nu. 29 anno terzo¬ 1 agosto 2006 mensile online gratuito
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A colloquio con Elisabetta Bilei, giovane scrittrice


Classe 1986, un romanzo breve già alle stampe, molteplici passioni ed interessi coltivati con successo. Ecco il profilo telegrafico di Elisabetta Bilei, nuova voce della letteratura, che promette ottimi risultati. L'enorme novero di persone che coltivano le arti, in modo più o meno serio, è enorme, benché sia alquanto difficile l'improvvisazione… Ad Elisabetta va invece certamente tributata una costanza fuori dal comune, al di là dell'opinione che si può avere sui suoi scritti. Abbiamo parlato con lei di quello che ha compiuto finora, anche per non smentire la vocazione al nuovo del nostro giornale.

A cura di Alberto Leoncini

Partiamo dal tuo ultimo romanzo "Caffè, Valeriana, Vomito, Sigaretta" (Edizioni "Il foglio letterario", € 5,00, www.ilfoglioletterario.it), perché scrivere una storia del genere? Presentala ai lettori di abcveneto.com.
La storia s'incentra su una figlia che opera un dialogo immaginario con il padre in coma ed esegue metaforicamente un trapianto di cuore per potergli donare le emozioni che lei ha vissuto in quell'anno di vita, il 1998, di cui egli è completamente estraneo. Pagina dopo pagina è un pugno nello stomaco, un bisturi che lacera, il sangue che si espande. E alla fine, il colpo di grazia. Il pugno perfora, la carne tagliata dal bisturi sanguina, il sangue sporca. Perché scrivere una storia del genere? E perché no? La vita non è sempre dolce, e non basta metterle dentro un Dietor e mescolare bene per renderla tale. Ed è giusto che si scriva anche di questo.

Più che un romanzo, questo scritto ricorda più da vicino un prosimetro. Perché questa scelta stilistica? Qual è l'effetto che vuol creare il repentino scostarsi di piani narrativi?
E' un rendere la narrazione più viva, palpitante tanto quanto lo è quel cuore che, attraverso la confessione, viene donato dalla figlia al padre. "

Nell'atto di scrivere, hai dei punti di riferimento, degli autori a cui ti ispiri, dei miti?
Parto sempre da me, dalla mia vita. E dalla mia fantasia. Alcuni scrittori mi fanno sognare più di altri, alcuni libri avrei voluto scriverli io. Ma nulla più di questo. Avevo delle letture preferita, ma le ho tradite quando ho imparato a tradire i miei scrittori preferiti con altri senza avere più dei preferiti. Per amare un libro devo sentirlo dentro. E deve essere un libro che accenda i miei sensi, la mia anima, il mio corpo; i libri di cui m'innamoro sono quelli che mi prendono dentro e che si insinuano nel buio, nelle viscere, nell'insonnia, nella pioggia. Ma poi li lascio andare. A me rimane l'ispirazione. L'ispirazione di scriverne uno completamente diverso, uno completamente mio.

Dalla lettura traspare un forte trasporto emotivo, è una scelta di finzione letteraria o rispecchia davvero la tua personalità?
Io sono un'emotiva di natura. Tutto mi prende, mi travolge e mi sconvolge. E questo, inevitabilmente, si rispecchia nel mio essere donna come nel mio essere scrittrice. Mi è inevitabile. Sono emotiva, quindi sono.

Lo consideri un punto di inizio o una meta raggiunta nel tuo percorso artistico?
Assolutamente un punto di inizio. Di cosa non lo so. Ma comunque solo un principio. Credo che se un giorno raggiungerò una meta non mi renderò conto di esserci arrivata, e così continuerò il mio percorso avendo di giorno in giorno una meta e poi un'altra ancora cosicché il mio percorso di scrittrice non abbia mai fine.

Qual è stato il riscontro dei tuoi lavori? Sappiamo che hai vinto dei premi letterari, che alcuni autori ti hanno elogiata, ti è mai capitato di sentirti in difficoltà con la tua vocazione artistica?
Il miglior riscontro è essere letta. I premi, indubbiamente, fanno piacere. Ma avere un riscontro diretto con chi ha scelto di leggerti è uno dei più bei premi che io abbia mai ricevuto. Quel piccolo e raro pubblico che mi ha scoperta mi ha anche amata. Ma sempre piccolo e raro è. La mia vocazione va e viene, cullata dall'andamento delle stagioni della mia vita. Devo avere l'umore per scrivere, la testa, il cuore. La mia vita deve essere a un punto che mi consenta di scrivere, che mi dia lo stimolo per farlo. Io non scrivo sempre e comunque, scrivo quando sento che è quello che voglio fare.

Cosa ti da di bello lo scrivere, che ti fa amare quello che fai?
Scrivere mi fa svegliare alle 4:44 di notte con un'idea che non mi fa più dormire, scrivere mi fa vedere una partita di calcio e, colta dall'ispirazione, trascriverla sul cellulare con messaggi su messaggi da salvare. Scrivere mi fa sentire viva, scrivere mi fa sentire bene, scrivere mi fa sentire me stessa. E fiera di essere tale.

Oltre alla letteratura, ci sono molti altri campi artistici che ti attraggono: pittura, musica, giornalismo… Questa poliedricità, cosa ti lascia?
Se un giorno piove e tutti i miei pensieri migliori rimangono incastrati tra i polpastrelli delle mie dita, allora dipingo. Se una sera in televisione non c'è nulla di interessante e la mia fantasia trova la voglia ma non la forza, allora intervisto qualcuno. Se una mattina di sole mi sveglio e l'allegria non fa rumore, allora l'aiuto io a farlo, e suono. Se un pomeriggio dopo pranzo il caffè ha già fatto effetto e i pensieri si affollano nella mente, allora preferisco metterli in fila scrivendo. Questo è quello che mi lascia la poliedricità. La possibilità di creare sempre qualcosa di diverso, ma pur sempre di creare.

Progetti per il futuro?
Finire il romanzo in corso d'opera, e magari trovare un editore degno delle mie poesie. Ma questi sono solo alcuni. I miei sogni sono ben riposti nel cassettone - nel cassetto del comodino ormai non ci stavano più - e sono almeno novantasei, se non qualcuno in più.

L'autrice

Elisabetta Bilei (Mestre, 1986) vive a Favaro Veneto, in provincia di Venezia. Appassionata di musica, scrittura, pittura e teatro. E' stata membro di un'orchestra, I flauti di San Marco, con la quale ha viaggiato molto toccando mete prestigiose come Firenze e Stoccarda. Deve alle sue insegnanti di Lettere la spinta e l'incoraggiamento ad intraprendere il percorso di scrittrice; attualmente frequenta il corso di laurea in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Padova. Ha vinto concorsi letterari, borse di studio e ha soggiornato in un college di Parigi, per perfezionare la lingua. Collabora come articolista e redattrice per associazioni e portali culturali e ha lavorato per una testata giornalistica on-line lucana dedicandosi all'arte e alla cultura. Ha pubblicato la silloge di brevi racconti Foto di Riflessioni (Il Grappolo, 2003), ha lavorato a un progetto artistico con il disegnatore Cosimo Budetta ed è stata membro della Giuria Giovani dell'edizione 2005 del Premio Settembrini. Il suo romanzo breve Caffè Valeriana Vomito Sigaretta (Il Foglio letterario, 2005), ha ricevuto gli elogi di autori affermati, quali Federico Moccia e Pino Roveredo, vincitore del premio Campiello 2005 con l'opera Mandami a dire.
A cura di Alberto Leoncini

 

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