loris Menegazzi |
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Il S. Artemio è un lavoro inedito, concepito
dal fotografo trevigiano Loris Menegazzi per fissare, alla vigilia della
trasformazione urbanistica dell’area dell’ex Ospedale Psichiatrico
da parte della Provincia di Treviso, una interpretazione d’autore
di uno degli spazi più carichi di storia, dolore e speranze del territorio
trevigiano, ma anche di uno dei pochi parchi della città. Un nodo di
umanità, natura e architettura, recentemente tornato alla ribalta per
merito di una inusuale e intensa lotta civica per la sua riqualificazione.
Durante molti anni il S. Artemio, per la maggior parte dei trevigiani,
più che un luogo è stato un buco profondo: il ghetto recondito e misterioso
della follia. L’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Treviso,
più brevemente “Il S. Artemio”, occupa dai primi anni del
1900 un vasto parco nell’allora suburbio settentrionale della
città. Il pregio paesaggistico di quella contrada doveva essere vivido
anche allora. Un dirigente della Croce Rossa, in visita al S. Artemio
durante i primi anni della Grande Guerra (quanti “mati de guera”
lo popolavano a quell’epoca!), lo tratteggia amenamente come “immerso
nella campagna ancora tutta verde, mentre nell’orizzonte si profilavano
i colli e più in là le Alpi maestose come un duplice diadema di ricchezza
e di gloria” (l’aulica prosa non stupisca: l’autore
pubblicò infatti un volume intitolato addirittura Le oasi del dolore,
con la prefazione di Gabriele D’Annunzio). E’ alla stessa
penna carica di retorica che, pare, il S. Artemio deve l’epiteto
di “casa del silenzio”: un eufemismo tanto urtante e paradossale,
se accostato alla memoria storica dei manicomi di allora, quanto emblematico
per ciò che resta oggi di quel sito.
Oggi, che molti malati di mente non lo abitano più e i pochi che restano
talora si aggirano tranquilli tra il parco; che le comunità di migranti
che ne avevano fatto la loro casa lo hanno lasciato per altre –
si spera – più dignitose abitazioni; che la lotta di molti cittadini
per mantenere vivi i caratteri di eccentricità che lo hanno ormai segnato
(non è forse da matti, o quanto meno da eccentrici, volere decine di
migliaia di metri quadri di verde e altrettanti metri cubi di architettura
preservati dalla speculazione e dedicati ad un uso collettivo, sociale
e culturale, a beneficio della città?) ha lasciato il posto a una mite
speranza che cova ancora sotto l’attesa; oggi davvero sembra che
ad accogliere il visitatore di S. Artemio sia soprattutto il silenzio.
Un silenzio che induce a ricordare, o a immaginare, le innumerevoli
storie che hanno animato quei luoghi.
E quel silenzio, così invitante ed evocativo, sembra essere alla base
di tutta la strategia compositiva e narrativa dell’opera fotografica
di Loris Menegazzi in mostra allo Spazio Paraggi. L’autore usa
il grande formato, ossia pellicole piane da 20x25 cm, e sfrutta tutta
la lentezza che questa tecnica impone di fronte al soggetto, traducendola
in intensità di tagli e in complesse modulazioni di messa a fuoco dei
piani dell’immagine. Riesce, in questo modo, a creare delle immagini
dove i soggetti principali, che possono essere indifferentemente tronchi
di alberi, fioriture, arbusti, reti metalliche, panchine, scivoli, muri,
diventano personaggi di una rappresentazione quasi teatrale: degli attori
monologanti che paiono distillare, nella lentezza della ripresa, le
emozioni vissute attorno a loro in tanti anni. Nella profondità dei
piani delle immagini, l’architettura occupa quasi sempre lo sfondo.
Come un basso continuo. O come, appunto, la scena di un teatro romano.
Attraverso la suggestione di figure metaforiche, Menegazzi riesce dunque
a donare una rappresentazione ancora viva di un luogo, il cui fascino
maggiore risiede soprattutto nella sua radicale ambivalenza: teatro
di drammi della follia in passato, teatro di una sorta di rinnovata
liturgia “eleusina” nel presente (da qualche tempo si rinnova
il rito di feste d’autunno e di primavera).
Quale sarà nel futuro il teatro del S. Artemio lo potrà dire invece
la Provincia di Treviso, che con la ULSS n. 9, proprietaria del sito,
ha stretto un’intesa per la sua acquisizione, al fine di insediarvi
i propri uffici, ma anche di riunificarlo ad altro territorio contiguo,
da sempre appartenente alla Provincia, che ospita il Parco naturale
dello Storga, con l’intento dichiarato di evitare il frazionamento
del S. Artemio in proprietà diverse e lo sfruttamento edilizio.
Loris Menegazzi, è nato a Nafels (Svizzera),
nel 1960. Nel 1980 si diploma presso il Liceo Artistico di Treviso,
dove inizia a studiare fotografia. Nel 1989 espone una serie di paesaggi
alla “Photo Gallery 87” di Conegliano; nello stesso anno
partecipa alla mostra “L’insistenza dello sguardo”,
presso Palazzo Fortuny, in Venezia, curata da Italo Zannier, Paolo Costantini,
Silvio Fuso e Sandro Mescola, in occasione del centocinquantenario della
fotografia italiana. Nel 1992 partecipa ad una collettiva presso la
libreria “Quartiere Latino” di Conegliano. Nel 1993 è presente
nella mostra sulla fotografia italiana contemporanea “segni di
luce”, curata da Italo Zannier. Nel 1994 espone una serie di ritratti
alla “Galleria Internazionale Fotografia” di Treviso; nello
stesso anno realizza per il Comune di Cavaso del Tomba, nell’ambito
di un lavoro di recupero e valorizzazione del territorio pedemontano
intrapreso dall’Amministrazione comunale, una serie di paesaggi
raccolti nella pubblicazione “L’esperienza del paesaggio”,
curata da Marco Zanta ed edita dal Comune di Cavaso. Nel 1995, partecipa
a “Geografie: esperienze di fotografia italiana contemporanea”,
organizzata da Francesco Raffaelli, presso la Libreria Dedalus di Cesena.
Nel 1999, espone allo Spazio Antonino Paraggi, nella sede di Santa Maria
del Sile, con un saggio della sua ricerca sul ritratto. Nel 2001 è tra
i nove fotografi che inaugurano la nuova sede dell’Associazione
Antonino Paraggi, con la collettiva Zapping n. 0.