Vittorio Veneto: Signore e Signori
Cronaca di un film mitico di una
spettatrice d'eccellenza
di Sara Miriade
Avevo spostato persino le vacanze per non perdere la
proiezione a Treviso del celeberrimo film di Germi, Signore
e Signori (1965), solo che avevo memorizzato la data
sbagliata: la fine di luglio anziché quella di
giugno e così lo avevo perso per l'ennesima volta.
C'era però un'altra possibilità: sarebbe
stato proiettato nella prima decade di agosto a Vittorio
Veneto... Un giro di telefonate, ci siamo dati appuntamento
per una squisitissima cena da amici e finalmente la visione
di questo film che è pressoché introvabile
perché non è distribuito in vhs o dvd e
non è trasmesso in televisione è arrivata.
Era
da tempo che non tornavo nella cittadina che ha preso
il nome del re che ha voluto, nel lontano 1866, la sua
annessione, con tutto il Veneto, all'Italia, Vittorio
Emanuele II. A Ceneda, che insieme a Serravalle ha costituito
il nucleo fondante di Vittorio Veneto, il Castello di
San Martino, residenza del vescovo, osserva dall'alto
la piazza Giovanni Paolo I, sulla quale si affacciano
il settecentesco Duomo, la Loggia del Sansovino, che ospita
il museo della battaglia, e il Seminario vescovile, che
raccoglie il museo diocesano di arte sacra. A lato di
questa piazza così maestosa c'è villa Papadopoli
nella cui sommità dell' intricato e labirintico
parco pieno di bellissimi alberi, l'Arci di Treviso ha
proiettato il film che ha stigmatizzato la nostra bellissima
città in modo indelebile. Pensavo di trovare quattro
gatti nostalgici degli anni Sessanta e invece continuavano
ad aggiungere sedie a un pubblico di adulti, ma giovani,
forse stimolati dai racconti dei padri. Comunque non avrei
mai pensato ad una tale moltitudine di gente, per uno
spettacolo, che ha quarant'anni e che non era gratuito.
Il film è diviso in tre episodi, nei quali gli
uomini non fanno una gran brutta figura. Gli attori e
le attrici, quali per esempio, Virna Lisi, Gastone Meschin,
Alberto Lionello, Olga Villi, Nora Ricci erano dei migliori
sul piano nazionale. Il soggetto e la sceneggiatura sono
di un trevigiano di nascita, Luciano Vincenzoni.
Il primo è incentrato sul dileggio di un gruppo
di amici - tale gruppo comparirà in tutti e tre
gli episodi allargato anche alle di loro famiglie e focalizzato
in modo diverso- nei confronti di uno di loro che ha confidato
al medico del gruppo la sua conclamata impotenza. Nel
giro di un'ora lo sa tutta la cerchia e tutti ne sparlano.
Bell'amico quel medico e bell'amico l'impotente, dichiaratosi
tale solo per avvicinare e sedurre la biondissima e svampitissima
alla Marylin, moglie del medico. Alla fine però
il triangolo viene alla luce nella casa della coppia in
Borgo Cavour e soffocato -si fa per dire- con una paseggiata
per le vie cittadine onde evitare, che un alone di sospetto
di posasse sul medico condotto e la sua bella moglie.
Il
secondo ha come protagonista un impiegato di banca che
vuole fuggire da una moglie urlante, ma tutta protesa
a gestire la famiglia perché lui sogna altri lidi,
tappandosi le orecchie e non occupandosi di altro, se
non di lavorare e organizzare incontri forzatamente casuali
con una cassiera di un bar. Ad un certo punto fugge di
casa e va a vivere con lei. Ma tutti gli sono contro:
la cassiera perde casa e il lavoro per essersi messa con
un uomo sposato e a costui gli viene intimato il licenziamento
senza contare lo scherno degli amici. Il comandante dei
carabinieri lo sequestra in caserma e da uomo a uomo gli
consiglia di tenersi la giovanetta accomodante e remissiva,
ma di farlo sapere poco in giro. Naturalmente lui si oppone
e così passa la notte in caserma. Quando ritorna
non trova più la sua bella perché nel frattempo
si era intrufolato anche il prete che aveva suggerito
a lei di uscire dalla vita di lui se gli voleva davvero
bene. E così Osvaldo, dopo aver tentato il suicidio,
ritorna a casa con i tappi alle orecchie.
Nell'ultimo la cerchia di amici tocca davvero il fondo
perché mettendosi d'accordo riescono ad approfittare
di una sedicenne venuta dalla campagna in città
per degli acquisti. Solamente che la fanciulla lo racconta
a casa e il padre denuncia tutti. Il buon nome, la reputazione,
i giornali, il tribunale e la piazza dei Signori sullo
sfondo. Tutti i protagonisti di questa ignominiosa vicenda
vengono, ciascuno nel suo privato e con diversi modi,
presi a randellate dalle rispettive mogli, i quali rincorrono
-pure- in ginocchio per farsi perdonare. Se in qualche
modo nel privato le cose si sistemano, non altrettanto
succede nel pubblico, e così una delle mogli, colei
che aiutava il prete nella gestione della parrocchia,
prende in mano la situazione, raccogliendo un'ingente
somma dalle famiglie coinvolte e propone al padre della
ragazza di ritirare la denuncia in cambio del denaro.
Ippolita -così si chiamava la signora- riesce ad
ottenere anche un sensibile sconto, destinando il rimanente
alla parrocchia, ma non respinge tanto la proposta indecente
del grezzo contadino -chissà una rivincita nei
confronti del marito?-.
E' la Treviso di adesso, quella Treviso così viziosa
di allora? C'è qualche similitudine? Lascio al
lettore la risposta a questi quesiti. Riporto alcune parti
dello scritto che il giornalista Gian Maria Ferretto
nel suo libro Inviato speciale in provincia ha
dedicato a Signore e Signori: già nei suoi
esordi il film era un richiamo per la cittadinanza. "
I primi giorni di novembre" -1964- "giunse per
la prima volta in città il regista Pietro Germi.
(
) Si sparse la voce che Pietro Germi cercava attori
e all'hotel Baglioni, dove si teneva la seduta per il
provino fotografico, ci fu molta gente. (
) Tutti,
compresa molta gente comune, erano là per caso,
senza alcuna intenzione
, ma tutti, per una ragione
o per l'altra, sognavano il grande momento". Ma i
trevigiani sapevano a cosa andavano incontro, oppure pensavano
che in fondo è solo cinema e dei migliori?
di Sara Miriade