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nu. 18 anno secondo¬ 1 settembre 2005 mensile online gratuito
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rubrica

Vittorio Veneto: Signore e Signori


Cronaca di un film mitico di una spettatrice d'eccellenza

di Sara Miriade

Avevo spostato persino le vacanze per non perdere la proiezione a Treviso del celeberrimo film di Germi, Signore e Signori (1965), solo che avevo memorizzato la data sbagliata: la fine di luglio anziché quella di giugno e così lo avevo perso per l'ennesima volta. C'era però un'altra possibilità: sarebbe stato proiettato nella prima decade di agosto a Vittorio Veneto... Un giro di telefonate, ci siamo dati appuntamento per una squisitissima cena da amici e finalmente la visione di questo film che è pressoché introvabile perché non è distribuito in vhs o dvd e non è trasmesso in televisione è arrivata.
Era da tempo che non tornavo nella cittadina che ha preso il nome del re che ha voluto, nel lontano 1866, la sua annessione, con tutto il Veneto, all'Italia, Vittorio Emanuele II. A Ceneda, che insieme a Serravalle ha costituito il nucleo fondante di Vittorio Veneto, il Castello di San Martino, residenza del vescovo, osserva dall'alto la piazza Giovanni Paolo I, sulla quale si affacciano il settecentesco Duomo, la Loggia del Sansovino, che ospita il museo della battaglia, e il Seminario vescovile, che raccoglie il museo diocesano di arte sacra. A lato di questa piazza così maestosa c'è villa Papadopoli nella cui sommità dell' intricato e labirintico parco pieno di bellissimi alberi, l'Arci di Treviso ha proiettato il film che ha stigmatizzato la nostra bellissima città in modo indelebile. Pensavo di trovare quattro gatti nostalgici degli anni Sessanta e invece continuavano ad aggiungere sedie a un pubblico di adulti, ma giovani, forse stimolati dai racconti dei padri. Comunque non avrei mai pensato ad una tale moltitudine di gente, per uno spettacolo, che ha quarant'anni e che non era gratuito.
Il film è diviso in tre episodi, nei quali gli uomini non fanno una gran brutta figura. Gli attori e le attrici, quali per esempio, Virna Lisi, Gastone Meschin, Alberto Lionello, Olga Villi, Nora Ricci erano dei migliori sul piano nazionale. Il soggetto e la sceneggiatura sono di un trevigiano di nascita, Luciano Vincenzoni.


Il primo è incentrato sul dileggio di un gruppo di amici - tale gruppo comparirà in tutti e tre gli episodi allargato anche alle di loro famiglie e focalizzato in modo diverso- nei confronti di uno di loro che ha confidato al medico del gruppo la sua conclamata impotenza. Nel giro di un'ora lo sa tutta la cerchia e tutti ne sparlano. Bell'amico quel medico e bell'amico l'impotente, dichiaratosi tale solo per avvicinare e sedurre la biondissima e svampitissima alla Marylin, moglie del medico. Alla fine però il triangolo viene alla luce nella casa della coppia in Borgo Cavour e soffocato -si fa per dire- con una paseggiata per le vie cittadine onde evitare, che un alone di sospetto di posasse sul medico condotto e la sua bella moglie.

Il secondo ha come protagonista un impiegato di banca che vuole fuggire da una moglie urlante, ma tutta protesa a gestire la famiglia perché lui sogna altri lidi, tappandosi le orecchie e non occupandosi di altro, se non di lavorare e organizzare incontri forzatamente casuali con una cassiera di un bar. Ad un certo punto fugge di casa e va a vivere con lei. Ma tutti gli sono contro: la cassiera perde casa e il lavoro per essersi messa con un uomo sposato e a costui gli viene intimato il licenziamento senza contare lo scherno degli amici. Il comandante dei carabinieri lo sequestra in caserma e da uomo a uomo gli consiglia di tenersi la giovanetta accomodante e remissiva, ma di farlo sapere poco in giro. Naturalmente lui si oppone e così passa la notte in caserma. Quando ritorna non trova più la sua bella perché nel frattempo si era intrufolato anche il prete che aveva suggerito a lei di uscire dalla vita di lui se gli voleva davvero bene. E così Osvaldo, dopo aver tentato il suicidio, ritorna a casa con i tappi alle orecchie.

Nell'ultimo la cerchia di amici tocca davvero il fondo perché mettendosi d'accordo riescono ad approfittare di una sedicenne venuta dalla campagna in città per degli acquisti. Solamente che la fanciulla lo racconta a casa e il padre denuncia tutti. Il buon nome, la reputazione, i giornali, il tribunale e la piazza dei Signori sullo sfondo. Tutti i protagonisti di questa ignominiosa vicenda vengono, ciascuno nel suo privato e con diversi modi, presi a randellate dalle rispettive mogli, i quali rincorrono -pure- in ginocchio per farsi perdonare. Se in qualche modo nel privato le cose si sistemano, non altrettanto succede nel pubblico, e così una delle mogli, colei che aiutava il prete nella gestione della parrocchia, prende in mano la situazione, raccogliendo un'ingente somma dalle famiglie coinvolte e propone al padre della ragazza di ritirare la denuncia in cambio del denaro. Ippolita -così si chiamava la signora- riesce ad ottenere anche un sensibile sconto, destinando il rimanente alla parrocchia, ma non respinge tanto la proposta indecente del grezzo contadino -chissà una rivincita nei confronti del marito?-.
E' la Treviso di adesso, quella Treviso così viziosa di allora? C'è qualche similitudine? Lascio al lettore la risposta a questi quesiti. Riporto alcune parti dello scritto che il giornalista Gian Maria Ferretto nel suo libro Inviato speciale in provincia ha dedicato a Signore e Signori: già nei suoi esordi il film era un richiamo per la cittadinanza. " I primi giorni di novembre" -1964- "giunse per la prima volta in città il regista Pietro Germi. (…) Si sparse la voce che Pietro Germi cercava attori e all'hotel Baglioni, dove si teneva la seduta per il provino fotografico, ci fu molta gente. (…) Tutti, compresa molta gente comune, erano là per caso, senza alcuna intenzione…, ma tutti, per una ragione o per l'altra, sognavano il grande momento". Ma i trevigiani sapevano a cosa andavano incontro, oppure pensavano che in fondo è solo cinema e dei migliori?

di Sara Miriade

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