Oderzo: é tornato il racconto del mese...
Il male
di Massimo Pellegrin
"Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinanzi
a voi colpiti di spada." Levitico 26,3
"Il male, anche a quell'epoca, stava un po' dappertutto,
che volete? Lo si vedeva dietro a un cespuglio, nascosto
nel riflesso di una pozza d'acqua, mescolato al suono
di una parola o di un canto, in fondo ad un orrido o nelle
profondità di un lago. O nelle tette delle donne. Oggi,
a pensarle, quelle cose fanno sorridere, ma in fondo in
fondo vi grattano la coscienza da vicino, perché i falò
con le streghe sopra erano pur sempre uomini come voialtri
a farli... Vi infastidite a sentirle queste cose, vero?
E perché? Perché, perché… Ah, ma perché sapete che in
fondo ognuno di voi, oggi così naturalmente savio e edotto
(e nessuno provi a sostenere il contrario!), avrebbe fatto,
in quei tempi, le stesse identiche cose! Il male è solo
una scappatoia, un'invenzione arguta, un tentativo che
si fa per vivere meglio, che altro credete che sia, poveri
idioti?"
Mario parlava sempre in questo modo al bar del paese.
Puzzava come un animale morto da poco, vestiva sempre
allo stesso modo, di quel marrone polveroso di certi sacchi
per le pannocchie, con la berretta piantata fin sugli
occhi e i capelli grigi che gli uscivano dritti e tesi
come gli aculei di un porcospino. La gente solitamente
lo evitava. Eccetto qualche iellato turista di passaggio
che, incuriosito da quello strano tipo, restava ad ascoltarlo
incantato, appoggiato al bancone per ore, facendosi insultare
più o meno velatamente in tutti i modi immaginabili. E
finiva sempre nello stesso modo: il malcapitato se ne
andava stordito, debole e minato nelle sue più intime
e sacrosante convinzioni. Mario con le parole le distruggeva,
le persone. Aveva insegnato un sacco d'anni roba tipo
letteratura, filosofia, storiologia… E chissà che
altro! C'è chi diceva che dormisse (addirittura) sopra
un materasso di libri. Fatto sta che, più della puzza
o del suo aspetto sudicio, la gente temeva la sua lingua.
Sembrava dio, a parlare. Se gli capitavi a tiro sapevi
come sarebbe finita: tu alleggerito di qualche soldo e
di qualche idea posticcia, lui appesantito da un buon
litro bevuto alla salute del tuo portafoglio. La domenica
quel farabutto si sistemava apposta all'uscita della chiesa,
sopra la scalinata, con le mani piantate in tasca, la
barba incolta e lo sguardo sprezzante verso il gregge
che lentamente si sparpagliava sulla piazza antistante.
Tutti gli passavano a un metro fingendo di non vederlo,
mimando un colpo di tosse o un improvviso interesse per
un tetto, una finestra o un colombo di passaggio nei pressi.
Lui li guardava tutti, uno per uno, dalla testa ai piedi
con un mezzo sorriso sostenuto, tronfio, come un generale
in rassegna a delle reclute da raddrizzare, borbogliando
a bassa voce parole incomprensibili ai più. "…'veracci,
che pena…schifo, fate…". Il più delle volte aspettava
che tutti si allontanassero, sputava un verde sul selciato
e se ne andava zoppicando verso il bar, dove avrebbe approfittato
della generosità del primo disgraziato che gli fosse capitato
a gomito. A vederlo, da lontano, sembrava un qualunque
pensionato, eccetto per la camicia perennemente fuori
dai calzoni, le scarpe senza lacci e i pantaloni rattoppati
qua e là… Beh, in effetti un qualunque pensionato forse
non sembrava: l'avrebbero chiamato barbone, in città.
Ma non qui, non da noi. Qui era solo Mario. Anzi, il sior
Mario. Perché per quanto fosse di temperamento detestabile
e d'aspetto sordido, tutti (e dico proprio tutti, dal
sindaco al maresciallo) lo chiamavano rispettosamente
in quel modo. Senza sarcasmo, senza disprezzo. Perché
in alcuni casi, rari in verità, i soldi non fanno il sior,
il sior lo fa la zucca. E il sior Mario, per quel che
aveva nella pera, era il più ricco del paese.
"Ciao reverendo prete. Che hai raccontato oggi alla mandria
di sorci? Vita, morte e miracoli del solito? Allora? Di
che hai parlato?"
