Venice-via-Treviso-bed-breakfast
 
nu. 20 anno secondo¬ 1 novembre 2005 mensile online gratuito
Abcveneto, mensile online su treviso, il Veneto e cosa fanno i veneti dentro e fuori d'Italia
rubrica

Oderzo: é tornato il racconto del mese...


Il male

di Massimo Pellegrin

"Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinanzi a voi colpiti di spada." Levitico 26,3

"Il male, anche a quell'epoca, stava un po' dappertutto, che volete? Lo si vedeva dietro a un cespuglio, nascosto nel riflesso di una pozza d'acqua, mescolato al suono di una parola o di un canto, in fondo ad un orrido o nelle profondità di un lago. O nelle tette delle donne. Oggi, a pensarle, quelle cose fanno sorridere, ma in fondo in fondo vi grattano la coscienza da vicino, perché i falò con le streghe sopra erano pur sempre uomini come voialtri a farli... Vi infastidite a sentirle queste cose, vero? E perché? Perché, perché… Ah, ma perché sapete che in fondo ognuno di voi, oggi così naturalmente savio e edotto (e nessuno provi a sostenere il contrario!), avrebbe fatto, in quei tempi, le stesse identiche cose! Il male è solo una scappatoia, un'invenzione arguta, un tentativo che si fa per vivere meglio, che altro credete che sia, poveri idioti?"

Mario parlava sempre in questo modo al bar del paese. Puzzava come un animale morto da poco, vestiva sempre allo stesso modo, di quel marrone polveroso di certi sacchi per le pannocchie, con la berretta piantata fin sugli occhi e i capelli grigi che gli uscivano dritti e tesi come gli aculei di un porcospino. La gente solitamente lo evitava. Eccetto qualche iellato turista di passaggio che, incuriosito da quello strano tipo, restava ad ascoltarlo incantato, appoggiato al bancone per ore, facendosi insultare più o meno velatamente in tutti i modi immaginabili. E finiva sempre nello stesso modo: il malcapitato se ne andava stordito, debole e minato nelle sue più intime e sacrosante convinzioni. Mario con le parole le distruggeva, le persone. Aveva insegnato un sacco d'anni roba tipo letteratura, filosofia, storiologia… E chissà che altro! C'è chi diceva che dormisse (addirittura) sopra un materasso di libri. Fatto sta che, più della puzza o del suo aspetto sudicio, la gente temeva la sua lingua. Sembrava dio, a parlare. Se gli capitavi a tiro sapevi come sarebbe finita: tu alleggerito di qualche soldo e di qualche idea posticcia, lui appesantito da un buon litro bevuto alla salute del tuo portafoglio. La domenica quel farabutto si sistemava apposta all'uscita della chiesa, sopra la scalinata, con le mani piantate in tasca, la barba incolta e lo sguardo sprezzante verso il gregge che lentamente si sparpagliava sulla piazza antistante. Tutti gli passavano a un metro fingendo di non vederlo, mimando un colpo di tosse o un improvviso interesse per un tetto, una finestra o un colombo di passaggio nei pressi. Lui li guardava tutti, uno per uno, dalla testa ai piedi con un mezzo sorriso sostenuto, tronfio, come un generale in rassegna a delle reclute da raddrizzare, borbogliando a bassa voce parole incomprensibili ai più. "…'veracci, che pena…schifo, fate…". Il più delle volte aspettava che tutti si allontanassero, sputava un verde sul selciato e se ne andava zoppicando verso il bar, dove avrebbe approfittato della generosità del primo disgraziato che gli fosse capitato a gomito. A vederlo, da lontano, sembrava un qualunque pensionato, eccetto per la camicia perennemente fuori dai calzoni, le scarpe senza lacci e i pantaloni rattoppati qua e là… Beh, in effetti un qualunque pensionato forse non sembrava: l'avrebbero chiamato barbone, in città. Ma non qui, non da noi. Qui era solo Mario. Anzi, il sior Mario. Perché per quanto fosse di temperamento detestabile e d'aspetto sordido, tutti (e dico proprio tutti, dal sindaco al maresciallo) lo chiamavano rispettosamente in quel modo. Senza sarcasmo, senza disprezzo. Perché in alcuni casi, rari in verità, i soldi non fanno il sior, il sior lo fa la zucca. E il sior Mario, per quel che aveva nella pera, era il più ricco del paese.

