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Treviso: L'odore del bianco


"Maiale lavato e cuoio scamosciato". In una rappresentazione teatrale che ha avuto come protagonista un inedito Gian Antonio Stella -come lui stesso ci ha raccontato giovedì 22 settembre- così è stato definito l'odore del bianco. Nessun bianco pensa di avere tale odore, ma la percezione dell'altro è spesso altra cosa, quando non è stereotipo irremovibile.

di Sara Miriade


La battaglia culturale attuale è proprio quella -ha continuato Stella- di smontare gli stereotipi anche solo con l'ironia e la simpatia -dico io- di persone come lui che sanno sdrammatizzare paure presenti e collettive.
Ho iniziato da Gian Antonio Stella, non per scortesia nei confronti della vera protagonista della serata Livia Turco, venuta a Treviso, ospite di casa Benetton -presente con signora- a Palazzo Bomben, a raccontare del suo volume scritto con la giornalista Paola Tavella, I nuovi italiani, L'immigrazione, i pregiudizi, la convivenza (Mondatori), ma per omaggiare quell'ironia, arma se non vincente almeno fendente contro quella forma esasperata di entusiasmo che è il fanatismo, religioso e politico. Anche la Turco aveva le sue armi buone che sono la passione, l'impegno, la perseveranza e le ha dimostrate tutte. Con lei in quella serata, oltre al già citato Stella, c'erano anche l'onorevole Pier Luigi Bersani, l'imprenditore dell'anno 2003 Ettore Riello e Cristina Castagnoli, funzionaria europea, che ha moderato gli interventi.
Livia Turco ha scritto questo libro per suo padre, che le rimproverava, quand'era Ministro per la Solidarietà sociale di "farne entrare troppi" e per mettere a disposizione le cose che aveva imparato da Ministro. Di fronte a questo tema che è dell'Italia e dell'Europa, bisogna superare l'errore che basti una legge, una sanatoria o il lavoro delle associazioni, la tolleranza dell'emergenza o lo stare insieme senza conoscersi in una prospettiva multiculturale. Bisogna -ha continuato la Turco- condividere una missione a partire dai valori della costituzione, coinvolgere i sentimenti delle persone, curare le relazioni come è avvenuto per il miracolo San Salvario. Lì in quella provincia di Torino l'eroe è stato un prete, che dopo missioni in Africa è stato mandato a San Salvario, quartiere ad alta densità di immigrazione dove lo scontro aveva raggiunto livelli incontrollabili con "conflitti tra residenti e immigrati, rivolte, ronde, titoli allarmistici sui giornali". Don Pietro Gallo si è messo a parlare con tutti, a sentire i problemi di tutti, a dividere la casa con "un algerino, un colombiano, un maliano, una signora nigeriana e un ragazzo del Senegal", ma soprattutto a portare il dialogo, quello vero che nasce dalla comprensione del disagio dell'altro, che non è necessariamente l'altro parrocchiano, dentro la parrocchia. Al lavoro di Don Pietro Gallo si è affiancato il "centro Spazi d'Intesa" per la gestione dei conflitti, curato da criminologi e psicologi che lavorano sulle emozioni, prendendo "in carico i configgenti" semplicemente con un ascolto empatico. E così San Salvario negli ultimi anni è diventato un salotto buono dove le case da un milione al metro quadro, sono passate a oltre il triplo, come dice lo stesso Don Pietro. Un altro prete citato è Don Antonio, parroco di Morozzo, il paese di provenienza di Livia Turco, che in una domenica d'agosto del 2003, ha fatto la Festa dei popoli, che da allora si ripete ogni anno, affinché i morozzesi conoscessero gli extracomunitari, un'ottantina, che abitavano in quello stesso paese. Nella parrocchia di Morozzo, poi, ogni domenica di pomeriggio si studia l'arabo. Ai miei tempi, che non sono poi così lontani, c'era solo il Vespro. Magari anche i bimbi italiani frequentassero, prima del Vespro, un corso di arabo, piuttosto di certa banale televisione.
