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M-0: "REAL LIFE"REAL LIFE di Christpher Brookmyre, Meridiano
zero, Euro 16,00, tr. A. Dal Dan
Giochi per il mio computer, giugno 2005, Videogiochi raccontati, recensione di Matteo Bittanti "Nel mondo virtuale potevi vivere un milione di vite, assumere un migliaio di identità e non c'era nulla di lontanamente paragonabile al rimpianto, perchè potevi sempre tornare indietro, ricaricare una partita già salvata e cambiare il corso degli eventi"(Christopher Brookmyre, Real Life) Il videogioco, com'è noto, non è una forma narrativa.
Può diventarlo solo a condizione che rinunci a essere se stesso.
Half-Life 2 non e' una storia, ma una sequenza di azioni. Diviene una
storia nel momento in cui il giocatore racconta la sua esperienza ludica
a terzi ("Ho fatto questo", "Ho fatto quello", "Sono
morto"). Tra il videogioco giocato e il videogioco raccontato c'e'
una differenza analoga a quella che sussiste tra il libro scritto e
il libro letto. In altre parole, il videogioco raccontato non e' un
videogioco, ma e' una conversazione, un film, un romanzo. Uno dei migliori
esempi di "videogiochi raccontati" che mi sia capitato di
incontrare negli ultimi mesi e' Real Life di Christopher Brookmyre.
Dei sette romanzi di Brookmyre - Meridianozero ha gia' tradotto in italiano tre piccoli grandi classici come Scusate il disturbo (2003), Il paese della menzogna (2001) e Un mattino da cani (2000) - Real Life è il più videoludico in assoluto. I suoi personaggi, pur non essendo bidimensionali, hanno un'anima di pixel. Simon, per esempio, sembra uscito dalla serie di Hitman, mentre Raymond e' l'alter ego del videogiocatore-nerd che usa il divertimento elettronico per sfogare le tensioni e le insoddisfazioni della vita quotidiana. A differenza di un romanzo come Skill (Alessandra C., Einaudi, 2004), in cui il videogioco fa da fulcro all'intera narrazione - al punto che non esiste nulla al di fuori della dimensione ludica - in Real Life c'e' un continuo accostamento tra verita' e finzione, rappresentazione e simulazione. Questa strategia era gia' stata seguita, con grande successo, dallo scrittore inglese Ian Banks, con il thriller Complicità (Tea, 1998). Là il protagonista Cameron Colley - altro grande appassionato di videogame - ingaggiava una partita mortale contro uno spietato serial killer. L'aspetto piu' interessante di Real Life e' che Brookmyre sembra voler giustapporre gli assassini virtuali - Raymond e, piu' in generale, coloro che spendono ore con Quake, Doom e Unreal - a quelli reali, come Simon. Cio' che li accomuna e' un senso di noia e insoddisfazione di fondo. L'unica differenza e' che il videogiocatore riesce a convogliare la sua innata passione per l'omicidio di massa in un atto puramente virtuale, mentre il terrorista inventa dei pretesti (il denaro, l'ideologia, la religione), per giustificare la propria brutalita'. Il primo sceglie l'introversione, il secondo l'estroversione. Fortunatamente per il lettore, Brookmyre non fa sociologia spicciola: il suo romanzo oscilla tra reale e surreale, tra puro terrore e irriverenza, esattamente come i migliori videogiochi. Il fatto che l'autore di Real Life viva in Scozia, patria della saga di Grand Theft Auto, mi sembra tutt'altro che incidentale. Matteo Bittanti visitate il sito www.meridianozero.it per ulteriori notizie
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