Brescia: Gauguin e Van Gogh - L'avventura del colore
nuovo
29.12.2005 - Brescia, Museo di Santa Giulia: Gauguin
e Van Gogh - L'avventura del colore nuovo.
di Simona Cernicchi
Sensibilità, genialità, profondo senso
del dolore e delle passioni umane, eccentricità,
originalità, innovazione. La vita di questi straordinari
artisti è un ponte verso le loro opere.
Gauguin nacque a Parigi nel 1848, Van Gogh in un piccolo
villaggio olandese nel 1853.
Il padre di Gauguin morì pochi anni dopo la sua
nascita e nel 1867 anche la madre cessò di vivere,
il pittore la porterà per sempre nel cuore.
A Van Gogh la madre e il padre, quest'ultimo pastore protestante,
avevano dato il nome di Vincent, lo stesso di un figlio
nato un anno prima ma morto poco dopo la nascita. Van
Gogh cresceva solitario, ombroso, alla continua ricerca
dell'amore familiare, soprattutto materno.
Gauguin fece il marinaio, l'agente di cambio, si sposò
nel 1873 ed ebbe cinque figli. La pittura, inizialmente
un passatempo, divenne passione e, perso il lavoro nel
1883, dedizione completa.
Van Gogh lavorò presso varie Gallerie d'arte, prima
all'Aia poi a Londra (qui si innamorò perdutamente
ma il suo amore fu respinto), infine a Parigi. In seguito
trovò occupazione in una libreria mentre il suo
appetito intellettuale e religioso cresceva. Iscrittosi
alla facoltà di teologia protestante di Amsterdam,
andò nel 1878 a fare il predicatore nel Borinage,
la regione dei minatori. L'esperienza del dolore e della
dura vita di questi ultimi lo segnò per sempre.
L'amore per la pittura allontanò Gauguin dalla
famiglia, anche perché la moglie non lo capì
ed anzi, vedendo il poco successo del marito, lo osteggiò.
Nel 1886 il viaggio in Bretagna, che gli appariva come
una terra ancora legata alle proprie tradizioni, regione
ove esplose la sua personalità di uomo e di pittore.
Un anno dopo raggiunse Toboga, un'isola del Golfo di Panama,
alla ricerca di un luogo dove andare a "vivere come
un selvaggio" ed in seguito la vicina Martinica.
La malaria lo costrinse a tornare a Parigi ma non gli
tolse le energie per continuare a dipingere le meraviglie
di quelle isole. Intanto la sua pittura andava sempre
più personalizzandosi.
Van Gogh alla fine del 1880 si trasferì a Bruxelles,
stavolta era la pittura a "chiamarlo". Divenne
allievo di un pittore che gli insegnò le leggi
della prospettiva e nei suoi disegni rappresentò
il mondo del lavoro. Dopo vari spostamenti si recò
dai genitori a Neuenen. Qui la vita contadina, semplice,
fatta di fatica divenne motivo prevalente di ispirazione.
Alla fine del 1885 si iscrisse all'Accademia di Belle
Arti di Anversa ma, in seguito alla morte del padre, si
trasferì a Parigi dove il fratello Theo lo attendeva.
Nella Ville Lumière avvenne l'incontro con le stampe
giapponesi e con il colore.
Alla fine del 1887, a Parigi, Gauguin conobbe Theo Van
Gogh. In seguito ritornò in Bretagna e diede il
suo contributo alla costituzione della scuola di Pont-Aven,
dove il suo stile pittorico si espresse nella capacità
di filtrare la realtà attraverso l'immagine che
di questa resta nella memoria.
Parigi non piaceva più a Van Gogh, ormai immerso
in tabacco, alcool e donne, così partì per
Arles dove arrivò nel 1888. "Il Mezzogiorno
francese", con i suoi splendenti colori, "É
bello quanto il Giappone" disse. Qui si dedicò
alla pittura grazie ai soldi che il fratello Theo gli
inviava e passò dei mesi con Gauguin. Dipinsero
all'aria aperta o all'interno della famosa casa gialla,
confrontandosi, ma la diversità di carattere e
di concepire l'arte, da una parte la fuga dalla realtà,
l'immaginazione e il simbolismo dall'altra l'adesione
al reale e al concreto nell'ottica di un loro approfondimento,
li condusse ad accesi scontri (famoso l'episodio del lobo
dell'orecchio tagliato) e costrinse Gauguin a tornare
a Parigi.
Ad Arles, Van Gogh conobbe la famiglia Roulin ed i componenti
di quest'ultima divennero i soggetti di molti quadri.
Il colore era definitivamente diventato il suo mezzo di
massima espressione, "ciò che l'arte di oggi
vuole è che un'opera sia violentemente viva, di
voce alta nei colori" scrisse. Così quei colori
parlano all'universale che è dentro di noi e vanno
al di là dello spazio e del tempo. Tra la fine
del 1888 e l'inizio del 1889 gli fu diagnosticata una
grave forma epilettica ma i ricoveri in vari ospedali
non spensero la sua voglia di dipingere. Intanto Theo
si era sposato ed era diventato padre. Dopo l'ennesima
crisi nervosa, sentendosi nuovamente solo e vuoto, come
le sedie spesso dipinte, Van Gogh, il 27 luglio del 1890,
si sparò un colpo al cuore con una rivoltella e
poco dopo morì. Anche Theo si spense, sei mesi
dopo l'amato fratello che aveva dipinto "il palpito
vitale della natura attraverso il colore", così
come sapeva fare lui, unendo vita e arte.
Gauguin era a Le Pouldou quando gli giunse la notizia
della morte di Van Gogh. Nel 1891 sbarcò a Tahiti.
Studiò paesaggi, persone, sguardi, abitudini. Era
oramai completamente conscio di sé e del suo stile.
Si spostò tra le varie isole della Polinesia alla
continua ricerca di luoghi sempre più incontaminati,
inesplorati. Amò donne indigene molto più
giovani di lui, una in particolare, Teha'amana, divenne
sua moglie secondo le usanze del posto e dipinse, dipinse,
dipinse. Tornò a Parigi nel 1893 in occasione della
sua prima mostra personale ma in pochi si interessarono
alla sua pittura. Allestì a Montparnasse un atelier
che sembrava un piccolo angolo esotico. Tornò alla
scuola di Pont-Aven ma non venne accolto come credeva.
Senza soldi, dopo il fallimento di un'asta in cui cercò
di vendere i suoi quadri, Gauguin raggiunse Tahiti nel
1895. Malato, fece molti lavori per sostenersi, nonostante
ciò l'attività creativa crebbe senza sosta.
Amò e si fece una nuova famiglia. Nel 1901, però,
l'incessante richiamo di nuovi stimoli e la ricerca artistica
lo portarono nelle isole Marchesi dove ebbe un figlio
da una indigena, scrisse e si dedicò alla pittura,
unendo perfettamente colori, semplicità, simbolismo,
panteismo. Morì nel 1903, forse per una crisi cardiaca.
Così due uomini consegnarono loro stessi e le loro
opere all'eternità.
di Simona Cernicchi