Il curato tirava dritto, sorridendo. Perché lui, il sior
Mario, lo conosceva da un fracco d'anni. Quand'era ancora
avvicinabile, quando ancora insegnava, tutti e due passavano
intere giornate a conversare all'ombra di un grande pioppo,
seduti sull'unica panchina che stava in fronte alla chiesa.
Non lo considerava (come un buon pastore dovrebbe) una
pecorella smarrita. Il buon Mario, così pensava Don Saverio,
è un caso che agli occhi del Signore può essere tranquillamente
ammesso con ampie dispense. Dio lo vede, e vede anche
me. Sarebbe d'accordo. Rispose senza fermarsi, mentre
Mario gli si accodava tranquillo, le mani accoccolate
l'una nell'altra dietro la schiena. "Oggi? Si, ho parlato
del Solito come lo chiami te. Ho parlato del bene e del
male, caro il mio, e della ricompensa finale. Cose a cui
tu non credi giusto?" "No" rispose sorridendo rauco Mario.
Aveva un ghigno da far paura sotto la barba incolta che
a chiazze bianche gli dipingeva le guance. "Son tutte
balle, caro il mio prete. Lo sai bene pure te. Il destino,
il libero arbitrio… anche la volontà è un dettaglio che
scolora con l'avanzare dell'età; e i grandi esiti ed i
trionfi, come pure le sconfitte e le umiliazioni, tendono
rassegnatamente, come vecchi compagni di guerra, a ritrovarsi
insieme lungo l'ultimo tratto da percorrere prima di ridiventare
terra. Non è fatalismo spicciolo, né vigliaccheria sfoggiata
a bella posta per schivare oneri o responsabilità: quelli
ci capitano addosso, inevitabilmente, anche se non li
si vuole… Ma il momento giusto per vivere, quello è la
fregatura. Arriva sempre in ritardo, o sotto mentite spoglie,
e ci sbeffeggia e ci deride e ci chiama imbecilli e quel
che è peggio è che siamo del tutto persuasi di meritarci
il suo legittimo scherno. E pure sapendo perfettamente
che l'esatto e congruo momento non esiste, finiamo sempre
per rincorrerlo come se fosse reale, come se i sogni fossero
di solida materia e non figli deformi del sonno." A parlare
ad un muro, forse Don Saverio qualche mattone l'avrebbe
convertito. Ma con Mario la cosa si faceva ardua. Inutile
nemmeno abbozzare un mezzo periodo. Inutile aprire bocca.
Anzi, già aveva parlato troppo. Al solito Mario si sarebbe
sfogato e poi calmato, gustando il suo trionfo come un
campione di scacchi che, alla mossa finale, alza gli occhi
verso l'avversario godendo della disfatta inflitta. Ma
a quel punto a Don Saverio scattò dentro una molla che
somigliava molto alla curiosità. E si arrischiò a ribattere.
"Scusa tanto, ma che vorresti dire con questo? Non capisco
cosa intendi." A quella domanda Mario si fermò all'improvviso
e si mise a rimirare Don Saverio con candida meraviglia.
"Come sarebbe Don, che non capisci?" "Beh, sarebbe che
non capisco… è quel che ho detto. Spiegati, dunque. Che
c'entra il bene e il male con le occasioni perdute?" "Bah!"
sbottò il Mario dopo essersi ancor più piantato in mezzo
alla stradina e aver squadrato per qualche istante il
religioso con fare sinistro. "Ma… mi sembra chiaro, prete!
Cos'è la vita se non un'occasione mancata, un percorso
comunque fallito, una corsa disseminata di lutti e privazioni
che altro esito non hanno che quello di spedirci infine,
sempre e comunque, sotto un metro di terra? E la fregatura
quale sarebbe? La fregatura è che lo si sa! Mica problemi,
le bestie…" "Non capisco ancora." Mario cominciava a spazientirsi.
"Ma come, prete! La scelta! Che scelta ci è mai concessa?
Nessuna! Quella è la strada, accomodati disgraziato, chiunque
tu sia stato lì finirai! Libero arbitrio? Ma quale arbitrio!
