Terminal Girl
Questo racconto è un pugno nello stomaco: ed è
molto bello. Un connubbio perfetto tra sesso e morte.
di Massimo
Pellegrin
Mi piaceva scopare con Cinzia. Quando la ammiravo dimenarsi sopra di
me come un animale selvatico preso in trappola riuscivo a dimenticare
qualunque cosa, anche il cancro che da tempo mi logorava lentamente
i polmoni. I medici mi avevano prospettato un paio d'anni di vita se
avessi seguito una rigorosa chemioterapia. Fanculo i medici e le loro
medicine del cazzo, avevo pensato fra me, la vita si allunga scopando,
la vita è come un cazzo, più godi più si allunga
Avevo conosciuto Cinzia nel più banale dei modi, in coda alla
cassa di un supermarket. Le era caduta una scatoletta di tonno, non
ricordo la marca, mi ero chinato a raccoglierla e avevo intravisto per
un solo attimo la sua caviglia nuda, costretta in scarpe complicatissime,
azzurre e con un tacco che tirava da puttana a un chilometro. Avevo
avuto un'erezione così subitanea che, lo confesso, me n'ero stupito
anch'io. Lei nascondeva il suo volto dietro un enorme paio di occhiali
da sole, mi sembra fossero neri, prese la scatoletta dalla mia mano
sfiorandola lentamente con i polpastrelli delle dita. Aveva mani lunghe
e affusolate, molto curate anche se fin troppo magre. Fu lei a offrirmi
da bere, sorridendo debolmente, quasi imbarazzata. Per ringraziarmi
diceva. Cazzo, pensai, se le cadeva una cassa di minerale e gliela raccattavo
che mi faceva, un pompino lì su due piedi?
Quella notte la passai a casa sua, ma suppongo che dormimmo poco. Dico
suppongo perché ricordo stranamente ben poco di quella prima
scopata con lei. Credo che le piacque, comunque, perché la sera
dopo mi chiamò a casa (e chi le aveva dato il mio numero?) per
chiedermi se le raccoglievo qualcos'altro. Capitò lì dopo
un paio d'ore. Entrò come se niente fosse, ariosa e sicura, mi
chiese come stavo e se avevo qualcosa da bere. Si accomodò sul
divano accavallando le gambe che sgusciarono dal cappotto come due anguille
prese nella rete. Mi chiese se quel posto fosse sempre stato un merda
e fu molto divertita quando le confessai che avevo appena dato una sistemata
in giro proprio per lei. In effetti il mio appartamento era degno del
più pidocchioso francese di merda di tutta Parigi, con la differenza
che io stavo a Milano e non a Parigi... La realtà era che da
quando mi avevano diagnosticato quel fottuto tumore, di un sacco di
cose non me ne fregava più nulla. Mentre le versavo qualcosa
in un bicchiere pulito la sbirciavo dalla cucina; si era levata in piedi
e guardava incuriosita la mia collezione di dischi (ne avevo quasi seimila)
che riempiva completamente la parete più ampia dell'appartamento,
e che era l'unica cosa veramente in ordine di tutta la casa. Me la rimiravo
annusando la sua figura alta e snella, che il vestito nero rendeva sensualmente
elegante. Ero rientrato nel salottino porgendole il bicchiere, lei lo
aveva vuotato in un sorso e me lo aveva subito reso, fissandomi dura.
Serrava le labbra ancora lucide di cognac e una sottile goccia le luccicava
ad un angolo della bocca. Fu allora che la vidi per come era in realtà.
Le presi il bicchiere lentamente, guardandole il volto e scendendo giù,
verso la scollatura. Lei se ne accorse perché mi chiese se avevo
intenzione di perdere ancora del tempo, doveva andarsene in capo a mezz'ora
e dovevamo fare in fretta.
- Fammi sentire quello - mi disse indicandomi un disco che aveva già
messo sul piatto - e poi scopami.
Non avrei mai immaginato che ascoltando gli Slayer si potesse godere
a quel modo, né che una donna come Cinzia apprezzasse quel tipo
di musica. In effetti mi confidò dopo molto tempo che quella
musica lei non la conosceva affatto, ma aveva intuito che doveva piacere
a me, dato che era quello uno dei dischi con la copertina più
malandata e che lo aveva scelto solo per quel motivo.
