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numero 2, anno primo - 1 maggio 2004 giornale online gratuito a 30 giorni

Terminal Girl


Questo racconto è un pugno nello stomaco: ed è molto bello. Un connubbio perfetto tra sesso e morte.

di Massimo Pellegrin

Mi piaceva scopare con Cinzia. Quando la ammiravo dimenarsi sopra di me come un animale selvatico preso in trappola riuscivo a dimenticare qualunque cosa, anche il cancro che da tempo mi logorava lentamente i polmoni. I medici mi avevano prospettato un paio d'anni di vita se avessi seguito una rigorosa chemioterapia. Fanculo i medici e le loro medicine del cazzo, avevo pensato fra me, la vita si allunga scopando, la vita è come un cazzo, più godi più si allunga…
Avevo conosciuto Cinzia nel più banale dei modi, in coda alla cassa di un supermarket. Le era caduta una scatoletta di tonno, non ricordo la marca, mi ero chinato a raccoglierla e avevo intravisto per un solo attimo la sua caviglia nuda, costretta in scarpe complicatissime, azzurre e con un tacco che tirava da puttana a un chilometro. Avevo avuto un'erezione così subitanea che, lo confesso, me n'ero stupito anch'io. Lei nascondeva il suo volto dietro un enorme paio di occhiali da sole, mi sembra fossero neri, prese la scatoletta dalla mia mano sfiorandola lentamente con i polpastrelli delle dita. Aveva mani lunghe e affusolate, molto curate anche se fin troppo magre. Fu lei a offrirmi da bere, sorridendo debolmente, quasi imbarazzata. Per ringraziarmi diceva. Cazzo, pensai, se le cadeva una cassa di minerale e gliela raccattavo che mi faceva, un pompino lì su due piedi?