Quello di morire o… morire!" Mario doveva aver bevuto
parecchio, Don Saverio l'aveva capito subito dal suo alito
paonazzo. Scosse la testa, sorridendo. Lo sapeva che non
c'era storia, con Mario. Ma volle continuare. "Discorsi
senza costrutto, caro Mario. Lo sai bene pure te. Non
ti fanno onore. Non sei grato alla vita per il semplice
fatto che ancora ti scorre in corpo? Che venga da Dio
o dal caso che t'importa alla fine? O ti detesti per il
semplice fatto di capire meglio di tutti i disgraziati
che ti circondano quale sia il suo concreto valore? Parli
di scelte? Beh… quanto a quelle non tutte ci sono concesse,
mi pare ovvio. Si può però scegliere, infine, di sperare."
"Ah, la vita dall'altra parte…" sbottò Mario scocciandosi
"…il grande inganno, la grande mistificazione… ". Erano
ormai arrivati al portone della canonica. Mario dopo un
istante di silenzio si bloccò, girò i tacchi e se ne andò
senza salutare, sventolando la mano in segno di disprezzo
all'indirizzo del prete. Don Saverio lo vide allontanarsi
come un poveraccio. Mario abitava appena fuori dal paese,
in una vecchia stamberga che era stata la casa di chissà
quali trisavoli. Salì le strette scale di cemento appoggiandosi
al corrimano di ferro sudicio, arrivò in fronte all'uscio
e lo spinse in avanti. Mai avute le chiavi di casa. Nemmeno
c'era la serratura. Del resto, con quel che teneva in
casa che aveva da preoccuparsi? Quattro mobili stinti,
un letto scassato e una stufa che odorava di fumo anche
d'estate. E una libreria. Forse l'unica cosa con un qualche
valore. Una enorme, massiccia libreria in noce, nodosa
e levigata. Completamente vuota. Ma come? Un uomo come
Mario, anzi, il sior Mario, che dei libri aveva fatto
la sua vita e il suo destino, uno che avrebbe fatto tacere
in quattro sillabe pure il notaio del paese! Senza un
libro in casa! Mario si piantò davanti al mobile a gambe
larghe, braccia conserte, sguardo sprezzante. "Gli uomini
vivono di simboli" mormorò tra sé "per questo vivono male.
E che altro sono i libri se non simboli? Maledetti anche
i libri." Poi poggiò le mani sul legno lucido di un ripiano
e abbassò il capo. La discussione con il pretaccio l'aveva
incupito. Come poteva un uomo di cultura come Don Saverio
sottrarsi a ragionamenti così ovvi?
La mattina dopo Don Saverio uscì di buon'ora (doveva
confessare una vecchia bacucca) e si diresse verso la
chiesa. Davanti al grande ingresso stazionava Mario, impettito
e scalcinato come sempre. Il sacerdote fu non poco sorpreso
di vederlo, tanto che, dopo aver salutato, si fermò sul
primo gradino a contemplare curioso quella strana, inconsueta
apparizione. Mario sbottò. "Allora, prete, che mi racconti?"
Vestito con quel sottanone nero e il breviario in mano
Don Saverio sembrava il ritratto della mansuetudine. Mario
ne fu quasi infastidito. "Nulla che possa convincerti."
"Convincermi a fare che?" "A credere che il bene e il
male esistono." "Ti sbagli. Forse potresti. Ma non vuoi."
"Sarebbe a dire?" "Cos'è il bene, cos'è il male… concetti
astratti, mutevoli e raffazzonati alla meglio a seconda
dell'aria che tira, ecco cosa sono. L'uomo cerca l'assoluto?
Tu l'assoluto non potresti cavarlo nemmeno impegnando
l'anima a un monte di pietà!" Mario era insolitamente
aggressivo, ma la cosa non turbò oltremodo il sacerdote.
"Rispetto la tua opinione, per quanto mi sia incomprensibile"
rispose seccato Don Saverio "ma tu rispetta la mia. Io
credo ciecamente in quel che faccio. Diversamente, la
mia vita sarebbe soltanto… soltanto un cumulo informe
di ore, di tempo aggrovigliato. Sarei perduto. mi spiego?"
"No, non ti spieghi. Le leggi, le regole, i così detti
comandamenti, i principi, le dottrine… per avere un valore
oggettivo e non mercanteggiabile, per valere da monito
e dogma dovrebbero necessariamente, per loro evidente
natura, essere immutabili e sospese nel tempo come stelle.
Anzi, nemmeno come stelle, ma come le forze che le governano.
