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Mestre: Espedita Grandesso presente il romanzo “Mala Aria Il Veneto della carestia e della valigia”


Venerdì 16 settembre 2005 alle ore 21.15 presso la Libreria Moderna di Piazza Ferretto a Mestre, Espedita Grandesso presenterà il romanzo “Mala Aria –Il Veneto della carestia e della valigia” di Antonella Benvenuti. Sarà presente l’autrice. Ingresso libero.

a cura di Abcveneto

 

“Mala aria – il Veneto della carestia e della valigia” è un romanzo-dossier nel quale Antonella Benvenuti ricrea il contesto e le vicende umane dei propri nonni, Giovanna e Catterino, povera gente della palude di Meolo dei primi anni del Novecento che hanno vissuto sulla propria pelle la fame, la malattia malarica, le aspettative naufragate di una vita migliore come emigranti a Sciaffusa in Svizzera ed infine l’umiliazione del ritorno fino alla disfatta finale. Costruito con lucidità ed una forte attenzione per i dettagli, ricavati da lunghe ricerche storiografiche-documentarie e dalla frequentazione degli archivi storici veneti e svizzeri, il libro ha il pregio di affrontare temi impegnativi e corposi con un’intensità tale da tenere sempre desta l’attenzione del lettore, grazie alla padronanza scritturale non comune dell’Autrice che riesce a gestire con sicurezza tutti i registri propri di un romanziere. I protagonisti, che come la maggior parte delle persone dell’epoca il destino ha voluto relegare a poche informazioni scritte sui registri parrocchiali o degli ospedali e infine ad un numero statistico sui morti per fame-malaria-pellagra elaborato dai sociologi, hanno finalmente ritrovato un volto, dei sentimenti ed una voce, altrimenti definitivamente persi in quanto l’analfabetismo allora endemico ci ha privato di fonti dirette di conoscenza. Antonella Benvenuti ha adottato dei criteri di scrittura che si rifanno a Cechov e al Verismo, in particolare quello del Verga e del primo Pirandello: dialoghi in stretto dialetto veneto, contestualizzazione precisa e corale degli avvenimenti, attenzione per il dettaglio e la psicologia del personaggio, nessun tipo di commento critico o intromissione da parte dell’autore seguendo un principio radicalmente documentaristico.

Il romanzo, pur inserendosi in un ambito di interesse per la riscoperta della cultura veneta che ha preso piede negli ultimi anni, ha un approccio apolitico e antiretorico verso la situazione contadina fra fine Ottocento ed età fascista. Buona parte della letteratura sull’argomento tende da sempre ad evidenziare l’aspetto buonista “dei bei tempi andati”, la nostalgia del filò, quel “si stava meglio quando si stava peggio” che spesso ricorre come un luogo comune, ma per una sorta di rimozione essa non affronta in maniera adeguata gli aspetti più duri di quel contesto. “Mala aria” riporta le cose nella loro reale dimensione, per una sorta di nuovo Naturalismo Letterario che non vuole nascondere nulla al lettore: trattare dell’uso diffuso dell’incesto, dei casi di cannibalismo nelle paludi, delle condizioni subumane in cui erano costrette le donne in certi contesti, degli effetti fisici della fame e della malaria, è un lavoro terapeutico che Antonella Benvenuti ha applicato a se stessa per far tornare i conti nella propria storia familiare e per chiudere definitivamente quella linea “del male” che, potrà sembrare assurdo, in molti casi è arrivata fino al nuovo millennio. La sociologia, come anche la psicologia, ha messo in luce come i retaggi familiari ed i comportamenti acquisiti con radici lontane, abbiano ai giorni nostri ancora una certo peso soprattutto in certi contesti agresti isolati ed in certe zone di montagna: quindi l’Ottocento rurale non è poi così lontano e la psicologia della povertà non si è del tutto sradicata nel nostro Nordest dei miracoli economici.

Anche il Veneto bianco, quello cattolico della fede popolare, viene notevolmente ridimensionato nella chiave proposta dalla Benvenuti: nelle paludi di Meolo Dio sembra non essere mai arrivato - la superstizione che credeva nella processione dei morti, nelle puerpere-streghe, nel ramarro vivo appeso al collo per curare la malaria, aveva più sostanza e forza del prete che tuonava dal pulpito e che esigeva decime da gente che non possedeva praticamente nulla. Questi religiosi imposti dall’alto e dallo Stato, spesso alcolizzati, vivevano isolati dalla comunità in quanto considerati dei parassiti, cercati solo quando le cose si mettevano proprio male e c’era da benedire un moribondo. Il cattolicesimo degli oratori e dei patronati fu solido e formativo soprattutto nei paesi grossi e medi, o in tutte quelle località in cui si aveva comunque una percezione dei venti della storia che il modernismo stava amplificando, ma nella stagnazione delle paludi e nella rarefazione delle contrade di montagna la religione diventava solo l’ombra di se stessa. Ne deriva che, secondo questa chiave di lettura, sostanzialmente si può parlare di più Veneti o di un Veneto stratificato che viaggia a differenti velocità, allora come oggi.

