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Motta di Livenza: Momesso racconta l'epoca di Pomponio Amalteo


Conversazione con il curatore della rassegna Alla Motta nel Cinquecento, presso il Centro Arti Visive "La Castella" dal 7 ottobre al 26 novembre 2006

A cura di Carlo Sala

In occasione del Quinto Centenario della nascita del pittore Pomponio Amalteo (Motta di Livenza 1505 - S. Vito al Tagliamento 1588), va di scena presso il Centro Arti Visive "La Castella" dal 7 ottobre al 26 novembre la rassegna "Alla Motta nel Cinquecento". La mostra è l'ultimo tassello di una serie di iniziative che ha coinvolto, con esposizioni ed incontri, i comuni di San Vito al Tagliamento e Pordenone. Un'occasione unica per realizzare una mostra studio, che ricostruisca l'attività del maestro in quello che tradizionalmente è ritenuto il suo paese natale. Presentare per la prima volta insieme tutte le opere che il pittore ha realizzato in questo territorio, illustrandone l'ubicazione originaria, la documentazione esistente, ed eventuali disegni preparatori. Di particolare pregio il disegno Studio per la figura di San Domenico, proveniente dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, studio preparatorio per la Pala del Duomo di Motta di Livenza (anch'essa parte della rassegna). Inoltre ritornerà in città la pala Apparizione di Cristo tra la Beata Vergine e San Giovanni Battista ai Santi Giacomo il Maggiore, Antonio da Padova, Bernardino e Antonio Abate. Opera concepita per il convento francescano di Santa Maria delle Grazie, trasferita in epoca napoleonica nel Duomo di Treviso. Info: www.lacastella.it

Ho incontrato il curatore, Sergio Momesso, che ha indicato i punti chiave della rassegna, delineando la figura di Pomponio Amalteo ed i tratti caratteristici della sua epoca.

"Alla Motta nel Cinquecento", quali finalità si pone questa rassegna?
La città aveva l'obbligo di non lasciar passare in silenzio il centenario della nascita dell'Amalteo, il suo pittore del Rinascimento, l'allievo del Pordenone che comunemente si crede sia nato a Motta di Livenza da Leonardo della Motta e da Natalia Amalteo. Il centenario per la verità cadeva l'anno scorso, visto che l'Amalteo nasce nel 1505 e muore nel 1588, ma nonostante la difficoltà dell'impresa alla fine si è riusciti a partire con un progetto ben preciso e realizzabile. Del resto, non è un problema solo mottense, anche San Vito al Tagliamento ha spostato le celebrazioni ufficiali a quest'autunno.
Ora, si trattava appunto di celebrare la ricorrenza nel modo più tipico, con una mostra cioè, ma da realizzare in un paese che non ha mai organizzato eventi di questo tipo, progetti che prevedessero anche prestiti esterni, da qualche museo importante e magari non veneto. Si doveva tenere conto poi che questo è un paese che non ha grandi risorse.
Allora, ho pensato che il modo migliore di assolvere al compito fosse progettare una piccola mostra-studio, del tutto diversa da quella molto vasta e onerosa che si sta organizzando a San Vito al Tagliamento, per esempio, in quella che è stata la patria operativa dell'Amalteo e dove sono davvero tante le testimonianze superstiti del pittore e della sua bottega.
Qui il pittore è nato, e dove ha lasciato solo alcune opere, mi è sembrato giusto dover puntare a una mostra con pochi e miratissimi prestiti esterni che consentano di presentare tutta la produzione per il suo paese natale e di raccontare in quale momento questo avviene, in quale territorio. Una mostra allestita con un criterio didattico e, in un certo senso, illuministico, con l'intenzione cioè di dare qualcosa a chi la visita, pur nei limiti che si sono detti. Una mostra che consentisse quindi al visitatore, attraverso un adeguato apparato illustrativo, di comprendere anzitutto diverse cose sulle opere del pittore, sulle opere che l'artista ha realizzato "alla Motta", come si diceva nel Cinquecento. Senza paura perciò di "sporcare", mi si passi il termine, l'allestimento con didascalie, fotografie, qualche ricostruzione grafica e con tutti i materiali prodotti dagli ultimi e meritori restauri voluti dall'amministrazione comunale. E puntando poi che tutto questo venga accompagnato da un volume che sarà un po' il consueto catalogo di mostra, con le schede e la bibliografia relativa, ma anche un po' un archivio della documentazione eterogenea appunto prodotta dai recenti restauri e che altrimenti andrebbe inevitabilmente perduta.

Una rassegna che pone l'attenzione su un grande autore del nostro territorio, Pomponio Amalteo. Quali peculiarità ebbe l'opera del pittore? in che contesto è inquadrabile il suo lavoro?
L'Amalteo è il principale allievo e continuatore del Pordenone. Pordenone è uno dei grandi pittori del Rinascimento nell'Italia Settentrionale, che anticipa anche soluzioni che saranno tipiche della cultura barocca. E questo nei primi quattro decenni del Cinquecento. L'Amalteo che tra le diverse mogli sposa anche Graziosa, la figlia del suo maestro, ne eredita la bottega con tutti i suoi segreti, tutte le sue tecniche, i colori, i progetti, i cartoni e perfino i garzoni. Ha buonissime doti operative, è un buon disegnatore e un ottimo frescante, ma sempre e solo sulla scia di quanto realizzato dal Pordenone, senza inventare nulla di nuovo. Invece, si potrebbe dire che è un grande affarista, che sa qual è il suo mercato e che lo spreme fino in fondo. Fornisce sempre il prodotto richiesto, con grande qualità artigianale. Questo è possibile però entro un'area geografia molto ben definita, tra il Friuli e il Veneto orientale, tra Livenza e Tagliamento, spingendosi fuori da questi confini solo con rarissime eccezioni, vedi per esempio la pala per la Chiesa di Santo Stefano a Venezia, che sarà a San Vito in autunno. E' infatti un'area operativa un po' chiusa alle novità veneziane, per certi versi ritardataria: vedi, per fare un esempio facilissimo e molto vicino a noi, il duomo di Motta che è codussiano, cioè tardoquattrocentesco, ma realizzato nel corso di tutto il Cinquecento, e soprattutto tra 1539 e 1576.