I figli degli immigrati, certamente vivono, ma senz'altro meno dei padri, la lacerazione della perdita di un'identità, ma hanno più dei loro padri una conoscenza arricchita: a scuola studiano la nostra storia, imparano la nostra lingua e una comunitaria. Sono i figli -ha sottolineato Stella- che tirano dentro i padri e ci si amalgama. E ciò avviene da ambo le parti, perché -interviene la Turco, i figli aiutano i padri a liberarsi dagli stereotipi. E gli insegnanti sono coloro che in primis affrontano questa fatica e questo impegno, ritagliandosi degli spazi che non ci sono, tanto da richiamare i colleghi in pensione che volontari supportano questo cambiamento. Il tutto, il risultato è un'altra cosa, è -come sostiene la psicologia della Gestalt- più della somma delle sue parti ed è un processo irreversibile. Per questi bambini stranieri rispetto a quelli italiani anche se non immediatamente le prospettive si allargano e ciò ho potuto osservarlo parlando con qualche figlio di terza generazione dei nostri immigrati, che è ritornato in Italia a vedere e conoscere il Paese dei loro nonni, magari assieme al nonno o alla nonna, che rimane sgomento di fronte al cambiamento del misero paese che aveva lasciato solo poco più di una cinquantina d'anni prima. E a proposito di identità arricchite penso alla nonna di Ryan, studente universitario in filosofia nel New Jersy, che è venuto a Treviso a studiare il dialetto veneto, oggetto della sua tesi di laurea, la quale parla al nipote in America in dialetto e in Italia in americano: ormai è l'una e l' altra: è sempre italiana, ma è anche americana e non vuole perdere né l'una né l'altra identità. Questa digressione mi porta ad introdurre una problematica giuridica, affrontata dalla Turco ed è quella relativa alla cittadinanza. Secondo la legge italiana, un bambino o una bambina acquisiscono la cittadinanza italiana, se nati in Italia e ivi residenti ininterrottamente fino al diciottesimo anno di età e se ne fanno richiesta prima del compimento del diciannovesimo anno. Il problema sussiste anche a livello europeo. I francesi propinano l'assimilazione, che l'on. Pier Luigi Bersani chiama giacobina", e i tedeschi la cittadinanza basata sulla discendenza di sangue. In Europa solo Paesi Bassi e Gran Bretagna danno "la possibilità a chiunque di integrarsi nella cultura comune", come negli Stati Uniti. La diversa impostazione si è vista dopo l'attentato terroristico a Londra, quando il capo del governo inglese-che l'on. Turco elogia, pur chiarendo la sua diversità politica- ha chiamato alla solidarietà in primis non tanto e non solo i cittadini inglesi di sangue, ma soprattutto quelli dai cui di loro conterranei aveva ricevuto l'attacco. Al problema della cittadinanza è legato anche quello del voto. Anche su questo fronte sono ad esempio l'Olanda e la Gran Bretagna, che hanno concesso il diritto di voto, per impedire che gli immigrati potessero sentirsi ospiti incompresi nei loro bisogno di essere cittadini nel Paese in cui vivono. Negare questi diritti, significherebbe spingere queste persone nelle ambizioni di estremisti intolleranti e revanscisti, che in silenzio creano nuovi adepti, addestrati all'ubbidienza acritica, piuttosto che alla dialettica di una società che si impegna quotidianamente a realizzare la democrazia. In questo contesto Livia Turco vede positivamente la decisione del ministro dell'interno Pisanu di istituire una Consulta islamica in Italia. E' un errore -interviene il giornalista scrittore Gian Antonio Stella- lasciare certi temi ai razzisti. Sindaci, preti e carabinieri diventano degli utili sensori di disagi cui le istituzioni devono però trovare una soluzione che sappia leggere la realtà mondiale.

di Sara Miriade

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