La mano
In questo numero torna il nostro scrittore preferito con
il suo racconto mensile
di Massimo Pellegrin
La mano
Mio nonno è morto che aveva nemmeno sessant'anni. Mica vecchio,
insomma. Era morto d'infarto, cioè il cuore l'aveva schiattato
senza usarci la cortesia di avvisare prima. L'avevamo trovato rannicchiato
nel letto, tutto storto, con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
Sembrava che fosse morto di paura.
Quella notte nessuno di noi s'era accorto che di là dal muro,
a due passi, il nonno stava crepando in silenzio. Mentre lui si teneva
il braccio e chiamava ma tanto l'aria non gli usciva dalla gola noi
si russava tranquilli.
Persi il sonno per mesi. Perché era evidente che, mentre io sognavo
di chissà quali scemenze, la signora in nero era passata serpeggiando
a pochi metri dalla mia stanza e aveva vendemmiato l'anima del povero
nonno. Quella maledetta. C'aveva fregati tutti. Una settimana dopo si
doveva festeggiare il suo compleanno. L'ho detto, nemmeno aveva sessant'anni.
Gli mancava solo una settimana. Quella maledetta.
Mio nonno raccontava spesso un sacco di storie spaventose. Ed era un
diavolo quando raccontava. Così diavolo che noi bambini si finiva
sempre cacciati sotto le lenzuola tirate fin sugli occhi, sperando che
l'Atabàgico o el Massariòl non ci venissero a tirare per
i piedi. O che magari guardando dalla finestra non scorgessimo vagare
tra il frumento o le vigne brumose strane fiammelle tremolanti, i sanguinelli
dell'Orco.
Ma tra tutte, la storia che più ci terrorizzava era quella della
mano. Una mano infuocata e guizzante che di notte vagava per i campi
ed inseguiva i viandanti attardati sulla via. E non erano balle, giurava.
Era successo al Berto del Gorgo. Una notte di novembre tornava dall'osteria
e, appena si era accorto di una piccola lingua di fuoco che da lontano
lo seguiva tra la nebbia, si era cagato nelle braghe. Aveva cominciato
a pedalare come Coppi ma quella maledetta niente, sempre dietro, come
se niente fosse, sempre appiccicata a si e no venti metri. Pedala pedala
era arrivato trafelato nei pressi di un vecchio granaio, aveva spalancato
il portone e ci si era buttato dentro con la bicicletta. Poi l'aveva
richiuso in fretta mentre il fuoco, ormai a due passi, gli stava piombando
addosso come una schioppettata. E pam! Un colpaccio contro il portone
l'aveva fatto cadere sulla schiena. Fortuna che i cardini avevano tenuto.
Il Berto era rimasto lì tutta la notte solo in compagnia della
sua gran fifa. Al mattino, quando era uscito finalmente alla luce, era
raggelato. Sul legno del portone stava l'inconfondibile impronta bruciacchiata
di una mano aperta.
Che fossero balle mi sembra ovvio. Pensavo a quelle storie mentre guardavo
la foto del nonno, incastonata come una perla sulla sua lapide spianata.
Quanti anni erano passati? Sorrisi. Poi mi voltai per andarmene e per
poco non detti una zuccata al vecchio che era silenziosamente comparso
alle mie spalle.
- Scusi.
- Scusi lei.
Feci per andarmene ma quello mi arpionò per la giacca.
- Che aveva da ridere prima?
- Io non ridevo.
- Invece rideva.
- Sorridevo. Non è la stessa cosa di ridere.
- Neanche si deve sorridere, in cimitero.
- Ma lei chi è, scusi?
- Un amico suo.
E volse lo sguardo verso la tomba del nonno.
- Ah. Comunque no, non ridevo, mi creda. Volevo bene al nonno. Stavo
solo pensando alle storie che raccontava quand'ero bambino.
- Ah, è suo nonno allora.
Subito mi guardò con strano interessamento.
- E che storie raccontava?
- Le solite che si raccontano ai bambini. L'Atabàgico, el Massariòl,
la mano infuocata
- Ma la mano non è una storia. È vera.
- Ah si?
- Si.