"Ciao reverendo prete. Che hai raccontato oggi alla mandria di sorci? Vita, morte e miracoli del solito? Allora? Di che hai parlato?"
Il curato tirava dritto, sorridendo. Perché lui, il sior Mario, lo conosceva da un fracco d'anni. Quand'era ancora avvicinabile, quando ancora insegnava, tutti e due passavano intere giornate a conversare all'ombra di un grande pioppo, seduti sull'unica panchina che stava in fronte alla chiesa. Non lo considerava (come un buon pastore dovrebbe) una pecorella smarrita. Il buon Mario, così pensava Don Saverio, è un caso che agli occhi del Signore può essere tranquillamente ammesso con ampie dispense. Dio lo vede, e vede anche me. Sarebbe d'accordo. Rispose senza fermarsi, mentre Mario gli si accodava tranquillo, le mani accoccolate l'una nell'altra dietro la schiena. "Oggi? Si, ho parlato del Solito come lo chiami te. Ho parlato del bene e del male, caro il mio, e della ricompensa finale. Cose a cui tu non credi giusto?" "No" rispose sorridendo rauco Mario. Aveva un ghigno da far paura sotto la barba incolta che a chiazze bianche gli dipingeva le guance. "Son tutte balle, caro il mio prete. Lo sai bene pure te. Il destino, il libero arbitrio… anche la volontà è un dettaglio che scolora con l'avanzare dell'età; e i grandi esiti ed i trionfi, come pure le sconfitte e le umiliazioni, tendono rassegnatamente, come vecchi compagni di guerra, a ritrovarsi insieme lungo l'ultimo tratto da percorrere prima di ridiventare terra. Non è fatalismo spicciolo, né vigliaccheria sfoggiata a bella posta per schivare oneri o responsabilità: quelli ci capitano addosso, inevitabilmente, anche se non li si vuole… Ma il momento giusto per vivere, quello è la fregatura. Arriva sempre in ritardo, o sotto mentite spoglie, e ci sbeffeggia e ci deride e ci chiama imbecilli e quel che è peggio è che siamo del tutto persuasi di meritarci il suo legittimo scherno. E pure sapendo perfettamente che l'esatto e congruo momento non esiste, finiamo sempre per rincorrerlo come se fosse reale, come se i sogni fossero di solida materia e non figli deformi del sonno." A parlare ad un muro, forse Don Saverio qualche mattone l'avrebbe convertito. Ma con Mario la cosa si faceva ardua. Inutile nemmeno abbozzare un mezzo periodo. Inutile aprire bocca. Anzi, già aveva parlato troppo. Al solito Mario si sarebbe sfogato e poi calmato, gustando il suo trionfo come un campione di scacchi che, alla mossa finale, alza gli occhi verso l'avversario godendo della disfatta inflitta. Ma a quel punto a Don Saverio scattò dentro una molla che somigliava molto alla curiosità. E si arrischiò a ribattere. "Scusa tanto, ma che vorresti dire con questo? Non capisco cosa intendi." A quella domanda Mario si fermò all'improvviso e si mise a rimirare Don Saverio con candida meraviglia. "Come sarebbe Don, che non capisci?" "Beh, sarebbe che non capisco… è quel che ho detto. Spiegati, dunque. Che c'entra il bene e il male con le occasioni perdute?" "Bah!" sbottò il Mario dopo essersi ancor più piantato in mezzo alla stradina e aver squadrato per qualche istante il religioso con fare sinistro. "Ma… mi sembra chiaro, prete! Cos'è la vita se non un'occasione mancata, un percorso comunque fallito, una corsa disseminata di lutti e privazioni che altro esito non hanno che quello di spedirci infine, sempre e comunque, sotto un metro di terra? E la fregatura quale sarebbe? La fregatura è che lo si sa! Mica problemi, le bestie…" "Non capisco ancora." Mario cominciava a spazientirsi. "Ma come, prete! La scelta! Che scelta ci è mai concessa? Nessuna! Quella è la strada, accomodati disgraziato, chiunque tu sia stato lì finirai! Libero arbitrio? Ma quale arbitrio! Quello di morire o… morire!" Mario doveva aver bevuto parecchio, Don Saverio l'aveva capito subito dal suo alito paonazzo. Scosse la testa, sorridendo. Lo sapeva che non c'era storia, con Mario. Ma volle continuare. "Discorsi senza costrutto, caro Mario. Lo sai bene pure te. Non ti fanno onore. Non sei grato alla vita per il semplice fatto che ancora ti scorre in corpo? Che venga da Dio o dal caso che t'importa alla fine? O ti detesti per il semplice fatto di capire meglio di tutti i disgraziati che ti circondano quale sia il suo concreto valore? Parli di scelte? Beh… quanto a quelle non tutte ci sono concesse, mi pare ovvio. Si può però scegliere, infine, di sperare." "Ah, la vita dall'altra parte…" sbottò Mario scocciandosi "…il grande inganno, la grande mistificazione… ". Erano ormai arrivati al portone della canonica. Mario dopo un istante di silenzio si bloccò, girò i tacchi e se ne andò senza salutare, sventolando la mano in segno di disprezzo all'indirizzo del prete. Don Saverio lo vide allontanarsi come un poveraccio. Mario abitava appena fuori dal paese, in una vecchia stamberga che era stata la casa di chissà quali trisavoli. Salì le strette scale di cemento appoggiandosi al corrimano di ferro sudicio, arrivò in fronte all'uscio e lo spinse in avanti. Mai avute le chiavi di casa. Nemmeno c'era la serratura. Del resto, con quel che teneva in casa che aveva da preoccuparsi? Quattro mobili stinti, un letto scassato e una stufa che odorava di fumo anche d'estate. E una libreria. Forse l'unica cosa con un qualche valore. Una enorme, massiccia libreria in noce, nodosa e levigata. Completamente vuota. Ma come? Un uomo come Mario, anzi, il sior Mario, che dei libri aveva fatto la sua vita e il suo destino, uno che avrebbe fatto tacere in quattro sillabe pure il notaio del paese! Senza un libro in casa! Mario si piantò davanti al mobile a gambe larghe, braccia conserte, sguardo sprezzante. "Gli uomini vivono di simboli" mormorò tra sé "per questo vivono male. E che altro sono i libri se non simboli? Maledetti anche i libri." Poi poggiò le mani sul legno lucido di un ripiano e abbassò il capo. La discussione con il pretaccio l'aveva incupito. Come poteva un uomo di cultura come Don Saverio sottrarsi a ragionamenti così ovvi?