L’Autrice: Antonella Benvenuti è nata a Meolo nel 1957. Vive a Venezia con il marito ed una figlia, dove lavora.

ESTRATTO

La levatrice aspettava le convulsioni. Sarebbero comparse presto: per la fatica, per la paura, per la debolezza. Bisognava somministrare la belladonna. Se quelle quattro indemoniate avessero solo immaginato che usava ancora l’erba delle streghe, avrebbero potuto ammazzarla a sassate. Doveva cercarla di notte, a luna calante, la terribile pianta, o all’alba, e faceva sempre più fatica, con i suoi poveri occhi, a distinguere la piccola bacca blu dalle altre.

Le donne più giovani si erano raccolte intorno a Marianna. La mammana cercò di distrarle perché non vedessero l’inconfondibile blu dell’infuso. Cosa fare? Lasciarla morire di paura?

« Bisogna andare a cercare il marito e portarlo qui! Se muore di parto senza l’uomo vicino sapete anche voi cosa le succede! » gridò.

« Madonna santissima! Dove sarà adesso quell’uomo? Senza timor di Dio! »

« Io ho visto degli uomini far su canne, tutti duri incandii che i pareva spaventapasseri. Ma non so, non mi pare di aver visto Giuseppe. Dentro l’acqua fino al petto... Si fa fatica a distinguerli ».

Giuseppe, il marito di Agata, si chiamava in verità Francesco Giuseppe, come l’imperatore. Ma in quegli anni, con gli italiani come padroni, era meglio chiamarsi Giuseppe e basta.

« Se muore senza l’uomo a fianco diventerà una lumiera! » mormoravano le ombre.

« Una lumiera! Madonna santissima! Una lumiera ».

« Ma cosa? A far su canne? Quello?! Con tutto il vino che avrà in corpo a quest’ora… Sarà con il suo amico Scarabocio, quello che ha preso le buanse di Marsiglia. A giocare alla morra, saranno! Altro che far su canne. Staranno potando quei quattro insulsi di contadini all’osteria! ».

« Maria! Donne! Preghiamo! Preghiamo noi, che la Graziosa lo gira dentro, dai! Bisogna aver fede!».

« Più di quella non abbiamo! ».

« Dai, venite qua, Norina, Ortensia, Maria, cosa state a fare comaresso adesso! Tre me ne servono, tre, per spingere sulla pancia... Ortensia, Marianna, dai! Dai! Due, due, almeno due di pratiche. Così, brave. Intanto io vado dentro con la mano. Acqua mi serve. Acqua, che ha fatto un po’ di... Dai! Brave, lavate bene braccio e mano, presto. Non posso toccarla con le mani imbrattate di merda. Dai che viene fuori »

Ma Agata rantolava ormai, con gli occhi arrovesciati, e la mammana non sapeva più cosa fare. Forse le aveva dato troppa belladonna. In preda al panico, Graziosa si appoggiò alla parete con la mano tremante, ancora gocciolante di sangue e, ripulendosi la fronte sudata con l’altra, pregò. Con tutta l’intensità della paura, in silenzio, pregò: « Cinque unghie conficcate nel muro, cinque diavoli invoco e scongiuro. Cinque unghie conficcate nel muro, cinque diavoli invoco e scongiuro. Cinque unghie conficcate nel muro, cinque diavoli invoco e scongiuro… ». Una nenia oscura. Un canto sacrilego, riesumato da antichi riti, sanguinosi e terribili, che lei non aveva mai visto, né mai sentito.

C’erano stati, nella vita di Graziosa, tanti altri momenti in cui aveva disperato. Tanti altri momenti in cui aveva veramente invocato le forze del Male. Ma aveva fatto sempre del bene, suo malgrado.

« Pregate! » urlò furiosa. I suoi occhi dardeggiavano feroci da un volto all’altro delle povere donne, tutte spaurite. « Pregate! Che il Signore ci aiuti! Cosa state a fare là! Incantate. Non importa chi! Ma pregate! ».

« Ave Maria, grazia plena, Dominus tecum » intonò timidamente una delle donne.

Le ombre, come soggiogate della urla della mammana, ripeterono sottovoce: « Ave Maria, grazia plena, Dominus tecum».

« Dai! » gridò Graziosa, e finalmente riuscì ad infilare l’intera mano dentro le viscere della partoriente « Pregate! Dai che lo giro!».

Agata non urlava più: sbarrava gli occhi, sbuffando, come la mucca che le ruminava accanto.