Mi si buttò sopra come una pazza e cominciò a leccarmi
il viso come una cagna riconoscente. Fu lei a spogliarmi, mentre ossessionatamente
mi strofinava con vigore l'uccello che già esplodeva sotto i
jeans. Non si tolse nemmeno la gonna, la tirò su fino ai fianchi,
lo strinse forte nella mano sinistra (ricordo il luccichio dello smalto
rosso) e si impalò come una vergine sacrificale, piegando la
testa di lato e socchiudendo le labbra. Sentii subito il calore umidiccio
della sua fica infradiciarmi dopo pochi colpi secchi e ben assestati.
In genere non amavo farmi cavalcare troppo a lungo da una donna, ma
con lei il mio orgoglio di maschio idiota lasciava il posto allo spettacolo
inusitato dei suoi seni che si divincolavano impazziti, in un turbine
di capelli rossi e ricci che si avvinghiavano ai capezzoli piccoli e
prominenti. Lei del mio cancro non sapeva ancora nulla, ma il modo in
cui respiravo la insospettì senz'altro. Era una sofferenza tentare
di resisterle e allo stesso tempo cercare di ingoiare l'aria sufficiente
a sopportare un altro colpo, e un altro, e un altro
- Ora devo proprio andare - mi disse inaspettatamente ad un tratto,
e se lo sgusciò in fretta, con un moderato schiocco di labbra,
con la naturalezza di chi finisce il turno al lavoro. Io la scrutavo
beato mentre si rivestiva in quel modo così vizioso e aspettavo,
cercando di prepararmi a parare il colpo che sarebbe arrivato di lì
a poco. Prima possibilità, pensavo: questa è una zoccola
di alto bordo che adesso mi chiederà un mezzo patrimonio con
la scusa del ricatto e magari chiamerà pure il suo principale;
seconda possibilità: se ne esce senza nemmeno salutarmi. Bah,
pensavo, meglio sarebbe la seconda
Ma in effetti me se sbatto
pure della prima; non ho un soldo in tasca che non siano quelli per
le sigarette o un po' di erba e se vuole parlare con mia moglie che
le parli pure. Quella baldracca appena ha saputo della mia malattia
ha girato i tacchi e se n'è andata a prenderlo in culo chissà
dove.
Tanto meglio, sapere che devi morire ti rende più libero, ti
porta indietro con gli anni e ti fa dire e fare le cose che avresti
voluto ma non hai mai potuto, cose sempre sopite e soffocate dalle convenzioni,
dalla noia, dalla convenienza spicciola, dal piccolo velo di falsità
che ci avvolge tutti e che allo stesso tempo neghiamo meravigliati,
riconoscendolo solo negli altri. Claudio Villa diceva che la vita è
bella e la morte fa schifo, e non so proprio dargli torto. I cantanti
a volte la sanno più lunga di noialtri normali.
Cinzia si è rivestita, si sta accomodando le mutandine sotto
la gonna e si guarda allo specchio, ignorandomi completamente. Si volta
e si avvicina al bordo del letto, recupera la borsetta, ne estrae una
sigaretta, l'accende di scatto e comincia a fumare nervosamente in punta
di labbra.
- Sei malato? - mi chiede.
- Cancro - le rispondo.
- Polmoni?
- Si
- E' grave?
- Due anni facendo il bravo, sei mesi facendo lo stronzo.
- E tu che vuoi fare?
- Non l'hai capito?
- Certo che l'ho capito - mi dice mettendosi il soprabito. Io le chiedo
a quel punto se le va di rivedermi. Lei sorride come una madre e mi
guarda.
- Ti chiamo io - mi dice - ma tu non fare troppo il curioso: non cercarmi.
Non la sentii per quasi un mese. Me la ricordavo ormai vagamente, sforzandomi
di considerarla come una buonuscita, un'indennità, un piccolo
risarcimento per la vita di merda che avevo vissuto finora e che stavo
per lasciare senza possibilità di replica. Poi un giorno suona
il telefono, è lei e mi dice che tra poco sarà da me,
se me la sento.
- Certo che me la sento, sto per morire
. - dico sorridendo alla
cornetta.