La mattina dopo Don Saverio uscì di buon'ora (doveva confessare una vecchia bacucca) e si diresse verso la chiesa. Davanti al grande ingresso stazionava Mario, impettito e scalcinato come sempre. Il sacerdote fu non poco sorpreso di vederlo, tanto che, dopo aver salutato, si fermò sul primo gradino a contemplare curioso quella strana, inconsueta apparizione. Mario sbottò. "Allora, prete, che mi racconti?" Vestito con quel sottanone nero e il breviario in mano Don Saverio sembrava il ritratto della mansuetudine. Mario ne fu quasi infastidito. "Nulla che possa convincerti." "Convincermi a fare che?" "A credere che il bene e il male esistono." "Ti sbagli. Forse potresti. Ma non vuoi." "Sarebbe a dire?" "Cos'è il bene, cos'è il male… concetti astratti, mutevoli e raffazzonati alla meglio a seconda dell'aria che tira, ecco cosa sono. L'uomo cerca l'assoluto? Tu l'assoluto non potresti cavarlo nemmeno impegnando l'anima a un monte di pietà!" Mario era insolitamente aggressivo, ma la cosa non turbò oltremodo il sacerdote. "Rispetto la tua opinione, per quanto mi sia incomprensibile" rispose seccato Don Saverio "ma tu rispetta la mia. Io credo ciecamente in quel che faccio. Diversamente, la mia vita sarebbe soltanto… soltanto un cumulo informe di ore, di tempo aggrovigliato. Sarei perduto. mi spiego?" "No, non ti spieghi. Le leggi, le regole, i così detti comandamenti, i principi, le dottrine… per avere un valore oggettivo e non mercanteggiabile, per valere da monito e dogma dovrebbero necessariamente, per loro evidente natura, essere immutabili e sospese nel tempo come stelle. Anzi, nemmeno come stelle, ma come le forze che le governano. La gravità se ne frega, ecco il punto." Don Saverio guardò Mario interrogativo e sgomento. La gravità? Il prete pensò sulle prime che il vecchio fosse uscito di senno. Ma Mario contava su questo e, dopo essersi appagato della prevedibile reazione del prete, continuò tranquillo. "La forza di gravità, come tutti gli altri avvenimenti naturali, non soggiace ad eventi esterni. Non si piega al tempo in cui si trova, non muta con le mode o le necessità. È indifferente perché il suo stesso esistere la caratterizza in un modo che non è interpretabile ma è evidentemente oggettivo. Mi spiego? La Legge di Newton non è applicabile solo in un certo periodo dell'anno o in caso di bel tempo o se il governo pende più a destra che a sinistra. La gravità esiste e gli effetti che produce sulle nostre vite sono talmente consueti al punto di poterli accettare e considerare come perfettamente normali." "Il bene e il male invece mutano come le stagioni, si modificano e si avvinghiano l'un l'altro come serpenti che si accoppiano. Sono un'invenzione, un tentativo di regolare qualcosa che, probabilmente, non può essere regolato." "Non bestemmiare" lo fermò Don Saverio. "Le leggi divine sono immutabili. "Non uccidere" mi sembra un esempio di chiarezza… Ma tu parlavi di gravità e vorrei continuare a percorrere i binari di questa tua strana metafora. Sei nel giusto quando dici che la gravità esiste e che i suoi effetti sono immutabili, eterni e (aggiungo io) prevedibili e misurabili. Sulla terra però la gravità produce fenomeni che altrove (ad esempio sulla Luna) sono ben diversi. Tu ben sai inoltre che l'infinitamente piccolo ha regole diverse dall'infinitamente grande. Il bene e il male, allo stesso modo, producono diversi effetti in diversi periodi della storia e in diverse società. Ma sempre quelli sono. E sempre quelli saranno." "Oh, bella questa. Fortuna che "non uccidere" sembrava un esempio di