- E io che credevo fosse una favoletta per tenere i bambini svegli la
notte
- La mano c'era eccome, non scherzi. Ha giurato di averla vista, il
Berto del Gorgo. E per un pelo ci restava pure dallo spavento. E io
gli credo. Io lo conoscevo bene.
Non insistetti. Ad una certa età qualche rotella sfilata dalla
sede diventa un fatto normale.
- Lo vede che c'è scritto lì?
- Lì dove?
- La data.
- Quale data?
- Quella della morte. Di suo nonno, intendo.
- 14 novembre 1988.
- E il Berto del Gorgo, invece, quando è morto?
- Non lo so, non so nemmeno dove sta. Neanche sapevo che fosse morto.
Mica è mio parente.
- Sta laggiù, sull'angolo, vicino al rubinetto. Là, vede?
- Ah. E allora?
- E allora vada a darci un'occhiata.
Mi fissava con il mento duro. Che mi costava alla fine accontentare
un vecchio? Andai a vedere. Alberto Gorghini, al secolo Berto del Gorgo,
era morto il 14 novembre 1987.
Tornai dal vecchio.
- E allora?
- E allora cosa? L'ha vista la data?
- Si, è uguale, a parte l'anno. Un caso. Io le insegno le probabilità,
a scuola. Succede più spesso di quanto si pensi.
- Non è un caso. Lei lo conosceva Bepo Ombra?
- Lo conoscevo. È morto due anni fa mi sembra.
- Morto quando? Che giorno intendo?
- E che ne so?
- Vada a vedere. Sta lassù, quarta fila, in alto a destra. Vede?
Dove ci sono i fiori marci.
Pigliai la scala, salii. Giuseppe Orti, di professione mescitore, era
morto il 14 novembre 1986. Scesi incuriosito.
- E allora?
- E allora la storia della mano è vera.
Stava calando la sera e un brivido di freddo mi passò sul collo.
Alzai il bavero del cappotto. Novembre tira brutti scherzi, è
fastidioso e umidiccio come un calzetto bagnato. Mi diressi con il vecchio
verso l'uscita.
- Sa quando è morto Toni Olmo? E Palmiro Dall'Acqua? E Rocco
Cescon? E Vanni Pedrini?
- Tutti il 14 novembre?
- Può controllare se vuole. Ma è così.
- E perché?
- Perché la storia della mano non è una storia inventata,
le ho detto. È vera.
- E sarebbe?
Il vecchio fece una lunga pausa.
- Sarebbe che quella notte il Berto del Gorgo la mano l'ha vista davvero.
Era ciucco spolpo ma quella mano c'è finita sul serio contro
quel portone. Perché il segno l'ho visto pure io, il giorno dopo.
E io quel giorno non avevo bevuto.
La luce andava via via scemando. Qualche foglia vorticava nervosa, sfregando
ruvida contro l'asfalto. Cipressi e nuvole grigie come polvere. Qualche
lampione vacilla, poi s'illumina deciso. L'uomo continua a parlare.
- La sera successiva noi ragazzi ci si trovò insieme e si tirò
a sorte. C'era anche il suo povero nonno, pace all'anima sua. Quella
notte uno di noi avrebbe fatto un giro in bicicletta seguito di nascosto
dagli altri. La storia della mano aveva spaventato tutto il paese ma
che vuole, a vent'anni si è curiosi. Anche troppo. Volevamo vederla
pure noi, quella mano. C'era anche il Berto del Gorgo, stavolta sobrio
e pronto a spaccare il muso (sempre se l'avesse trovato, un muso) a
chi gli aveva giocato quello scherzo. Era furibondo. Perché la
notte prima nelle braghe si era cagato veramente e un sacco di gente
ci aveva ricamato sopra, pur sapendo quel che era successo. Per anni
l'avevano chiamato Berto del Cago, lo sapeva?
- No, non lo sapevo.
Il vecchio rise come ride chi sente per la centesima volta l'identica
barzelletta.
- E a chi toccò il giro in bicicletta?
- A me. Toccò a me.
- E che è successo poi?
