abcveneto.com, mensile on line su veneto e dintorni
scrivi a info@abcveneto.com ¬
nu. 7, anno primo - 1 ottobre 2004 giornale online gratuito (a 30 giorni)
Treviso-Veneto-turismo-attualità-cultura-spettacolo-soldi-ambiente- e... tutto quello che ci viene in mente
Cristo e il cinema a Venezia

Chi di solito in questo giornale si occupa di cinema era preso da vari impegni inderogabili. Così hanno mandato -a loro rischio e pericolo- me, che non sono erudita nelle materie suindicate a presenziare all'invito elargito, sotto il Patronato del Presidente della Repubblica e in collaborazione con Rai Cinema e Medusa, dall'Ente dello Spettacolo per la presentazione del libro "Cristo nel cinema, Un canone cinematografico", presso l'Hotel Excelsior al Lido di Venezia

a cura di Sara Miriade

Beh, in fondo dovevo andare nella magica Venezia, nella Venezia dei miei studi universitari e magari mi scontravo -Chissà?- con qualche frivolo divo del cinema. E invece no, nello sfavillante hotel Excelsior ho visto persone rigorosissime, peraltro inavvicinabili, quali il regista Vim Wenders, che ha ritirato il premio Robert Bresson, assegnatogli dalla rivista Cinematografo e dalla direzione del Festival Tertio Millennio dell'Ente dello Spettacolo; e ho scorto S. E. Mons. John Patrick Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, il quale presenziava alla presentazione del libro e alla consegna del premio.
Quanto al premio, ha dei precedenti illustri, quali Giuseppe Tornatore, Manoel de Olivera, Teo Angelopoulus e Krzysztof Zanussi ed è attribuito al regista che abbia dato una testimonianza significativa per sincerità e intensità, del difficile cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita. Per quel che riguarda il libro è il risultato degli atti del convegno internazionale che ha dato il titolo al libro stesso, svoltosi il 2 dicembre 2003 a Roma nell'ambito del Festival Tertio Millennio.
Ho iniziato il libro durante la strada del ritorno e l'ho completato durante una tanto tenace quanto inattesa influenza settembrina. Rivelo il mio stato influenzale e ribadisco la mia ignoranza in materia teologica e cinematografica per non creare aspettative inattese in questa recensione che, mio malgrado, ho dovuto fare e che affronterò in maniera poco ortodossa, riportando dei dati e delle parti che meritano davvero di essere lette.
Tra la fine del 1800, quando appaiono le prime rappresentazioni cristologiche nel cinema, e il 2004, quando Mel Gibson nel film The Passion ha fatto parlare della stessa vicenda biblica, ci sono, nell'arco temporale che intercorre, circa 120 film, che trovato nelle sacre scritture una narrazione da interpretare. La cosa che più colpisce è che quel fenomeno da baraccone, quale era considerato il cinema delle origini, abbia scelto fin da subito un soggetto tanto…-non riesco a trovare le parole per definirlo-…indefinibile -ecco!-. Hanno aiutato il cinema in questa definizione del sacro altri supporti iconici, quali la pittura, quanto non si era ancora secolarizzata, prima quindi del Rinascimento e dell'avvento della madre delle rivoluzioni, quella Francese, il teatro e, in rapporto alle altre due arti, la neonata fotografia. In questo centinaio e più di pellicole ci sono nomi illustri dalle personalità antitetiche. Tra i più comuni cito Rossellini, Pasolini, Zeffirelli, Comencini, Scorsese, Jewison, Ray, Stevens, Méliès, D'Alatri.
Il problema più grosso, sottolineato da molti relatori, è quello epistemologico che pone la difficoltà della traduzione di un testo complesso ed eterogeneo, quale la Bibbia nella realtà filmica, rendendola teologicamente corretta e esprimente la trascendenza e il mistero di Gesù.