chiarezza… Balle. Son tutte balle e lo sai pure te, prete. No girarci attorno. La gravità muta in relazione alla massa, ma la legge a cui ubbidisce è sempre la stessa. E anche gli effetti sono sempre proporzionalmente gli stessi; diversi nell'ordine di grandezza ma pur sempre in perfetta, inevitabile armonia. E anche l'infinitamente piccolo, allo stesso modo, ubbidisce a regole ben precise. Diverse, ma pur sempre immutabili. Ma nel tuo caso? Nel tuo caso sarebbe come dire "non uccidere molto" oppure "uccidi quel che basta"? Oppure "non uccidere a meno che tu non sia costretto"?" Il sacerdote si rabbuiò d'un colpo e parlò lentamente. "La via che porta alla corretta interpretazione della Legge Divina, o se preferisci alla sua piena, armoniosa applicazione, deve e dovrà ancora essere obbligatoriamente percorsa dall'uomo lungo i secoli della storia. La gravità è una legge che prima di Newton forse si intuiva, ma non si comprendeva perfettamente. Ma è pur sempre esistita dall'inizio del mondo, così come i suoi costanti effetti. Considera la Legge Divina come un percorso di conoscenza già tracciato che porterà, immancabilmente, alla esatta comprensione del bene e del male." "Questa poi!" sghignazzò Mario. "Un prete relativista! " "Pensala come ti pare." "La storia non porta insegnamenti" vociò Mario, "è destinata a ripetersi all'infinito, fino alla fine della nostra razza. La storia non porta a nulla, se non all'eterna ripetizione di genocidi, distruzioni e abomini. La storia è merda." "A Dio non interessa la storia scritta nei libri" disse Don Saverio alzando lo sguardo "né si interessa di cosa è fatta. A Dio interessa la singola, irripetibile storia di ognuno. Anche la tua." Mario sputò a terra. Poi si passò lentamente la manica sulla bocca. "Non la mia, stanne certo... E, se anche fosse come dici tu, io conto di crepare e di restarmene tranquillo e comodo a marcire sottoterra. Dell'altra parte non me ne frega un fico secco." "Tu puoi provocare quanto vuoi, Mario, ma in nessun caso riuscirai a smuovermi dalle mie posizioni di un solo millimetro. Non posso negare di temere la morte. Ma, figurandomi il momento in cui cesserò di vivere, immagino che sarò pervaso da una certa curiosità per quel che starò per vedere." "A, bello, bello… E, dimmi… e poi?" "Poi? Poi niente." Il vecchio Mario rimase sorpreso da una risposta così lapidaria e priva di senso. Ma Don Saverio cominciava a spazientirsi e voleva tagliare corto, tanto più che la vecchina lo stava aspettando sul portone delle chiesa già da qualche minuto con due occhi così. "Niente?" "Niente." "Ma… niente in che senso?" "Nel senso che io mi applico per cercare sì di comprendere ma soprattutto di seguire la Legge Divina. Il "poi" è un concetto che non mi interessa. Non è un valore misurabile come la gravità. Io non sono uno scienziato. Ma so di essere nel giusto." "Addirittura. E chi lo dice che sei nel giusto?" "Uno che un po' se ne intende. Si chiama Dio." "Questa poi… Dio non è misurabile. Non mi interessa… Non si misurano i vaneggiamenti." Don Saverio era stanco e indispettito, ma quelle parole lo fecero trasalire. Fissò duro il sior Mario. Poi mosse lentamente un passo verso di lui. Poi un altro. E un altro ancora. Si fermò a pochi centimetri dal volto dell'uomo. "Ho capito." La risposta del prete era stata così semplice e naturale, e il suo incedere così solenne, che Mario ne fu scombussolato. "Come… come hai detto, prete?" "Ho detto che ho capito. Ora vattene che mi hai seccato anche troppo. Se ci tieni tanto a saperlo per me il male sei tu. Vattene, ho detto".

