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ODERZO: IL TOSS


Il racconto del mese, il nostro scrittore preferito è tornato con un racconto stupefacente

a cura di Abcveneto

C'era un tizio che la notte si ficcava in cima alla montagna, sul tratto più esposto della strada che dava sulla pianura, e cacciava urla da brivido. Spesso capitava di sentirle a mezzanotte, altre volte poco prima dell'alba oppure verso l'imbrunire. E non erano urla da bestia, erano urla di cristiano, benché in molti si figurassero uno schifoso licantropo curvo su sé stesso, vagante per le stradine dei paesi a caccia di bambini da masticare, complici il bosco e il buio nero che calava innaturalmente presto in quel catino piatto incuneato tra i monti.
Beh, fatto sta che il tizio in questione venne a noia a un sacco di gente che ad un certo punto decise di fare una puntatina nel bosco, magari con una paio di carabine ben cariche e qualche bastone. Perché la gente di lì ha fama di essere decisa come solo i montanari sanno essere, e non erano tutte frottole quelle che si sentivano in giro sui vari accoppamenti e sui conti regolati durante la guerra. Sai com'è, capita che ti trovi da un giorno all'altro a portare le corna e sai pure a chi le devi (oltre ovviamente a quella carogna di moglie che ti sei trovato). Capita poi la guerra, e capita pure che il malcapitato rubacuori finisca casualmente impallinato prima e tumulato poi, di notte, in qualche voragine come tante ce ne sono lì in mezzo al bosco. E buona notte ai suonatori.
Finì insomma che un sacco di gente si trovò d'accordo nell'organizzare una spedizione con l'unico obiettivo di agguantare quello stupido pazzo che si divertiva a inquietare le loro notti per spaccargli la testa e vedere se dentro c'era qualcosa.
C'era uno uomo che chiamavano il Toss, uno che fumava forte e bestemmiava come l'anticristo, ma che tutti rispettavano se non altro per i due metri di muscoli che si portava dietro. Era stato lui a organizzare la spedizione, poche parole ben dette e una sacco di gente s'era aggregata, qualcuno per curiosità, altri per vera rabbia. Perché il tizio che si spaccava la gola una sera sì e l'altra anche aveva portato qualcuno sull'orlo della disperazione e qualcun altro quell'orlo l'aveva superato da un pezzo. Perché un uomo che urla passi: ma l'inferno di cani che si scatena subito dopo è mille volte peggio. Figuratevi: lì metà degli abitanti sono cacciatori con due o tre bestie per casa, e non proprio piccolotte. Parlo di cani che a guardarli ti mettono soggezione ma pure la frenesia perché li vorresti pacchettare sul dorso tutti in una volta ma ti ci vorrebbero quattro mani per animale. Belle bestie insomma, con voci da tenori che se tirate su bene fanno tremare i vetri di tutta la casa. E non vale la pena bastonarli, animali sono e il loro lavoro lo devono fare. Bestie sono gli uomini che li bastonano.
Quella sera erano tutti all'osteria a fare il pieno di carburante per la notte e c'era aria di festa. Sembrava ormai cosa fatta, l'avrebbero beccato, il guastatore notturno, e l'avrebbero riempito di tante legnate che a mille lire l'una l'avrebbero fatto milionario. Il Toss disse andiamo e la truppa lo seguì dopo un urlo di battaglia talmente sinistro che avrebbe messo i brividi ad Attila, agli Unni e pure agli altri. Buona gente, i montanari.