« Dai! Dai! » gridava ancora Graziosa « Pregate! Dio santissimo! Pregate! ».

« Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Jesus ».

« Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Jesus ».

« Ancora, ancora, dai spingi Agata, spingi! ».

« La testa, vedo la testa! ».

« Io non vedo niente. Con tutto questo fumo! Aprite quella porta per l’amor di Dio. Aprite quella porta » gridò Graziosa stropicciandosi gli occhi.

« Quanti capelli! E che scuri! ».

« Dai che viene fuori! ».

« Dio sia lodato! ».

Guardandosi stupite, le donne si fecero coraggio. La recita del rosario prese vigore.

« Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus ».

« Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus ».

« Adesso bisogna tirare! Dai toglietevi da qui. Toglietevi. Le fate mancare l’aria ».

« Eccolo ».

« Ma, è senza faccia! ».

« Ma no! È il sacco. È la camicia ».

« L’acqua! È pronta l’acqua? ».

« È calda ».

« Deve bollire! Quando bolle. Solo quando bolle, sgancia il paiolo ».

« Ma è una femmina! ».

« Povera Agata, ha fatto un’altra femmina ».

« Pregate! Maranteghe! » gridò Graziosa.

« Nunc et in hora mortis nostrae. Amen ».

« Nunc et in hora mortis nostrae. Amen ».

« Va’ a chiamare il prete! ».

« Chi? Ma perché? È una femmina ».

« Bisogna battezzarla subito! O che adesso, perché è una femmina, anche senza battesimo la lasciate morire. Basa banchi e ciava santi! Balenghe! » parlò a bassa voce, Graziosa, come rassegnata. Trasfigurata dalla stanchezza, non aveva più voglia di lottare.

« Non facciamo in tempo per il prete, con tutto il fango che c’è. Come arriviamo dal prete? ».

« Fra poco sarà… ».

« È già tutta nera. Muore di sicuro ».

« ... buio ».

« Ma quale fango, i pettirossi vengono sull’aia dal gelo. Prendi un fanale, Ortensia! Prendi un fanale e va! » Marianna era raggiante. Per lei tutto era andato per il meglio.

« No, io non ci vado! Vacci tu! Ho paura io, Cristo! Ho paura! Tra poco sarà buio. Tanto morirà lo stesso, con questo freddo. E poi,... ma ti pare che il prete viene, per una femmina? Nata con la camiciola, per soprammercato ».

RIASSUNTO DEI CAPITOLI

TI PURIFICO DAL MALE E DAL PECCATO. Il 14 dicembre 1883 in un casone della campagna veneta una levatrice-mammana-botanica fa nascere Giovanna, ma la bambina nasce con la “camiciola” e secondo le superstizioni dell’epoca dovrà far parte delle processioni dei morti nei giorni delle quattro Tempora. La bambina è in pericolo di vita, come gran parte dei neonati a quel tempo, e la madre la porta subito a battezzare. Il parroco del paesino benedice anche la puerpera con la particolare formula “Ti purifico dal male e dal peccato” nonostante la quarantena non sia ancora trascorsa.

CHIUDI QUELLE GAMBE CHE SI VEDE VENEZIA. Giovanna adolescente accompagna il padre, Giuseppe, in osteria e assiste ad una rissa scoppiata sulla questione delle bonifiche. Per la maggior parte dei contadini bonifica significa solo essere scacciati dalle paludi e non poter più vivere del “vagantivo”, antico diritto che prevedeva la libera raccolta dei prodotti della laguna e delle terre attorno. Giuseppe riesce ad avere un ingaggio per i primi lavori di bonifica, ma sarà subito licenziato perché troppo vecchio. Troverà ancora qualche giornata di lavoro con le barche dei buranelli che trasportano lo strame a Venezia. Giovanna un giorno lo accompagnerà e vedrà la città per la prima volta.

PUTEI NO PORTA CARESTIA. Giovanna ed i suoi fratellini vivono di stenti cercando di trovare qualcosa da mangiare nella palude ghiacciata. La carestia sta falcidiando tutti i bambini piccoli e la bonifica ha tolto a molti poveri la possibilità di raccogliere quelle poche piante palustri che garantivano un minimo di sostantamento.

L’ANNO DELLA FAME. La grande carestia del 1897. Agata, la madre, muore di privazioni e di fame, i figli non hanno più lacrime e hanno appena la forza di farla seppellire. Il padre è sempre più dedito all’alcool e trovatosi solo inizia ad abusare della figlia. Nella palude si moltiplicano i casi di cannibalismo. La fame oltre a mangiarsi i corpi si mangia anche l’anima.