La gravità se ne frega, ecco il punto." Don Saverio guardò
Mario interrogativo e sgomento. La gravità? Il prete pensò
sulle prime che il vecchio fosse uscito di senno. Ma Mario
contava su questo e, dopo essersi appagato della prevedibile
reazione del prete, continuò tranquillo. "La forza di
gravità, come tutti gli altri avvenimenti naturali, non
soggiace ad eventi esterni. Non si piega al tempo in cui
si trova, non muta con le mode o le necessità. È indifferente
perché il suo stesso esistere la caratterizza in un modo
che non è interpretabile ma è evidentemente oggettivo.
Mi spiego? La Legge di Newton non è applicabile solo in
un certo periodo dell'anno o in caso di bel tempo o se
il governo pende più a destra che a sinistra. La gravità
esiste e gli effetti che produce sulle nostre vite sono
talmente consueti al punto di poterli accettare e considerare
come perfettamente normali." "Il bene e il male invece
mutano come le stagioni, si modificano e si avvinghiano
l'un l'altro come serpenti che si accoppiano. Sono un'invenzione,
un tentativo di regolare qualcosa che, probabilmente,
non può essere regolato." "Non bestemmiare" lo fermò Don
Saverio. "Le leggi divine sono immutabili. "Non uccidere"
mi sembra un esempio di chiarezza… Ma tu parlavi di gravità
e vorrei continuare a percorrere i binari di questa tua
strana metafora. Sei nel giusto quando dici che la gravità
esiste e che i suoi effetti sono immutabili, eterni e
(aggiungo io) prevedibili e misurabili. Sulla terra però
la gravità produce fenomeni che altrove (ad esempio sulla
Luna) sono ben diversi. Tu ben sai inoltre che l'infinitamente
piccolo ha regole diverse dall'infinitamente grande. Il
bene e il male, allo stesso modo, producono diversi effetti
in diversi periodi della storia e in diverse società.
Ma sempre quelli sono. E sempre quelli saranno." "Oh,
bella questa. Fortuna che "non uccidere" sembrava un esempio
di chiarezza… Balle. Son tutte balle e lo sai pure te,
prete. No girarci attorno. La gravità muta in relazione
alla massa, ma la legge a cui ubbidisce è sempre la stessa.
E anche gli effetti sono sempre proporzionalmente gli
stessi; diversi nell'ordine di grandezza ma pur sempre
in perfetta, inevitabile armonia. E anche l'infinitamente
piccolo, allo stesso modo, ubbidisce a regole ben precise.
Diverse, ma pur sempre immutabili. Ma nel tuo caso? Nel
tuo caso sarebbe come dire "non uccidere molto" oppure
"uccidi quel che basta"? Oppure "non uccidere a meno che
tu non sia costretto"?" Il sacerdote si rabbuiò d'un colpo
e parlò lentamente. "La via che porta alla corretta interpretazione
della Legge Divina, o se preferisci alla sua piena, armoniosa
applicazione, deve e dovrà ancora essere obbligatoriamente
percorsa dall'uomo lungo i secoli della storia. La gravità
è una legge che prima di Newton forse si intuiva, ma non
si comprendeva perfettamente. Ma è pur sempre esistita
dall'inizio del mondo, così come i suoi costanti effetti.
Considera la Legge Divina come un percorso di conoscenza
già tracciato che porterà, immancabilmente, alla esatta
comprensione del bene e del male." "Questa poi!" sghignazzò
Mario. "Un prete relativista! " "Pensala come ti pare."
"La storia non porta insegnamenti" vociò Mario, "è destinata
a ripetersi all'infinito, fino alla fine della nostra
razza. La storia non porta a nulla, se non all'eterna
ripetizione di genocidi, distruzioni e abomini. La storia
è merda." "A Dio non interessa la storia scritta nei libri"
disse Don Saverio alzando lo sguardo "né si interessa
di cosa è fatta. A Dio interessa la singola, irripetibile
storia di ognuno. Anche la tua." Mario sputò a terra.
Poi si passò lentamente la manica sulla bocca. "Non la
mia, stanne certo... E, se anche fosse come dici tu, io
conto di crepare e di restarmene tranquillo e comodo a
marcire sottoterra. Dell'altra parte non me ne frega un
fico secco." "Tu puoi provocare quanto vuoi, Mario, ma
in nessun caso riuscirai a smuovermi dalle mie posizioni
di un solo millimetro. Non posso negare di temere la morte.