- È successo che pedalavo da un pezzo e la nebbia mi era entrata
ormai pure nelle budella. Niente. Poi una luce. Prima fioca, poi sempre
più grande. Era un fuoco, un piccolo fuoco brillante come una
stella. Stava davanti a me, immobile, contro una macchia d'alberi. A
quel punto, anche se sapevo che a poca distanza stavano i miei amici
pronti a pararmi il culo, fui così preso dalla paura che scappai
via come un fulmine. E quella fiamma dietro. Ero così spaventato
che addirittura mi misi a gridare mentre filavo verso lo stesso fienile
dove il Berto aveva passato la notte prima.
- Ah.
La sera è diventata grigia come la pelle di un morto. Si è
alzato un vento debole. Qualche goccia di nebbia mi bagna la fronte.
Affondo le mani nelle tasche del cappotto e ficco la testa tra le spalle.
Tossisco. Il vecchio continua a raccontare.
- Insomma arrivo, mi infilo dentro il portone, chiudo e pam! Un colpo
fortissimo contro il legno. Poi sento uno strano sfrigolio. Fssssss.
Poi odore di bruciato. Mi creda, avevo il terrore addosso, ho pensato
in quel momento che il diavolo fosse venuto a pigliarmi l'anima.
- E i suoi amici?
- Ero convinto che fossero scappati chissà dove.
- E invece?
- E invece no. Stavano a pochi metri da quella mano.
- E che hanno visto?
- Una lanterna posata a terra.
- Tutto qui?
- No. C'era anche una mano di ferro attaccata ad un manico, ricoperta
da uno straccio imbevuto d'olio che bruciava.
- Solo questo?
- No. Il manico lo teneva con una mano il Sordo del Mulino. Nell'altra
mano aveva un martello con cui aveva appena picchiato contro l'estremità
del manico. Per lasciare meglio il segno nel legno, capisce? Era quello
il colpo che avevo sentito.
Certo che capivo. Tutto uno solo scherzo, insomma. Da lì poi
era partita la leggenda della mano infuocata e tutti a ricamarci sopra.
Altro che cinema horror. Allora bastava poco.
- E poi? L'avete fatto correre immagino.
- Sordo com'era nemmeno s'era reso conto che alle spalle gli stavano
attorno in cinque. No, non lo facemmo correre.
- No?
- No.
- E che avete fatto?
Stiamo uscendo dal viale di cipressi, una manata di vento mi passa tra
i capelli e rabbrividisco. Il vecchio abbassa la testa e tace.
- Allora? Che avete fatto?
- Il Berto del Gorgo era furioso. Avevo preso il Sordo e l'aveva sbatacchiato
contro le pareti del granaio. Urlava di rabbia. E poi
- E poi
cosa?
Il vecchio tacque ancora. Pensava a cosa poter dire. Poi continuò.
- Le sente le notizie in televisione? Ogni tanto dei bravi ragazzi,
di buona famiglia, vengono accusati e condannati per stupro. Gente rispettabile,
capisce? Gente che magari frequenta la messa la domenica. Vedono di
notte una bella ragazza sola, la prendono, la portano in campagna e
si divertono qualche ora.
- Si, capita ogni tanto. È una cosa schifosa.
- L'uomo è bestia, caro signore. Tutti, anche lei che è
insegnante. L'istinto è una cosa che serve ma a volte fa brutti
scherzi. Noi eravamo in branco e ormai non si capiva più niente.
Non si voleva, ma lo si faceva e basta. E' un ingranaggio che quando
parte parte. Non si può più fermare.
- Ma che mi vuol dire? Non l'avrete
- L'abbiamo preso, l'abbiamo pestato tutti, prima insieme poi uno alla
volta. Il muro del granaio era tutto spruzzato di sangue. Ridevamo.
Poi l'abbiamo spogliato e buttato a terra e mentre gli altri lo tenevano
fermo io gli ho marchiato il petto con la mano di ferro ben arroventata.
Io gliel'ho marchiato. Ricordo ancora la puzza di bruciato. Sfrigolava
come la carne di maiale appena macellato, quando la si scotta un momento
sopra la stufa. E il Sordo del Mulino aveva gridato a lungo, proprio
come un porco.
È buio. Freddo. Sta salendo la nebbia dai fossi ai lati della
strada. Siamo vicino al fiume. Tra poco saremo ingoiati dal suo vapore
opaco. Silenzio.
- Ma come, così in mezzo ai campi? Non c'era qualcuno che abitava
lì vicino? O che era di passaggio?