***

Vagarono tutta la notte mettendo a frutto la loro abilità nella caccia. Appostamenti, nascondigli, tattiche da guerriglia che avrebbero fatto la felicità di un comandante di plotone. Ma gli unici avvenimenti di rilievo di quella notte furono che per un pelo due non si ammazzarono per sbaglio e che piovve a dirotto. La sola cosa che presero quasi tutti fu solo un robusto raffreddore. Ma non il Toss. Il Toss era furente e il bollore che gli usciva da ogni poro pareva che facesse evaporare la pioggia che gli cadeva addosso. Era certo che fosse uno del paese, quel maledetto. Era stato sicuramente messo in allarme da tutto il trambusto fatto all'osteria e se ne era stato a casetta, magari ridendosela davanti al fuoco. Quella carogna!
E difatti la sera dopo l'urlatore notturno si rifece vivo. Ma non rise, come temeva il Toss. Fece la sua brava urlata, né più né meno. Anzi, durò meno del solito. Forse aveva fiutato l'aria e l'odore delle legnate l'aveva reso più prudente. Perché ogni schiamazzo era calcolato con mente diabolica. In base alla nottata (buia, illuminata dal pallore della luna, nuvolosa, nebbiosa o piovosa) quel canchero si esibiva in urlate a tema: in caso di troppa luce urlata breve e intensa, in caso di buio pesto esibizione più lunga e varia. Ed era un carogna grosso come un campanile perché era impossibile con la storia dell'eco capire dove fosse esattamente. E poi stava a debita distanza dall'abitato e a intervalli regolari si fermava per intuire l'eventuale trambusto di gente in arrivo. E se anche qualcuno fosse arrivato, avrebbe avuto tutto il tempo di infilarsi comodamente in un cespuglio o sopra un albero e aspettare che il pericolo passasse.
Ma il Toss lo aspettava al varco.

Il Toss aveva visto morire il figlio dieci anni prima. Gli era quasi sgusciato dalle mani mentre arrampicavano lungo una paretina semplice semplice senza corda e senza sicura. Il ragazzo aveva fatto un volo di quasi trenta metri e mentre precipitava aveva lanciato un urlo che il Toss non avrebbe mai più dimenticato. Tutte le notti, da allora, e dopo tutto quel tempo, quell'urlo non gli aveva dato una sola notte di tregua. La moglie lo aveva lasciato dopo pochi mesi, se n'era andata in pianura a rifarsi un'altra vita, lontana dall'uomo che (diceva lei) le aveva ucciso il figlio. Lui già prima beveva che bastava; cominciò anche a fumare come i falò che si vedono brillare ovunque il 5 di gennaio là in fondo, sulla pianura nera.
Il Toss era di poche parole, ma pesanti come pietre. Viveva solo, si accomodava la roba come poteva e con il mangiare si arrangiava, ma nonostante questo nessuno l'aveva mai sentito chiedere un piacere o ricordava di averlo visto con degli stracci sporchi addosso. Il Toss di mestiere tagliava legna, ma guadagnava meglio a scorrazzare i turisti che sempre più spesso si facevano vedere in cerca di una guida affidabile per scalare qualche parete. In realtà chiunque avesse bisogno di una dritta su un sentiero, una via, su un animale, su un fungo o chissà che altro filava direttamente da lui. Per questo quando all'osteria aveva detto io domani sera vado a cercare il matto che urla subito quattro o cinque avevano aggiunto quasi in coro se ci vai tu veniamo anche noi, se per te va bene. Lui aveva risposto, come spesso faceva, con un'altra domanda: qualcun altro?
Alla fine erano venticinque, e sulle prime la cosa l'aveva rassicurato, ma subito dopo si era pentito di averne parlato. Troppo chiasso, troppi giovani balordi pieni di vino. Se vuoi che una cosa sia ben fatta, fattela da te. E poi quella gente da sola non si sarebbe mai mossa. Perché uno che urla come un matto, di notte, fa sempre una certa impressione. Ti vengono in mente i racconti da brivido, gli spiriti maligni, le creature del buio e chissà quante altre baggianate. Ma ormai era deciso e quando disse andiamo le cose finirono come sappiamo.

Ma adesso era solo, lui e la sua carabina. Aspettava da quasi due ore, immobile, in un piccolo anfratto nei pressi del luogo dove egli riteneva più probabile l'apparizione dell'urlatore notturno. Lì, in mezzo alle piante silenziose umide e nere, ficcato tra le pietre e il muschio e con in testa soltanto il cappello variegato di nuvolaglia che oscurava a tratti la luna, il Toss era pronto a scattare come una molla al primo rumore sospetto. La carabina appoggiata sullo stomaco, seduto comodamente sul cappottone di fustagno che lo riparava dal freddo della parete di roccia che gli dava riparo, il Toss chiuse gli occhi: temeva di potersi addormentare ma, pensava, lo schiamazzare del matto di certo lo avrebbe destato. E ad un tratto la sua attesa fu premiata. Un urlo agghiacciante squartò la notte soffocandola e il Toss balzò in piedi pronto a impallinare il malcapitato.
Ma non era notte.
Era giorno.
E suo figlio era appena caduto lungo il precipizio, dieci anni prima.