LE PORTE GRANDI DEL SILE. Giovanna è chiesta in moglie da Catterino, garzone nella rivendita della Conca di Portegrandi. Il padrone della rivendita tenta di dissuadere Catterino, ma non ha il coraggio di dirgli quello che veramente sa sulla famiglia di Giovanna. Cose indicibili che sono appena accennate. In questa parte è ampiamente descritta la bottega, la Conca, la palude, il filò nelle stalle. La vicenda si svolge nell’inverno del 1909. Il padrone della bottega non riesce a pagare Catterino ed è costretto a lasciarlo a casa. Catterino decide di emigrare in Svizzera, dove ci sono altri italiani suoi parenti.

MESSERHELDEN. Giovanna e Catterino partono per Sciaffusa nella Svizzera tedesca. E’ il loro primo ed unico viaggio. Sono felici, anche se spaventati. Credono di avere un futuro, di andare a vivere in una città. Dovranno invece adattarsi a fare i servitori di campagna in un remoto paesino chiamato Langwiesen.

ALTER BAUM SOLL MAN NICHT VERPFLANZEN. Giovanna ed Catterino fanno i servitori di campagna a Langwiesen, paesino nei dintorni di Sciaffusa. Lei si adatta, imparando subito la lingua e gli usi locali. Lui invece non riesce ad imparare una parola di tedesco. Le domeniche le passano ai margini del bosco, aspettando l’arrivo del treno Amburgo-Milano. Il primo figlio non è con loro: è nato di nascosto ed è stato affidato ad un orfanotrofio per non perdere il posto di lavoro.

SCHLATT 1911. Giovanna deve affidare anche il secondo figlio all’orfanotrofio, ma la gravidanza non è passata inosservata ai datori di lavoro che cominciano a considerarla peggio delle bestie. La situazione degenera quando per un equivoco la considereranno una specie di strega e per Catterino e Giovanna non resta che sopravvivere come possono.

VIN FA BON SANGUE. Catterino e Giovanna tornano in palude con i due figli recuperati all’orfanotrofio che parlano solo tedesco. Come loro molti emigranti sono tornati per via delle tensioni legate alla Prima Guerra Mondiale. La famigliola trova subito l’ostilità del parentado che, vedendoli arrivare peggio di come erano partiti, temono di doverli sfamare con quel poco che hanno. Catterino ferito nell’orgoglio cerca comunque di arrangiarsi come può.

QUALCHE SANTO PROVVEDERA’. La famiglia di Catterino precipita in una situazione d’estrema povertà ed isolamento. Catterino e Tosca, sua figlia, chiedono l’elemosina nelle cascine diventando il bersaglio di un branco di ragazzini. Giovanna già ammalata di malaria, peggiora. Tosca abbandona la scuola.

L’ITALIA GRANDE! L’IMPERO! QUESTO FU IL SUO PENSIERO. Nell’episodio narrato Orfeo e Ottavio, fratelli ormai adulti di Tosca, s’industriano come uccellatori per rimediare qualcosa da mangiare.

I BAMBINI! SIANO ESSI LA PRIMAVERA DELLA NOSTRA STIRPE. Nella variegata stratificazione sociale a cavallo del secolo, i repettini erano coloro che vivevano d’espedienti. Catterino, ormai vecchio e alcolizzato, porta la famiglia a Meolo, altro paesino della campagna veneta. Al momento della partenza alcuni amici vengono a salutarlo. Lui è intontito dal freddo e dal bisogno di bere. Arrivati nel nuovo paese incontrano una vicina di casa che è considerata da tutti una strega. La donna capisce subito che la malaria di Giovanna è degenerata in tumore alla milza e si offre per praticare la paracentesi. Capisce anche il bisogno spasmodico di bere di Catterino, e gli regala una bottiglia di grappa.

BENEDICTIO DEPRECATORIA CONTRA MURES. Tosca è lasciata da una zia senza figli a Sant’Andrea di Barbarana, per un anno intero. La bambina, convinta essere stata ceduta per sempre alla zia, ha una preoccupante regressione: balbetta, ricomincia a succhiarsi il pollice, soffre d’enuresi notturna. La zia cerca in tutti i modi di amare e farsi amare da Tosca. Finirà però anche lei con l’odiarla ferocemente.

VAGA. Ricostruzione della morte di Giovanna, avvenuta il 13 agosto 1932, nell’ospedale di San Donà. La trascrizione delle cartelle cliniche dell’epoca si alterna con la descrizione degli stati d’allucinazione di Giovanna. Alla veglia funebre è ancora una volta descritto un ambiente contadino nella sua dimensione corale.

EDIZIONI HELVETIA Via Pozzuoli 9/a 30038 SPINEA (VE) - Tel/Fax 041.5411444 www.edizionihelvetia.it

MALA ARIA Il Veneto della carestia e della valigia di ANTONELLA BENVENUTI

Volume: f.to 14x20 - brossura - pag. 276 - ISBN 88-88075-40-2 - € 11,50 - Collana: VeneziaeVenetoVivo

a cura di Abcveneto

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