- Caro mio, nel '50 chi sentiva urlare la notte, in mezzo alla campagna
poi, si girava nel letto e si tappava le orecchie con le mani. La fifa
faceva spessore. Allora si che il buio era buio, mica come oggi
Deglutii.
- Ma
e poi? L'avete lasciato lì?
- Si. L'abbiamo lasciato lì. Ormai avrebbe fatto i suoi scherzi
solo all'inferno quel mezzo matto, la storia era finita. L'avevamo ammazzato
di botte e marchiato come una bestia da macello. Che cosa orribile
Tacque nuovamente. Mi chiedevo per quale motivo avesse deciso, lì
su due piedi, di raccontare tutto al primo sconosciuto che aveva incrociato.
- Poi, la mattina dopo, quando l'han trovato, tutti hanno detto 'è
stata la mano', l'hanno preso e sepolto in fretta. Fine della storia.
Così almeno credevamo.
Si è alzato un vento impetuoso, strano, inatteso. Fetido. Il
vecchio continua a parlare. Gli trema la voce.
- Lo sa? Sei anni fa hanno spostato le tombe più vecchie del
cimitero. Spostate si fa per dire. Hanno scavato con la ruspa e quel
che c'era l'hanno portato nella zona industriale nuova. Serve terra
per fare le spianate. Hanno squarciato tombe, mescolato ossa, tirato
su di tutto.
- E allora?
- E allora
Allora senz'aria il fuoco non bruciava, prima. Stavamo
tutti tranquilli.
Mi guardò terrorizzato.
- Ma adesso che ha preso aria è tornata. Capisce? È tornata.
- Chi?
- La mano.
- Quella del Sordo del Mulino?
- Si.
- Scusi, ma che sta dicendo? Non era tutto uno scherzo?
- No, gliel'ho detto. La storia della mano è vera. Io sono l'ultimo.
Uno all'anno. Oggi è' il mio turno.
A quel punto fui investito da un fortissimo colpo di vento che mi buttò
a terra. Mentre mi rialzavo vidi una forte luce guizzare verso il vecchio
e trapassarlo in un lampo. L'uomo cadde a terra all'istante. Mi rialzai,
cercai di soccorrerlo. Niente da fare. Stecchito. Mi alzai e mi guardai
intorno. Aria immobile e silenzio affogati nella nebbia. Nient'altro.
Nessun rumore. Anche i lampioni si sono spenti all'improvviso. Sono
solo, naufrago in un oceano di bianco rarefatto. Dal petto del vecchio
spande uno strano odore di bruciato. Guardo i suoi vestiti. Sono intatti.
Allora gli scosto la giacca e apro i primi bottoni della camicia. Ho
un sussulto. Sulla pelle sfrigola ancora una bruciatura profonda. Sembra
la carne di maiale appena macellato, quando la si scotta un momento
sopra la stufa. Ha la forma di una mano aperta.
Era il 14 novembre 1989.
Uno all'anno il Sordo del Mulino s'era ripreso tutti i suoi assassini.
E l'ultimo l'aveva pagato con la stessa moneta.
Non parlai con nessuno di quel che avevo visto e udito. Ma qualche
giorno dopo il funerale del vecchio andai in canonica e chiesi al Monsignore
se avesse mai sentito parlare del Sordo del Mulino.
- Certo. Era il figlio del mugnaio, si chiamava Andrea. La madre era
morta dandolo alla luce. Viveva con il padre ed era completamente sordo,
poveretto, appena nato aveva avuto la meningite. Lui e il padre campavano
macinando farina. Sembra sia stato ucciso in circostanze mai chiarite,
per motivi ancor più incomprensibili. Una storia triste. Io me
lo ricordo bene perché fu il primo funerale che celebrai in questa
parrocchia.
- E ora
è sepolto qui in paese?
- No, non più almeno. Stava nella parte vecchia del cimitero,
quella che hanno demolito qualche anno fa.
Parlammo ancora qualche minuto. Poi gli strinsi la mano e lo salutai.
Sull'uscio mi fermai.
- Monsignore, solo un'ultima cosa: per caso ricorda quando morì
il Sordo del Mulino?
- Certo che lo ricordo, è stato il mio primo funerale qui in
paese. Era il 14 novembre 1951.
di Massimo Pellegrin