Ma, figurandomi il momento in cui cesserò di vivere, immagino
che sarò pervaso da una certa curiosità per quel che starò
per vedere." "A, bello, bello… E, dimmi… e poi?" "Poi?
Poi niente." Il vecchio Mario rimase sorpreso da una risposta
così lapidaria e priva di senso. Ma Don Saverio cominciava
a spazientirsi e voleva tagliare corto, tanto più che
la vecchina lo stava aspettando sul portone delle chiesa
già da qualche minuto con due occhi così. "Niente?" "Niente."
"Ma… niente in che senso?" "Nel senso che io mi applico
per cercare sì di comprendere ma soprattutto di seguire
la Legge Divina. Il "poi" è un concetto che non mi interessa.
Non è un valore misurabile come la gravità. Io non sono
uno scienziato. Ma so di essere nel giusto." "Addirittura.
E chi lo dice che sei nel giusto?" "Uno che un po' se
ne intende. Si chiama Dio." "Questa poi… Dio non è misurabile.
Non mi interessa… Non si misurano i vaneggiamenti." Don
Saverio era stanco e indispettito, ma quelle parole lo
fecero trasalire. Fissò duro il sior Mario. Poi mosse
lentamente un passo verso di lui. Poi un altro. E un altro
ancora. Si fermò a pochi centimetri dal volto dell'uomo.
"Ho capito." La risposta del prete era stata così semplice
e naturale, e il suo incedere così solenne, che Mario
ne fu scombussolato. "Come… come hai detto, prete?" "Ho
detto che ho capito. Ora vattene che mi hai seccato anche
troppo. Se ci tieni tanto a saperlo per me il male sei
tu. Vattene, ho detto".
***
Il Mario passò il resto della giornata a zonzo tra le
bancarelle del mercato. Era rimasto turbato dalla reazione
di Don Saverio e non riusciva a capirne il motivo. Nessuno
dei due, da anni, aveva osato infrangere le regole non
scritte che attenevano alle loro discussioni. Il prete
sopportava sorridendo (mettendo in pratica gli insegnamenti
che gli derivavano dal suo credo), lui provocava, maligno
e velenoso. Punto. Mai prima di quel giorno i loro abboccamenti
erano degenerati in disputa. E così repentinamente, poi!
Certo, così brutale prima d'ora non era mai stato, però…
Giunse a casa che era ormai buio. Il fresco della sera
e l'abbondante carico di vino in corpo lo stavano lentamente
trasportando verso un sonno profondo ma, prima di salire
in casa, Mario si ripromise di andare l'indomani a scusarsi
con Don Saverio per il suo contegno. Non era rimorso.
Temeva soltanto di perdere l'unico degno interlocutore
che gli restava in paese e che ancora gli rivolgeva la
parola da pari. O forse si, forse era proprio rimorso.
Don Saverio in fondo era il prete più uomo che avesse
mai conosciuto. Salì le scale al buio, spinse la porta,
entrò in casa e accese la lampadina. La grande libreria
era davanti all'ingresso e Mario non poté evitare di scorgervi
nel bel mezzo un grosso volume. "E questo da dove arriva?"
si chiese senza grande meraviglia. Il vino l'aveva stordito
al punto da fargli sospettare di avercelo messo proprio
lui, quel libro, e di essersene poi scordato. Si avvicinò
al ripiano, pigliò il libro in mano e l'avvicinò al viso.
Sulla grande copertina di pelle bruna stava scritto "La
Bibbia". "Mah, roba mia non è di certo" si disse. Lo ripose
meccanicamente sullo scaffale e si avviò vacillando verso
il suo lettaccio polveroso. Gli si gettò sopra vestito
e cercò di dormire. Ma un sinistro malessere gli si era
avvinghiato alla schiena e non c'era verso di scrollarselo
di dosso, come se una spregevole presenza palpitasse maligna
e invisibile tra le povere stanze. Io sarei il male, continuava
a ripetersi. Io sarei il male… E mentre le parole turbinavano
incessantemente tra le pareti del suo cranio, Mario cercava
di scovare l'origine dello sconcerto che l'aveva colto
così profondamente. Se ci tieni tanto a saperlo per me
il male sei tu. Il male sei tu. Il male sei tu. Forse
i fumi del vino, o l'ossessivo e ininterrotto rintronare
di quelle parole, o l'inspiegabile presenza di quel libro
scoprirono infine il velo con il quale, durante la giornata,
egli aveva forse inconsapevolmente nascosto a sé stesso
la semplice verità. L'origine di quella sua ormai insopportabile
inquietudine erano gli occhi con i quali Don Saverio l'aveva
fissato. Mario non aveva mai visto prima, nemmeno in guerra,
occhi così spietati, risoluti e vuoti. Si, vuoti. A Mario
così erano sembrati. Come se dietro ad essi nulla si celasse
se non un deserto, tetro baratro. Capì che Don Saverio,
fissandolo in quel modo, l'aveva semplicemente ignorato,
come se in quel momento egli nemmeno fosse esistito, anzi,
come se in quel momento egli fosse stato morto. Rabbrividì
e si passò la mano sul volto. Poi finalmente si addormentò.