***

Il Mario passò il resto della giornata a zonzo tra le bancarelle del mercato. Era rimasto turbato dalla reazione di Don Saverio e non riusciva a capirne il motivo. Nessuno dei due, da anni, aveva osato infrangere le regole non scritte che attenevano alle loro discussioni. Il prete sopportava sorridendo (mettendo in pratica gli insegnamenti che gli derivavano dal suo credo), lui provocava, maligno e velenoso. Punto. Mai prima di quel giorno i loro abboccamenti erano degenerati in disputa. E così repentinamente, poi! Certo, così brutale prima d'ora non era mai stato, però… Giunse a casa che era ormai buio. Il fresco della sera e l'abbondante carico di vino in corpo lo stavano lentamente trasportando verso un sonno profondo ma, prima di salire in casa, Mario si ripromise di andare l'indomani a scusarsi con Don Saverio per il suo contegno. Non era rimorso. Temeva soltanto di perdere l'unico degno interlocutore che gli restava in paese e che ancora gli rivolgeva la parola da pari. O forse si, forse era proprio rimorso. Don Saverio in fondo era il prete più uomo che avesse mai conosciuto. Salì le scale al buio, spinse la porta, entrò in casa e accese la lampadina. La grande libreria era davanti all'ingresso e Mario non poté evitare di scorgervi nel bel mezzo un grosso volume. "E questo da dove arriva?" si chiese senza grande meraviglia. Il vino l'aveva stordito al punto da fargli sospettare di avercelo messo proprio lui, quel libro, e di essersene poi scordato. Si avvicinò al ripiano, pigliò il libro in mano e l'avvicinò al viso. Sulla grande copertina di pelle bruna stava scritto "La Bibbia". "Mah, roba mia non è di certo" si disse. Lo ripose meccanicamente sullo scaffale e si avviò vacillando verso il suo lettaccio polveroso. Gli si gettò sopra vestito e cercò di dormire. Ma un sinistro malessere gli si era avvinghiato alla schiena e non c'era verso di scrollarselo di dosso, come se una spregevole presenza palpitasse maligna e invisibile tra le povere stanze. Io sarei il male, continuava a ripetersi. Io sarei il male… E mentre le parole turbinavano incessantemente tra le pareti del suo cranio, Mario cercava di scovare l'origine dello sconcerto che l'aveva colto così profondamente. Se ci tieni tanto a saperlo per me il male sei tu. Il male sei tu. Il male sei tu. Forse i fumi del vino, o l'ossessivo e ininterrotto rintronare di quelle parole, o l'inspiegabile presenza di quel libro scoprirono infine il velo con il quale, durante la giornata, egli aveva forse inconsapevolmente nascosto a sé stesso la semplice verità. L'origine di quella sua ormai insopportabile inquietudine erano gli occhi con i quali Don Saverio l'aveva fissato. Mario non aveva mai visto prima, nemmeno in guerra, occhi così spietati, risoluti e vuoti. Si, vuoti. A Mario così erano sembrati. Come se dietro ad essi nulla si celasse se non un deserto, tetro baratro. Capì che Don Saverio, fissandolo in quel modo, l'aveva semplicemente ignorato, come se in quel momento egli nemmeno fosse esistito, anzi, come se in quel momento egli fosse stato morto. Rabbrividì e si passò la mano sul volto. Poi finalmente si addormentò.

