A colloquio con Elisabetta Bilei, giovane scrittrice
Classe 1986, un romanzo breve
già alle stampe, molteplici passioni ed interessi coltivati
con successo. Ecco il profilo telegrafico di Elisabetta
Bilei, nuova voce della letteratura, che promette ottimi
risultati. L'enorme novero di persone che coltivano le
arti, in modo più o meno serio, è enorme, benché sia alquanto
difficile l'improvvisazione… Ad Elisabetta va invece certamente
tributata una costanza fuori dal comune, al di là dell'opinione
che si può avere sui suoi scritti. Abbiamo parlato con
lei di quello che ha compiuto finora, anche per non smentire
la vocazione al nuovo del nostro giornale.
A cura di
Alberto Leoncini
Partiamo dal tuo ultimo romanzo "Caffè, Valeriana,
Vomito, Sigaretta" (Edizioni "Il foglio letterario", €
5,00, www.ilfoglioletterario.it),
perché scrivere una storia del genere? Presentala ai lettori
di abcveneto.com.
La storia s'incentra su una figlia che opera un dialogo
immaginario con il padre in coma ed esegue metaforicamente
un trapianto di cuore per potergli donare le emozioni
che lei ha vissuto in quell'anno di vita, il 1998, di
cui egli è completamente estraneo. Pagina dopo pagina
è un pugno nello stomaco, un bisturi che lacera, il sangue
che si espande. E alla fine, il colpo di grazia. Il pugno
perfora, la carne tagliata dal bisturi sanguina, il sangue
sporca. Perché scrivere una storia del genere? E perché
no? La vita non è sempre dolce, e non basta metterle dentro
un Dietor e mescolare bene per renderla tale. Ed è giusto
che si scriva anche di questo.
Più
che un romanzo, questo scritto ricorda più da vicino un
prosimetro. Perché questa scelta stilistica? Qual è l'effetto
che vuol creare il repentino scostarsi di piani narrativi?
E' un rendere la narrazione più viva, palpitante tanto
quanto lo è quel cuore che, attraverso la confessione,
viene donato dalla figlia al padre. "
Nell'atto di scrivere, hai dei punti di riferimento,
degli autori a cui ti ispiri, dei miti?
Parto sempre da me, dalla mia vita. E dalla mia fantasia.
Alcuni scrittori mi fanno sognare più di altri, alcuni
libri avrei voluto scriverli io. Ma nulla più di questo.
Avevo delle letture preferita, ma le ho tradite quando
ho imparato a tradire i miei scrittori preferiti con altri
senza avere più dei preferiti. Per amare un libro devo
sentirlo dentro. E deve essere un libro che accenda i
miei sensi, la mia anima, il mio corpo; i libri di cui
m'innamoro sono quelli che mi prendono dentro e che si
insinuano nel buio, nelle viscere, nell'insonnia, nella
pioggia. Ma poi li lascio andare. A me rimane l'ispirazione.
L'ispirazione di scriverne uno completamente diverso,
uno completamente mio.
Dalla lettura traspare un forte trasporto emotivo,
è una scelta di finzione letteraria o rispecchia davvero
la tua personalità?
Io sono un'emotiva di natura. Tutto mi prende, mi travolge
e mi sconvolge. E questo, inevitabilmente, si rispecchia
nel mio essere donna come nel mio essere scrittrice. Mi
è inevitabile. Sono emotiva, quindi sono.
Lo consideri un punto di inizio o una meta raggiunta
nel tuo percorso artistico?
Assolutamente un punto di inizio. Di cosa non lo so. Ma
comunque solo un principio. Credo che se un giorno raggiungerò
una meta non mi renderò conto di esserci arrivata, e così
continuerò il mio percorso avendo di giorno in giorno
una meta e poi un'altra ancora cosicché il mio percorso
di scrittrice non abbia mai fine.
Qual è stato il riscontro dei tuoi lavori? Sappiamo
che hai vinto dei premi letterari, che alcuni autori ti
hanno elogiata, ti è mai capitato di sentirti in difficoltà
con la tua vocazione artistica?
