nu. 15 anno secondo¬ 1 giugno 2005 mensile online gratuito | ||
Abcveneto, mensile online su Treviso, il Veneto e cosa fanno i veneti dentro e fuori d'Italia |
LA RECENSIONE: "IL CASO PAVAN" DI GIAN DOMENICO MAZZOCATOFulvio Tomizza ha definito lo scrittore trevigiano Gian Domenico Mazzocato il cantore degli ultimi, perché ha dato voce e dignità alla figura del "vinto" veneto, che mai aveva trovato spazio nella narrativa. La sua scrittura si segnala per l'impegno, il rigore e l'acutezza con cui analizza e racconta la civiltà del Veneto e la sua gente. Il suo primo romanzo, pubblicato dalla nota casa editrice Santi Quaranta, Il delitto della Contessa Onigo, è stato un caso editoriale con le sue molte edizioni e la riduzione a teatro. Sono seguiti, sempre con la stessa casa editrice, Il bosco veneziano e Gli ospiti notturni. Ora si ripresenta con un nuovo romanzo Il caso Pavan che dà spazio agli ultimi veneti rappresentati da contrabbandieri e sbirri, contadini e pisnenti (termine locale per indicare i nullatenenti), biscazzieri e ladri, teatranti e ciarlatani, borsaioli e artisti, prostitute e perdigiorno, un mondo alla deriva in cerca di sbarcare il lunario con i mestieri più strani e impensati, come il sedicente medico Pilon inventore di una panacea fatta di sterco d'asino mescolato con preziose e selezionate erbe d'India, il titimalo, il solano e il tossico d'Endro. Un racconto realistico e duro, talora cupo, come è tipico della scrittura di Mazzocato, che ruota attorno a Tomaso Pavan, alias Tomà Marchi, che insegue il senso della propria esistenza e la sua stessa identità. Parte, Tomaso, dal paesino, abbarbicato al declivo che guarda sui laghi
di Revine, in cui è nato, approda a Venezia, la Venezia del 1732 che
vede la laguna diventare un mare di ghiaccio, "come se l'acqua e la
terraferma fossero una cosa sola, che si abbracciassero e si tenessero
strette e avvinghiate come mai era accaduto nel passato, a ribaltare
l'ordine costituito, le abitudini, la vita". Tomaso vaga a lungo per
le calli, guarda i ragazzi che sul ghiaccio fanno frullare una trottola
colorata, si trova davanti a Murano, "con le sue luci vive come stelle
nell'aria fredda e tersa" e poi all'isola di San Michele, "la cavana
di tutti i barcaioli che si avventurano da quella parte della laguna",
nota cinque sagome nella notte: sono contrabbandieri. Si unisce a loro,
riesce a far vendere tutta la partita di tabacco di grande qualità,
seccato con grande cura, conservato tra graticci di canne e riposto
in botti ben stagionate, e poi, spartiti i soldi, si separa da quegli
amici pericolosi e, senza sapere dove andare e cosa fare, si porta alla
Giudecca, brulicante di uomini, donne, turchi, levantini di mille provenienze
diverse. Si aggrega a una compagnia di guitti i Desiosi, che si esibiscono
in spettacoli di provincia, nelle piazze e nei granai, sbarca a Corfù,
una delle isole del mare greco, dominio della Serenissima, dove sbandiera
il leone di San Marco. Ritrova l'amico Cosma, un mercante di stoffe,
che vive in una capanna, dall'arredamento semplicissimo: un giaciglio
grande, una tavola, qualche sedia e qualche suppellettile e una scansia
piena di libri. Nell'isola azzurra, dove i giorni trascorrono lenti
e le stagioni si assomigliano tutte, ha imparato il valore del tempo.
"Tanti anni prima - racconta Cosma - quando era giovane, forte e splendente,
che poteva essere scambiato per un dio, nel suo vagabondare Odisseo
era approdato all'isola di una dea bellissima che si chiamava Calipso,
una maga. Con le sue erbe e le sue arti la dea riuscì ad offuscare ogni
ricordo nella mente dell'eroe". Ora il vecchio Odisseo, ritornato in
patria, è preso dalla nostalgia della dea e vuole ritornare a vederla.
La moglie Penelope e il figlio Telemaco lo supplicano invano di rinunciare
ai suoi sogni, ma egli riprende, su una piccola nave, la via del mare.
Ritrova l'isola di Calipso, ma non riesce a scansare uno scoglio, fa
naufragio e il mare lo butta morente sulla spiaggia. L'eroe rivede la
dea che gli avrebbe ridato le forze e restituito la giovinezza, ma Calipso
non lo riconosce e lo lascia morire solo sulla spiaggia. Mazzocato ritorna al tema caro del suo primo libro, la pellagra, che aveva fatto impazzire il pisnente Piero Bianchet e lo aveva spinto a tagliare la testa alla parona, la contessa Onigo. In un libello affisso al mercato di Treviso, in piazza del Duomo, Tomaso denuncia che "la pellagra è malattia rustica e non civica": tutta colpa del mahiz, della polenta, che era l'unica cosa che i contadini mangiavano. L'autore del libello viene incarcerato e definito dall'Ufficio del Maleficio farnetico et furioso.
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