***

I funerali del sior Mario ebbero luogo una settimana dopo. Tutto era stato accomodato dall'amministrazione comunale, come sempre accadeva nel caso di poveracci o nullatenenti. In compenso al funerale non c'era la solita sparuta folla di infelici, anzi, intervenne un sacco di gente, molte personalità, molti curiosi. Molti addirittura pensavano che, proprio al suo funerale, il sior Mario se ne sarebbe uscito con qualche trovata bizzarra. Ma, in effetti, un suo ennesimo, ultimo gesto era un'eventualità per lo meno improbabile chiuso com'era in quella cassa di legno da due soldi. Mario era stato trovato cadavere nel suo letto, strangolato nel sonno dalla grossa catena d'oro con crocefisso che aveva al collo. In paese, sulle prime la cosa era sembrata strana ai più, essendo notoria l'avversione di Mario verso ogni tipo di religione, congrega o movimento spirituale. Eppure l'assassino, per motivi che nessuno intuiva, aveva approfittato di quell'inusuale strumento per dare la morte al povero Mario. L'aver poi trovato nella povera casa proprio quell'unico libro aveva tolto molti dubbi su una sua, per quanto improbabile, conversione. E se sull'arma del delitto le cose erano chiare, il movente rimase invece per sempre un mistero per tutti. Il fatto impressionò molto anche Don Saverio (era stato probabilmente l'ultimo ad averci parlato). ma fu per lui, paradossalmente, motivo di conforto mentre celebrava in lacrime il funerale dell'amico. Anzi, tutta l'omelia fu incentrata sulla nuova presunta ricerca spirituale di Mario e sull'atroce crimine che gli aveva dato la morte proprio in quel momento di ritrovata fede. Dopo la tumulazione nel piccolo cimitero del paese, il povero Mario poteva dirsi soddisfatto. Ora avrebbe marcito sottoterra come desiderava. "Egli ora conosce quel che è bene e quel che è male. Voglia il Signore accogliere la sua anima" concluse Don Saverio benedicendo la terra e innaffiandola abbondantemente con acqua santa.
"Riposi in pace, amen".
"Amen" risposero tutti.
Quella notte Don Saverio non riuscì a chiudere occhio. La fine così crudele dell'amico lo tormentava e non lo abbandonava un solo istante. Sapeva che il criminale che l'aveva così barbaramente ucciso non sarebbe mai stato preso. Mario in fin dei conti era un poveraccio e nessuno investigatore avrebbe perso troppo tempo e risorse per fare luce sulla faccenda. Le indagini erano state indirizzate verso un accampamento di nomadi che si era insediato alla periferia del paese qualche settimana prima, ma nessuno si faceva illusioni: tutto sarebbe stato dimenticato in breve tempo.
"Sarebbe questa la giustizia degli uomini" pensava amareggiato tra sé il sacerdote mentre cercava inutilmente di addormentarsi. Infine, nel cuore della notte, decise di alzarsi e scendere in chiesa a pregare, l'unica cosa che ancora gli dava conforto. Si genuflesse davanti al grande crocefisso e abbassò gli occhi. "Sono il tuo umile servitore, Signore. Aiutami a trovare ancora la forza per distruggere i tuoi nemici. Che la tua parola mi sia di conforto."

Così rasserenato, l'assassino di Mario trovò finalmente il sonno.

di Massimo Pellegrin

ABCVeneto®: sulla rete dal 1 marzo 2004