La mostra non è realizzata in una struttura casuale, vi sono dei legami tra l'autore e il periodo preso in considerazione dall'esposizione?
Se vuoi dire legami tra la struttura e il pittore e il periodo, la struttura è perfetta, perché è un edificio antico, non ci sono documenti sulla costruzione, ma la decorazione ad affresco che ancora sopravvive frammentaria sulla facciata della cosiddetta Castella, la sede della mostra e Centro Arti Visive, è della prima metà del '500 ed è attribuibile con una certa sicurezza allo stesso Amalteo, come si vedrà in mostra. Non voglio anticipare troppo, ma si vedrà che in parte dipende ancora dalle idee del Pordenone. Quindi è perfetta per un evento di questo genere.

La maggior parte delle opere sono state concepite per edifici di Motta di Livenza. Poi nel corso degli anni alcune hanno lasciato la città. Un'occasione unica per fare il punto sulla produzione locale dell'autore…
E' un po' una ripetizione dei concetti espressi sopra. Si è pensato di fare una cosa proporzionata alle nostre forze, ma dignitosa: secondo il concetto del "poco ma buono". Perciò la mostra inseguirà le tracce dell'Amalteo a Motta, quello che sopravvive ancora e quello che non c'è più, ma anche quello che se n'è andato ad un certo punto. Naturalmente, raccontando anche la storia conservativa di queste testimonianze, che, verrebbe da dire, sono poche ma buone. E saranno presentate con il chiaro intento di far capire, di dare accesso a questi reperti storici anche a chi non ne ha mai sentito parlare.

Tra i personaggi più significativi di quel momento storico va ricordato il cardinale Girolamo Aleandro, a cui sono dedicate delle parti del catalogo. Che ruolo ebbe nelle vicende mottensi? Sinteticamente perché fu una figura così rilevante del suo tempo?
Grazie, questa domanda consente di aprire un'altra finestra sul progetto, sulla seconda parte della mostra. Le opere dell'Amalteo non sono irrelate, non stanno da sole, insomma, ma sono in rapporto con altre e con un contesto. Per quanto quella di Motta sia sempre stata una piccola realtà, nel '500 poteva annoverare figure come quella di Girolamo Aleandro (1480-1542), un grandissimo umanista, in giovinezza amico di Aldo Manuzio e di Erasmo da Rotterdam, insegnante alla Sorbona di Parigi e poi grande bibliotecario e segretario di Leone X e di Clemente VII, i due papi Medici in lotta con la riforma protestante. Per Leone X Aleandro consegna la bolla di scomunica a Lutero nel 1520. E poi è l'anima della politica papale contro Lutero, colui che prepara la strada al Concilio di Trento. Ma viene creato cardinale solo da Paolo III Farnese, perché non era facile la vita alla corte papale. Insomma un grandissimo personaggio, che è a Roma, per intenderci, quando Raffaello dipinge le stanze vaticane e quando Michelangelo ha appena finito la volta della Sistina. Ma che poi quando muore vuole scappare da Roma e farsi seppellire nella sua chiesetta di San Nicolò, dove era stato battezzato. Quest'uomo è grande amico anche di Marcantonio Amalteo, lo zio umanista di Pomponio, che è maestro pubblico a Motta per un certo tempo, ed è colui che piange la morte del Pordenone nel 1539 in splendidi versi latini. La figura dell'Aleandro, come si vedrà, si lega alla mostra anche attraverso elementi molto concreti di committenza.

CHI E'
Sergio Momesso è nato a Motta di Livenza nel 1967.
Ha studiato Storia dell'arte con Alessandro Ballarin presso l'Università di Padova. Laureato in Lettere con una tesi sul pittore veneziano Marco Basaiti (ca. 1470 - post 1531), ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia dell'arte discutendo una tesi sulla Collezione artistica di Antonio Scarpa (1752-1832).
Dal 1991 al 1999 ha collaborato alla ricerca e alle attività editoriali di Alessandro Ballarin (Le siècle de Titien, 1993; Dosso Dossi e la pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 1994-1995; Jacopo Bassano. Scritti, 1995; Jacopo Bassano. Parte prima. Tavole, 1997).
Ha pubblicato contributi sul Quarto Stato di Pellizza da Volpedo ("Prospettiva", 1995), sull'attività giovanile di Marco Basaiti ("Prospettiva", 1997) e sulla chiesa di San Nicolò di Motta di Livenza (Bertoncello, Cittadella, 2001).
In uscita il prossimo settembre un volume dal titolo "La Collezione di Antonio Scarpa, 1752-1832" (Edizioni Bertoncello, Cittadella).

A cura di Carlo Sala

 

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