Quando aprii la porta quasi non la riconobbi. Era vestita con un normale
paio di jeans, una normale camicetta, un normale paio di scarpe e non
era truccata in alcun modo. Mi porse un piccolo regalo ed entrò
baciandomi sulla guancia. Poi mi abbracciò e mi accompagnò
sul divano chiedendomi di aprire il pacchetto. Un regalo. Era quasi
un anno che non ne ricevevo e in realtà non me ne fregava di
riceverne, ma apprezzai ugualmente il pensiero. Lo scartai lentamente,
scrutandola di sottecchi con un mezzo sorriso e un'ombra di imbarazzo.
Il pacchetto conteneva un'altra piccola scatoletta di plastica che,
aperta, svelò il suo contenuto: un crocefisso
Da lei non
me lo sarei mai aspettato, dentro mi si ruppe qualcosa, ma dovetti fingere
di apprezzarlo ugualmente. Come poteva saperlo, lei, che ero ateo fin
nello sporco delle mutande? Presi tra le mani il crocefisso e mi sforzai
di cancellare i duemila anni di male con cui l'uomo l'aveva violentato,
irriso e ingannato, e gli stessi duemila anni che questo fottuto dio
aveva lasciato passare senza curarsene. Pensai tra me una bestemmia
e la ringraziai sfiorandole i capelli rossi con una mano. Lei la prese
nelle sue e io pensai "questa stronza si è presa un cotta
per uno che tra massimo sei mesi tira le cuoia". Ad un tratto si
sedette sopra di me spingendomi contro lo schienale del divano; odoravo
la pelle dei suoi seni che già eruttavano desiderio trafiggendo
la camicetta e, nonostante la malattia avanzata, sentivo già
l'uccello drizzarsi e spingere irresistibilmente dentro i pantaloni.
Le sbottonai la camicetta e sprofondai il viso tra quelle deliziose
tettine, baciando i capezzoli duri e increspati. Lei si levò
in piedi quasi subito, si spogliò nella penombra estiva con una
grazia e delicatezza che credevo esserle estranee, poi mi sfilò
i pantaloni e sprofondò la testa fra le mie gambe nude. Venni
quasi subito, lei sputò per terra sul parquet, ma sapevo che
di lì a pochi minuti il solo vederla così splendida e
mia avrebbe rimesso in forze il mio attrezzo. Aveva capelli lunghissimi,
che adornavano la sua figura davanti e di dietro, come fiori primaverili.
Non era una donna bellissima, né prorompente nella sua interezza,
né tantomeno giovanissima, ma emanava un profumo di madre e amante,
di selvaggina e muschio, di acque fradice e di ozono che la rendeva
quasi soprannaturale.
Ci vedemmo così per altri due mesi, quasi tutti i giorni e tutte
le notti, senza sapere nulla l'uno dell'altra se non che io potevo morire
da un momento all'altro. Poi venni ricoverato d'urgenza in ospedale.
I dottori notarono un forte peggioramento delle mie condizioni, a seguito
di una spropositata attività fisica della quale non riuscivano
a capacitarsi. Dicevano che avrei dovuto riposare di più, fumare
di meno, lasciare stare la bottiglia ed evitare di svolgere 'attività
sportiva'. Se avessero saputo che in due mesi avevo scopato forse più
di quanto avessero fatto loro nell'arco di una vita
***
Cinzia viene a trovarmi tutti i giorni e resta per un'ora esatta, l'ora
in cui gli infermieri e tutti gli altri rompicoglioni se ne stanno un
po' alla larga; a volte mi parla, a volte mi fa qualcosa di veloce sotto
le lenzuola. Oggi ha pianto. Io invece non ci riesco più, mi
sono stancato di tutto, mi è passata anche la voglia di morire
per avere il pretesto di compatirmi. Ha pianto perché mi ha detto
che non verrà più. Ha sfiorato le mie labbra con le sue,
si è alzata e se ne è andata per sempre, ondeggiando lascivamente
sugli stessi tacchi a spillo che le vidi addosso la prima volta.
***
Oggi mi sono alzato, ho fatto due passi nella camera del mio vicino
per scroccare una cicca. E' messo peggio di me, leucemia mi sembra.
Era lì con un amico che parlava di una donna con i capelli rossi
che si era scopato per un mese poco tempo fa, prima di essere ricoverato.
Diceva che la chiamavano 'la barcaiola' perché traghettava i
moribondi da questa all'altra vita trascinandoli per l'uccello: era
una ninfomane deviata che pescava cazzi terminali.
Me ne tornai a letto.
E piansi.