Il miglior riscontro è essere letta. I premi, indubbiamente,
fanno piacere. Ma avere un riscontro diretto con chi ha
scelto di leggerti è uno dei più bei premi che io abbia
mai ricevuto. Quel piccolo e raro pubblico che mi ha scoperta
mi ha anche amata. Ma sempre piccolo e raro è. La mia
vocazione va e viene, cullata dall'andamento delle stagioni
della mia vita. Devo avere l'umore per scrivere, la testa,
il cuore. La mia vita deve essere a un punto che mi consenta
di scrivere, che mi dia lo stimolo per farlo. Io non scrivo
sempre e comunque, scrivo quando sento che è quello che
voglio fare.
Cosa ti da di bello lo scrivere, che ti fa amare quello
che fai?
Scrivere mi fa svegliare alle 4:44 di notte con un'idea
che non mi fa più dormire, scrivere mi fa vedere una partita
di calcio e, colta dall'ispirazione, trascriverla sul
cellulare con messaggi su messaggi da salvare. Scrivere
mi fa sentire viva, scrivere mi fa sentire bene, scrivere
mi fa sentire me stessa. E fiera di essere tale.
Oltre alla letteratura, ci sono molti altri campi
artistici che ti attraggono: pittura, musica, giornalismo…
Questa poliedricità, cosa ti lascia?
Se un giorno piove e tutti i miei pensieri migliori rimangono
incastrati tra i polpastrelli delle mie dita, allora dipingo.
Se una sera in televisione non c'è nulla di interessante
e la mia fantasia trova la voglia ma non la forza, allora
intervisto qualcuno. Se una mattina di sole mi sveglio
e l'allegria non fa rumore, allora l'aiuto io a farlo,
e suono. Se un pomeriggio dopo pranzo il caffè ha già
fatto effetto e i pensieri si affollano nella mente, allora
preferisco metterli in fila scrivendo. Questo è quello
che mi lascia la poliedricità. La possibilità di creare
sempre qualcosa di diverso, ma pur sempre di creare.
Progetti per il futuro?
Finire il romanzo in corso d'opera, e magari trovare un
editore degno delle mie poesie. Ma questi sono solo alcuni.
I miei sogni sono ben riposti nel cassettone - nel cassetto
del comodino ormai non ci stavano più - e sono almeno
novantasei, se non qualcuno in più.
L'autrice
Elisabetta Bilei (Mestre, 1986) vive a Favaro Veneto,
in provincia di Venezia. Appassionata di musica, scrittura,
pittura e teatro. E' stata membro di un'orchestra, I
flauti di San Marco, con la quale ha viaggiato molto
toccando mete prestigiose come Firenze e Stoccarda. Deve
alle sue insegnanti di Lettere la spinta e l'incoraggiamento
ad intraprendere il percorso di scrittrice; attualmente
frequenta il corso di laurea in Scienze della Comunicazione
all'Università degli Studi di Padova. Ha vinto concorsi
letterari, borse di studio e ha soggiornato in un college
di Parigi, per perfezionare la lingua. Collabora come
articolista e redattrice per associazioni e portali culturali
e ha lavorato per una testata giornalistica on-line lucana
dedicandosi all'arte e alla cultura. Ha pubblicato la
silloge di brevi racconti Foto di Riflessioni (Il
Grappolo, 2003), ha lavorato a un progetto artistico con
il disegnatore Cosimo Budetta ed è stata membro della
Giuria Giovani dell'edizione 2005 del Premio Settembrini.
Il suo romanzo breve Caffè Valeriana Vomito Sigaretta
(Il Foglio letterario, 2005), ha ricevuto gli elogi di
autori affermati, quali Federico Moccia e Pino Roveredo,
vincitore del premio Campiello 2005 con l'opera Mandami
a dire.
A cura di
Alberto Leoncini
a cura di Abcveneto