***
I funerali del sior Mario ebbero luogo una settimana
dopo. Tutto era stato accomodato dall'amministrazione
comunale, come sempre accadeva nel caso di poveracci o
nullatenenti. In compenso al funerale non c'era la solita
sparuta folla di infelici, anzi, intervenne un sacco di
gente, molte personalità, molti curiosi. Molti addirittura
pensavano che, proprio al suo funerale, il sior Mario
se ne sarebbe uscito con qualche trovata bizzarra. Ma,
in effetti, un suo ennesimo, ultimo gesto era un'eventualità
per lo meno improbabile chiuso com'era in quella cassa
di legno da due soldi. Mario era stato trovato cadavere
nel suo letto, strangolato nel sonno dalla grossa catena
d'oro con crocefisso che aveva al collo. In paese, sulle
prime la cosa era sembrata strana ai più, essendo notoria
l'avversione di Mario verso ogni tipo di religione, congrega
o movimento spirituale. Eppure l'assassino, per motivi
che nessuno intuiva, aveva approfittato di quell'inusuale
strumento per dare la morte al povero Mario. L'aver poi
trovato nella povera casa proprio quell'unico libro aveva
tolto molti dubbi su una sua, per quanto improbabile,
conversione. E se sull'arma del delitto le cose erano
chiare, il movente rimase invece per sempre un mistero
per tutti. Il fatto impressionò molto anche Don Saverio
(era stato probabilmente l'ultimo ad averci parlato).
ma fu per lui, paradossalmente, motivo di conforto mentre
celebrava in lacrime il funerale dell'amico. Anzi, tutta
l'omelia fu incentrata sulla nuova presunta ricerca spirituale
di Mario e sull'atroce crimine che gli aveva dato la morte
proprio in quel momento di ritrovata fede. Dopo la tumulazione
nel piccolo cimitero del paese, il povero Mario poteva
dirsi soddisfatto. Ora avrebbe marcito sottoterra come
desiderava. "Egli ora conosce quel che è bene e quel che
è male. Voglia il Signore accogliere la sua anima" concluse
Don Saverio benedicendo la terra e innaffiandola abbondantemente
con acqua santa.
"Riposi in pace, amen".
"Amen" risposero tutti.
Quella notte Don Saverio non riuscì a chiudere occhio.
La fine così crudele dell'amico lo tormentava e non lo
abbandonava un solo istante. Sapeva che il criminale che
l'aveva così barbaramente ucciso non sarebbe mai stato
preso. Mario in fin dei conti era un poveraccio e nessuno
investigatore avrebbe perso troppo tempo e risorse per
fare luce sulla faccenda. Le indagini erano state indirizzate
verso un accampamento di nomadi che si era insediato alla
periferia del paese qualche settimana prima, ma nessuno
si faceva illusioni: tutto sarebbe stato dimenticato in
breve tempo.
"Sarebbe questa la giustizia degli uomini" pensava amareggiato
tra sé il sacerdote mentre cercava inutilmente di addormentarsi.
Infine, nel cuore della notte, decise di alzarsi e scendere
in chiesa a pregare, l'unica cosa che ancora gli dava
conforto. Si genuflesse davanti al grande crocefisso e
abbassò gli occhi. "Sono il tuo umile servitore, Signore.
Aiutami a trovare ancora la forza per distruggere i tuoi
nemici. Che la tua parola mi sia di conforto."
Così rasserenato, l'assassino di Mario trovò finalmente
il sonno.
di Massimo Pellegrin