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numero 0 anno primo - 25 febbraio 2004 mensile online gratuito

Il tempo Violato

di Daniele Capacci

Tutto sta diventando troppo veloce,
il tempo cioè si comprime.
E noi ne soffriamo, come soffriamo quando l'aria è sporca e piena di gas,
come quando mangiamo dei cibi o beviamo vivande di cui sospettiamo.

Molti non se ne rendono conto ma noi siamo sotto choc. Un sociologo americano lo ha chiamato, appunto, "choc da globalizzazione". Tutto sta diventando troppo veloce, il tempo cioè si comprime. E noi ne soffriamo, come soffriamo quando l'aria è sporca e piena di gas, come quando mangiamo dei cibi o beviamo vivande di cui sospettiamo.

La compressione del tempo è una violazione dell'ecologia umana. Viene da chiedere: è indispensabile? E' un dato di natura da cui non possiamo prescindere? Io non credo. Io penso che sia una specie di diavolo ex machina dal quale dobbiamo difenderci. Anche perché, se ne soffriamo noi europei, noi occidentali, noi che Alexandr Zinoviev considera alla stregua di una mutazione specifica (e irripetibile) ad alta produttività, figuriamoci come possono sopportare questa compressione del tempo altri popoli e genti del pianeta che non sono abituati ad agire ad alta produttività e che non hanno la minima intenzione di diventarlo nel "tempo" delle prossime dieci generazioni.

C'è un bellissimo proverbio russo che, quando mi trovo a ragionare del "tempo" come quarta dimensione della teoria della relatività, mi capita sempre di citare. "Per noi, noi russi, cento chilometri non sono una distanza e cento anni sono appena un sospiro". E la Russia non è neanche troppo distante da noi. I Russi sono quasi uguali, a prima vista. Hanno lo stesso teatro, lo stesso cinema, una letteratura di cui noi europei abbiamo gioito e gioiamo da tre secoli. Ma sono anche parte dell'Asia e questo solo fatto, questo essere un ponte tra due civiltà, li fa diversissimi rispetto al tempo. Loro - si potrebbe dire usando ancora Zinoviev - sono un popolo a minore produttività rispetto a noi. Ed è quindi inutile pretendere da loro comportamenti "temporali" identici ai nostri, o anche soltanto analoghi. Dove cento chilometri sono una passeggiata da fare a piedi, non può esserci la stessa idea di produttività del lavoro di luoghi dove ogni centimetro quadrato di terra è già stato cablato, dove c'è internet senza fili, dove tra provincia e città non c'è più differenza.

Per noi che metabolizziamo una novità nel corso di una giornata e la dimentichiamo nel corso delle successive 24 ore, cento anni sono un'entità sconosciuta, mentre per loro sono un sospiro, il sospiro di due generazioni e mezzo (perché, non dimentichiamolo, loro vivono anche meno di noi).

Da qui uno degli errori più clamorosi della cultura americana, che è priva di questa profondità temporale, è tremendamente piatta e per questo incapace di concepire l'idea che altri popoli di questo pianeta vivano in altri tempi e percepiscano il tempo e la storia in altre forme. Ergo la presunzione (stupida come tutte le presunzioni) che altri debbano percorrere la stessa strada.

Ma come potrebbero se il loro tempo è diverso?

Perché un tempo diverso significa anche la possibilità di scegliere sentieri diversi; significa che quella che per noi è una scorciatoia, per loro è una sciocchezza inutile, che non è bene seguire perché piena di pericoli. Pericoli che noi non vediamo e loro vedono, proprio perché il loro sguardo è più lungo del nostro, proprio perché il tempo che dedicano al pensiero è più vasto rispetto a quello che serve loro per l'azione. Questo tempo più lungo li fa più deboli tecnologicamente, questo è vero. Ma l'essere tecnologicamente più deboli significa forse essere inferiori? Dice un altro proverbio asiatico che il bambino nasce in nove mesi e non si può farlo nascere in quattro, perché morirà.

Il tempo è una parte di noi e ogni popolo ha il proprio, non tanto come scelta, non solo come effetto di una civiltà, ma come parte del proprio organismo. Il tempo della luna e del sole, il tempo degli astri. Noi ne siamo parte integrante. La nostra tecnologia segue logiche diverse da quelle della Luna, ma non può accelerarne il corso interno, che la Luna ha impresso in ciascuno di noi. Ecco perché anche noi, individui ad alta produttività, cominciamo a soffrire di questa accelerazione esogena, violenta.
Perché anche il nostro tempo è violato.

 

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