Quella notte la passai a casa sua, ma suppongo che dormimmo poco. Dico suppongo perché ricordo stranamente ben poco di quella prima scopata con lei. Credo che le piacque, comunque, perché la sera dopo mi chiamò a casa (e chi le aveva dato il mio numero?) per chiedermi se le raccoglievo qualcos'altro. Capitò lì dopo un paio d'ore. Entrò come se niente fosse, ariosa e sicura, mi chiese come stavo e se avevo qualcosa da bere. Si accomodò sul divano accavallando le gambe che sgusciarono dal cappotto come due anguille prese nella rete. Mi chiese se quel posto fosse sempre stato un merda e fu molto divertita quando le confessai che avevo appena dato una sistemata in giro proprio per lei. In effetti il mio appartamento era degno del più pidocchioso francese di merda di tutta Parigi, con la differenza che io stavo a Milano e non a Parigi... La realtà era che da quando mi avevano diagnosticato quel fottuto tumore, di un sacco di cose non me ne fregava più nulla. Mentre le versavo qualcosa in un bicchiere pulito la sbirciavo dalla cucina; si era levata in piedi e guardava incuriosita la mia collezione di dischi (ne avevo quasi seimila) che riempiva completamente la parete più ampia dell'appartamento, e che era l'unica cosa veramente in ordine di tutta la casa. Me la rimiravo annusando la sua figura alta e snella, che il vestito nero rendeva sensualmente elegante. Ero rientrato nel salottino porgendole il bicchiere, lei lo aveva vuotato in un sorso e me lo aveva subito reso, fissandomi dura. Serrava le labbra ancora lucide di cognac e una sottile goccia le luccicava ad un angolo della bocca. Fu allora che la vidi per come era in realtà. Le presi il bicchiere lentamente, guardandole il volto e scendendo giù, verso la scollatura. Lei se ne accorse perché mi chiese se avevo intenzione di perdere ancora del tempo, doveva andarsene in capo a mezz'ora e dovevamo fare in fretta.
- Fammi sentire quello - mi disse indicandomi un disco che aveva già messo sul piatto - e poi scopami.
Non avrei mai immaginato che ascoltando gli Slayer si potesse godere a quel modo, né che una donna come Cinzia apprezzasse quel tipo di musica. In effetti mi confidò dopo molto tempo che quella musica lei non la conosceva affatto, ma aveva intuito che doveva piacere a me, dato che era quello uno dei dischi con la copertina più malandata e che lo aveva scelto solo per quel motivo.
Mi si buttò sopra come una pazza e cominciò a leccarmi il viso come una cagna riconoscente. Fu lei a spogliarmi, mentre ossessionatamente mi strofinava con vigore l'uccello che già esplodeva sotto i jeans. Non si tolse nemmeno la gonna, la tirò su fino ai fianchi, lo strinse forte nella mano sinistra (ricordo il luccichio dello smalto rosso) e si impalò come una vergine sacrificale, piegando la testa di lato e socchiudendo le labbra. Sentii subito il calore umidiccio della sua fica infradiciarmi dopo pochi colpi secchi e ben assestati. In genere non amavo farmi cavalcare troppo a lungo da una donna, ma con lei il mio orgoglio di maschio idiota lasciava il posto allo spettacolo inusitato dei suoi seni che si divincolavano impazziti, in un turbine di capelli rossi e ricci che si avvinghiavano ai capezzoli piccoli e prominenti. Lei del mio cancro non sapeva ancora nulla, ma il modo in cui respiravo la insospettì senz'altro. Era una sofferenza tentare di resisterle e allo stesso tempo cercare di ingoiare l'aria sufficiente a sopportare un altro colpo, e un altro, e un altro…
- Ora devo proprio andare - mi disse inaspettatamente ad un tratto, e se lo sgusciò in fretta, con un moderato schiocco di labbra, con la naturalezza di chi finisce il turno al lavoro. Io la scrutavo beato mentre si rivestiva in quel modo così vizioso e aspettavo, cercando di prepararmi a parare il colpo che sarebbe arrivato di lì a poco. Prima possibilità, pensavo: questa è una zoccola di alto bordo che adesso mi chiederà un mezzo patrimonio con la scusa del ricatto e magari chiamerà pure il suo principale; seconda possibilità: se ne esce senza nemmeno salutarmi. Bah, pensavo, meglio sarebbe la seconda… Ma in effetti me se sbatto pure della prima; non ho un soldo in tasca che non siano quelli per le sigarette o un po' di erba e se vuole parlare con mia moglie che le parli pure. Quella baldracca appena ha saputo della mia malattia ha girato i tacchi e se n'è andata a prenderlo in culo chissà dove.
Tanto meglio, sapere che devi morire ti rende più libero, ti porta indietro con gli anni e ti fa dire e fare le cose che avresti voluto ma non hai mai potuto, cose sempre sopite e soffocate dalle convenzioni, dalla noia, dalla convenienza spicciola, dal piccolo velo di falsità che ci avvolge tutti e che allo stesso tempo neghiamo meravigliati, riconoscendolo solo negli altri. Claudio Villa diceva che la vita è bella e la morte fa schifo, e non so proprio dargli torto. I cantanti a volte la sanno più lunga di noialtri normali.

Cinzia si è rivestita, si sta accomodando le mutandine sotto la gonna e si guarda allo specchio, ignorandomi completamente. Si volta e si avvicina al bordo del letto, recupera la borsetta, ne estrae una sigaretta, l'accende di scatto e comincia a fumare nervosamente in punta di labbra.
- Sei malato? - mi chiede.
- Cancro - le rispondo.
- Polmoni?
- Si
- E' grave?
- Due anni facendo il bravo, sei mesi facendo lo stronzo.
- E tu che vuoi fare?
- Non l'hai capito?
- Certo che l'ho capito - mi dice mettendosi il soprabito. Io le chiedo a quel punto se le va di rivedermi. Lei sorride come una madre e mi guarda.
- Ti chiamo io - mi dice - ma tu non fare troppo il curioso: non cercarmi.