Pur tenendo conto di tale difficoltà, c'è chi guarda alla produzione filmica cristologia come portatrice di piccole scaglie di verità, tutte necessarie per rendere il tutto, che come dice la psicologia della Gestalt è più della somma delle parti. Uno di questi è Enrique Planas, che al termine cristologico preferisce quello trinitario e classifica parte dei film prodotti come cinema di Dio Padre, di Spirito Santo e del Figlio, volendoli tutti, perché "tutti mostrano almeno il riflesso imperfetto di questa realtà che è Cristo perfetto comunicatore. (…) E pertanto tutti questi film arrivano a dare qualcosa che a volte assomiglia a quello che abbiamo nel nostro intimo e anche noi, pur non sapendo fare cinema, abbiamo una visione interiore, personale, dialogante e viva di Cristo, di questo Cristo che è un interlocutore personale, è Dio vero e uomo vero.". Planas predilige, però il cinema del Figlio, che accomuna la Passion Pathè, Intollerance, L'ultima tentazione di Cristo, Il Vangelo secondo Matteo, I giardini dell'Eden, il cinema di Franco Zeffirelli e i film di Padre Peyton, perché preferisce "vivere la tenerezza del figlio, la fiducia e l'abbandono, nella preghiera, nella solitudine e nel silenzio, che sono la migliore liturgia di lode al Signore". Riporto anche la bellissima metafora che Planas usa per spiegare ciò. "Pensiamo a un soldato, un colonnello, un generale, tutti e tre padri; rientrano a casa e i figli salutano i genitori con le stesse spontanee manifestazioni d'amore, senza tener conto del grado, poiché sono di fronte al loro papà. Anche nel Vangelo troviamo l'espressione che ci permette di chiamare Dio papà. Sarebbe ridicolo se i figli si irrigidissero di fronte al padre secondo il grado che ricopre". L'altra persona che contempla una sintesi positiva di questa produzione filmografia è Ermelinda M. Campani. "Tutte le pellicole incentrate sulla storia evangelica," -dice- "indipendentemente dalla loro modalità narrativa, hanno dovuto misurarsi con la duplice natura, storica e trascendente, di Gesù, e hanno dovuto conferirgli un volto. Il cinema, così rimanda un Gesù arcaico e regale (From the Manger to the Cross, Olcott, 1912), uno radicale e sovversivo (Il Vangelo secondo Matteo), uno mistico (La più grande storia mai raccontata, George Stevens 1965, …), uno tra l'adolescente e il politico (Il Re dei re, Nicholas Ray, 1961…), uno 'storico' (Gesù di Nazareth, Franco Zeffirelli, 1977…), o drammaticamente umano (L'ultima tentazione di Cristo, Martin Scorsese, 1988…).

E' come se ciascuno di questi film, nel conferire un volto a Cristo abbia tentato di dare una risposta alla domanda che Egli rivolge ai suoi discepoli: <Voi chi dite che io sia?>" Mons. John Patrick Foley nelle conclusioni nobilita il cinema della rappresentazione del Figlio di Dio, partendo dalle parole di Giovanni Paolo II, pronunciate nel 1994 in occasione del restauro degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina. Il Papa ha ribadito il risultato del Secondo Concilio di Nicea in base al quale sono legittime le icone, contrariamente a quanto volevano gli iconoclasti. In esse -continua il Papa- "si riflette in modo sempre nuovo il Mistero del Verbo fatto carne e l'uomo (…) si rallegra della visibilità dell'Invisibile". Così per Foley "il cinema è una forma di iconografia molto valida per il nostro tempo. Il volto di Cristo (…) appare anche in questo mezzo, che riflette, come un mosaico, quegli aspetti personali che ogni autore privilegia nel rappresentare Gesù".

Un'ultima riflessione per The Passion di Mel Gibson, che nella valutazione pastorale della commissione nazionale della Conferenza Episcopale Italiana risulta: accettabile/problematico/dibattiti. Come Pasolini, Gibson ha scelto come ambientazione Matera e come lui ha voluto provocare. Violenza e antisemitismo? Giuseppe Laras, rabbino capo di Milano, dice che "questa visione delle sofferenze e della morte di Gesù può alimentare sentimenti antiebraici, rinfocolare queste tensioni, questi stereotipi, soprattutto nelle persone semplici, che poi sono la parte che ci interessa di più. Come accade nel dialogo tra ebrei e cristiani: quando esso si svolge a livello alto va tutto bene, ma quando deve calare in basso trova difficoltà, resistenze". Ignazio Sanna toglie l'alone d'ombra del tutto. "Siamo tutti giudei e romani, come siamo tutti americani o tutti spagnoli di fronte ai drammi della violenza gratuita che ci accomunano nella paura e nella solidarietà. Nel nostro caso, siamo tutti giudei, perché il disegno salvifico di Dio di darci la grazia e la redenzione si è realizzato nel popolo ebraico, in quanto paradigma dei popoli di tutta la terra. La responsabilità della condanna inflitta a Gesù non è di un popolo, ma dell'intera umanità peccatrice, che, pertanto si deve sentire coinvolta personalmente nel dramma che si è consumato circa duemila anni fa. Il sentimento che si prova dopo aver visto il film non deve essere, quindi, quello della condanna degli altri, ma quello della presa di coscienza del proprio peccato e della propria responsabilità". Pur condividendo il giudizio di Sanna penso che, come ritiene il rabbino Laras, non tutti abbiamo questa capacità di lettura e che nella realtà quotidiana ci possano essere interpretazioni pericolose.
Sara Miriade
myriass@libero.it

a cura di Sara Miriade

 

pagina
precendente

 

 

scrivi a info@abcveneto.com ¬

©ABCVeneto