Il Toss spalancò di scatto gli occhi allagato di sudore.
Era di nuovo notte.
Solo un sogno.
Il sogno che lo tormentava da quando il figlio si era sfracellato sulle rocce. Fece un profondo respiro, si passò la mano sulle guance barbute e cavò da una tasca la bottiglietta di grappa. Un paio di lunghi sorsi lo rimisero in sesto. Aveva appena riposto la bottiglia in tasca quando sentì avvicinarsi un'inequivocabile rumore di passi. Proprio in quel momento un gruppo di maledette nuvole si era spostato sopra la luna e il buio intorno s'era ispessito a tal punto che l'uomo a malapena riusciva a distinguere la proprie mani.
Ma i passi sono sempre più vicini e, confidando nella sua esperienza di cacciatore, l'uomo si muove senza il minimo fruscio nella direzione dalla quale proviene il rumore. All'improvviso i passi svaniscono, poi riprendono e ora il rumore è quello di una corsa sfrenata.
Non so come il carogna m'ha visto, ma sta scappando! pensa il Toss, e si getta all'inseguimento fermandosi a tratti per intuire eventuali cambi di direzione dello stramaledetto fuggitivo. E' una fortuna che il rumore prodotto dalle foglie secche e dai rami spezzati sotto il peso dei passi sia assordante e facilmente individuabile.
Ti prendo e ti cavo la lingua, ti prendo e ti cavo la lingua maledetto! urla, e mentre corre un pensiero vago e lontano gli sfiora la mente, ma sente il maledetto sempre più vicino e non ha tempo di dare ascolto a nulla all'infuori della sua rabbia. Corre, corre e si ferisce al volto con i rami di alberi e arbusti, sente strattonare la giacca dai rovi che lo intricano e lo avvolgono ma lui corre, corre e i passi là avanti sono sempre più vicini. La salita è diventata ora molto ripida, l'inseguimento dura già da quasi venti minuti, l'uomo comincia a sudare copiosamente e il sudore salato del volto si mescola ai piccoli rivoli di sangue che colano dalle guance e dalla fronte. Le nuvole adesso stanno pigramente spostandosi ridando nuovamente vista alla luna e luce al bosco. Finalmente il Toss vede nuovamente i contorni delle cose e vede anche l'ombra dello sconosciuto che svicola dietro ad un gruppo di cespugli.
Ti ho visto maledetto! urla e aumenta ancora il passo dando fondo alle ultime forze che gli restano nelle gambe. La luna ora è un fuoco d'artificio e la sua luce di metallo ha inondato tutta la valle e le montagne intorno. E il Toss in quel momento riconosce il luogo in cui è finito. È quel maledetto posto dove morì suo figlio.
Ma è tanta la sua foga che non riesce a fermarsi per tempo, mette un piede in fallo e scivola nel vuoto… Anche lo sconosciuto è lì, sul bordo del burrone, e guarda silenzioso, immobile, il volto sepolto dall'oscurità. Il Toss lo vede un istante prima di volare giù e cadendo urla e il cuore gli sta scoppiando. Dicono che prima di sfracellarsi un uomo muoia di infarto per lo spavento, lui sta sperando che accada nei pochi attimi che precedono lo schianto.

Sei arrivato, finalmente gli sussurra una voce di ragazzo, ti aspettavo da tanto.
Il Toss apre gli occhi. E' sdraiato su un letto di foglie, in fondo al burrone. Ed è vivo. Vede il profilo della parete contro il cielo stellato. Suo figlio è lì, dinanzi a lui e gli sta parlando alla luce della luna.
Ti aspettavo da tanto. Se vuoi io sarò in fondo a questo burrone tutte le notti. Sono paziente, un giorno arriverai anche tu, qui con me, per scalare di nuovo questa parete facile facile.

***

L'urlatore non si è fatto più vivo da quella notte. Dicono che il Toss l'abbia beccato e strigliato per bene, forse per sempre, nessuno ha voluto indagare in proposito. Tutti però si chiedono cosa vada a fare il Toss tutte le notti nel bosco. Ci resta qualche ora e se ne torna a casa la mattina. Vallo tu a capire, la morte del figlio deve averlo proprio suonato. Poveraccio…

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