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numero 3, anno primo - 1 giugno 2004 giornale online gratuito (a 30 giorni)
Foto: il manicomio di Treviso

Mostra fotografica di Loris Menegazzi allo Spazio Antonino Paraggi di Treviso, in via Pescatori 23, fino all’11 luglio 2004, dal mercoledì alla domenica dalle 16.00 alle20.00, lunedì e martedì chiuso, ingresso libero

a cura di ABCVeneto


© Loris Menegazzi

© Loris Menegazzi

© Loris Menegazzi

© Loris Menegazzi

Il S. Artemio è un lavoro inedito, concepito dal fotografo trevigiano Loris Menegazzi per fissare, alla vigilia della trasformazione urbanistica dell’area dell’ex Ospedale Psichiatrico da parte della Provincia di Treviso, una interpretazione d’autore di uno degli spazi più carichi di storia, dolore e speranze del territorio trevigiano, ma anche di uno dei pochi parchi della città. Un nodo di umanità, natura e architettura, recentemente tornato alla ribalta per merito di una inusuale e intensa lotta civica per la sua riqualificazione.

Durante molti anni il S. Artemio, per la maggior parte dei trevigiani, più che un luogo è stato un buco profondo: il ghetto recondito e misterioso della follia. L’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Treviso, più brevemente “Il S. Artemio”, occupa dai primi anni del 1900 un vasto parco nell’allora suburbio settentrionale della città. Il pregio paesaggistico di quella contrada doveva essere vivido anche allora. Un dirigente della Croce Rossa, in visita al S. Artemio durante i primi anni della Grande Guerra (quanti “mati de guera” lo popolavano a quell’epoca!), lo tratteggia amenamente come “immerso nella campagna ancora tutta verde, mentre nell’orizzonte si profilavano i colli e più in là le Alpi maestose come un duplice diadema di ricchezza e di gloria” (l’aulica prosa non stupisca: l’autore pubblicò infatti un volume intitolato addirittura Le oasi del dolore, con la prefazione di Gabriele D’Annunzio). E’ alla stessa penna carica di retorica che, pare, il S. Artemio deve l’epiteto di “casa del silenzio”: un eufemismo tanto urtante e paradossale, se accostato alla memoria storica dei manicomi di allora, quanto emblematico per ciò che resta oggi di quel sito.
Oggi, che molti malati di mente non lo abitano più e i pochi che restano talora si aggirano tranquilli tra il parco; che le comunità di migranti che ne avevano fatto la loro casa lo hanno lasciato per altre – si spera – più dignitose abitazioni; che la lotta di molti cittadini per  mantenere vivi i caratteri di eccentricità che lo hanno ormai segnato (non è forse da matti, o quanto meno da eccentrici, volere decine di migliaia di metri quadri di verde e altrettanti metri cubi di architettura preservati dalla speculazione e dedicati ad un uso collettivo, sociale e culturale, a beneficio della città?) ha lasciato il posto a una mite speranza che cova ancora sotto l’attesa; oggi davvero sembra che ad accogliere il visitatore di S. Artemio sia soprattutto il silenzio. Un silenzio che induce a ricordare, o a immaginare, le innumerevoli storie che hanno animato quei luoghi.

E quel silenzio, così invitante ed evocativo, sembra essere alla base di tutta la strategia compositiva e narrativa dell’opera fotografica di Loris Menegazzi in mostra allo Spazio Paraggi. L’autore usa il grande formato, ossia pellicole piane da 20x25 cm, e sfrutta tutta la lentezza che questa tecnica impone di fronte al soggetto, traducendola in intensità di tagli e in complesse modulazioni di messa a fuoco dei piani dell’immagine. Riesce, in questo modo, a creare delle immagini dove i soggetti principali, che possono essere indifferentemente tronchi di alberi, fioriture, arbusti, reti metalliche, panchine, scivoli, muri, diventano personaggi di una rappresentazione quasi teatrale: degli attori monologanti che paiono distillare, nella lentezza della ripresa, le emozioni vissute attorno a loro in tanti anni. Nella profondità dei piani delle immagini, l’architettura occupa quasi sempre lo sfondo. Come un basso continuo. O come, appunto, la scena di un teatro romano. Attraverso la suggestione di figure metaforiche, Menegazzi riesce dunque a donare una rappresentazione ancora viva di un luogo, il cui fascino maggiore risiede soprattutto nella sua radicale ambivalenza: teatro di drammi della follia in passato, teatro di una sorta di rinnovata liturgia “eleusina” nel presente (da qualche tempo si rinnova il rito di feste d’autunno e di primavera).

Quale sarà nel futuro il teatro del S. Artemio lo potrà dire invece la Provincia di Treviso, che con la ULSS n. 9, proprietaria del sito, ha stretto un’intesa per la sua acquisizione, al fine di insediarvi i propri uffici, ma anche di riunificarlo ad altro territorio contiguo, da sempre appartenente alla Provincia, che ospita il Parco naturale dello Storga, con l’intento dichiarato di evitare il frazionamento del S. Artemio in proprietà diverse e lo sfruttamento edilizio.

Loris Menegazzi, è nato a  Nafels (Svizzera), nel 1960. Nel 1980 si diploma presso il Liceo Artistico di Treviso, dove inizia a studiare fotografia. Nel 1989 espone una serie di paesaggi alla “Photo Gallery 87” di Conegliano; nello stesso anno partecipa alla mostra “L’insistenza dello sguardo”, presso Palazzo Fortuny, in Venezia, curata da Italo Zannier, Paolo Costantini, Silvio Fuso e Sandro Mescola, in occasione del centocinquantenario della fotografia italiana. Nel 1992 partecipa ad una collettiva presso la libreria “Quartiere Latino” di Conegliano. Nel 1993 è presente nella mostra sulla fotografia italiana contemporanea “segni di luce”, curata da Italo Zannier. Nel 1994 espone una serie di ritratti alla “Galleria Internazionale Fotografia” di Treviso; nello stesso anno realizza per il Comune di Cavaso del Tomba, nell’ambito di un lavoro di recupero e valorizzazione del territorio pedemontano intrapreso dall’Amministrazione comunale, una serie di paesaggi raccolti nella pubblicazione “L’esperienza del paesaggio”, curata da Marco Zanta ed edita dal Comune di Cavaso. Nel 1995, partecipa a “Geografie: esperienze di fotografia italiana contemporanea”, organizzata da Francesco Raffaelli, presso la Libreria Dedalus di Cesena. Nel 1999, espone allo Spazio Antonino Paraggi, nella sede di Santa Maria del Sile, con un saggio della sua ricerca sul ritratto. Nel 2001 è tra i nove fotografi che inaugurano la nuova sede dell’Associazione Antonino Paraggi, con la collettiva Zapping n. 0.

 

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