Non la sentii per quasi un mese. Me la ricordavo ormai vagamente, sforzandomi di considerarla come una buonuscita, un'indennità, un piccolo risarcimento per la vita di merda che avevo vissuto finora e che stavo per lasciare senza possibilità di replica. Poi un giorno suona il telefono, è lei e mi dice che tra poco sarà da me, se me la sento.
- Certo che me la sento, sto per morire…. - dico sorridendo alla cornetta.
Quando aprii la porta quasi non la riconobbi. Era vestita con un normale paio di jeans, una normale camicetta, un normale paio di scarpe e non era truccata in alcun modo. Mi porse un piccolo regalo ed entrò baciandomi sulla guancia. Poi mi abbracciò e mi accompagnò sul divano chiedendomi di aprire il pacchetto. Un regalo. Era quasi un anno che non ne ricevevo e in realtà non me ne fregava di riceverne, ma apprezzai ugualmente il pensiero. Lo scartai lentamente, scrutandola di sottecchi con un mezzo sorriso e un'ombra di imbarazzo. Il pacchetto conteneva un'altra piccola scatoletta di plastica che, aperta, svelò il suo contenuto: un crocefisso… Da lei non me lo sarei mai aspettato, dentro mi si ruppe qualcosa, ma dovetti fingere di apprezzarlo ugualmente. Come poteva saperlo, lei, che ero ateo fin nello sporco delle mutande? Presi tra le mani il crocefisso e mi sforzai di cancellare i duemila anni di male con cui l'uomo l'aveva violentato, irriso e ingannato, e gli stessi duemila anni che questo fottuto dio aveva lasciato passare senza curarsene. Pensai tra me una bestemmia e la ringraziai sfiorandole i capelli rossi con una mano. Lei la prese nelle sue e io pensai "questa stronza si è presa un cotta per uno che tra massimo sei mesi tira le cuoia". Ad un tratto si sedette sopra di me spingendomi contro lo schienale del divano; odoravo la pelle dei suoi seni che già eruttavano desiderio trafiggendo la camicetta e, nonostante la malattia avanzata, sentivo già l'uccello drizzarsi e spingere irresistibilmente dentro i pantaloni. Le sbottonai la camicetta e sprofondai il viso tra quelle deliziose tettine, baciando i capezzoli duri e increspati. Lei si levò in piedi quasi subito, si spogliò nella penombra estiva con una grazia e delicatezza che credevo esserle estranee, poi mi sfilò i pantaloni e sprofondò la testa fra le mie gambe nude. Venni quasi subito, lei sputò per terra sul parquet, ma sapevo che di lì a pochi minuti il solo vederla così splendida e mia avrebbe rimesso in forze il mio attrezzo. Aveva capelli lunghissimi, che adornavano la sua figura davanti e di dietro, come fiori primaverili. Non era una donna bellissima, né prorompente nella sua interezza, né tantomeno giovanissima, ma emanava un profumo di madre e amante, di selvaggina e muschio, di acque fradice e di ozono che la rendeva quasi soprannaturale.

Ci vedemmo così per altri due mesi, quasi tutti i giorni e tutte le notti, senza sapere nulla l'uno dell'altra se non che io potevo morire da un momento all'altro. Poi venni ricoverato d'urgenza in ospedale. I dottori notarono un forte peggioramento delle mie condizioni, a seguito di una spropositata attività fisica della quale non riuscivano a capacitarsi. Dicevano che avrei dovuto riposare di più, fumare di meno, lasciare stare la bottiglia ed evitare di svolgere 'attività sportiva'. Se avessero saputo che in due mesi avevo scopato forse più di quanto avessero fatto loro nell'arco di una vita…

***
Cinzia viene a trovarmi tutti i giorni e resta per un'ora esatta, l'ora in cui gli infermieri e tutti gli altri rompicoglioni se ne stanno un po' alla larga; a volte mi parla, a volte mi fa qualcosa di veloce sotto le lenzuola. Oggi ha pianto. Io invece non ci riesco più, mi sono stancato di tutto, mi è passata anche la voglia di morire per avere il pretesto di compatirmi. Ha pianto perché mi ha detto che non verrà più. Ha sfiorato le mie labbra con le sue, si è alzata e se ne è andata per sempre, ondeggiando lascivamente sugli stessi tacchi a spillo che le vidi addosso la prima volta.

***
Oggi mi sono alzato, ho fatto due passi nella camera del mio vicino per scroccare una cicca. E' messo peggio di me, leucemia mi sembra. Era lì con un amico che parlava di una donna con i capelli rossi che si era scopato per un mese poco tempo fa, prima di essere ricoverato. Diceva che la chiamavano 'la barcaiola' perché traghettava i moribondi da questa all'altra vita trascinandoli per l'uccello: era una ninfomane deviata che pescava cazzi terminali.
Me ne tornai a letto.

E piansi.

 

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