nu. 22 anno terzo¬ 1 gennaio 2006 mensile online gratuito
Abcveneto, mensile online su treviso, il Veneto e cosa fanno i Veneti dentro e fuori d'Italia
rubrica

Palazzo Bomben: Gino Rossi e Arturo Martini, "Quando l'arte si tace"


Al Palazzo Bomben di Treviso continua fino al 19 marzo 2006 la mostra iniziata il 26 novembre 2005, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comune di Treviso, Provincia di Treviso, Regione Veneto.

a cura di Sara Miriade

Il titolo della mostra allude alla scelta di indagare percorsi originali e poco frequentati dei due artisti. Per Rossi “L'arte si tace” nella sofferenza di raggiungere l'opera della vita schiacciato da eventi tragici e da ideali estetici per molte ragioni irraggiungibili. Per Martini, l'arte tace nello sforzo di farsi pensiero e parola, per discolparsi di fronte alle nuove generazioni, forse anche dalle accuse di aver partecipato al Ventennio. La mostra Gino Rossi e Arturo Martini “Quando l'Arte si tace”, aperta dal 27 novembre 2005 e curata dalla Fondazione Benetton Iniziative Culturali è realizzata in collaborazione con la Fondazione Mazzotti, Biblioteca Comunale e Archivio di Stato di Treviso. Un percorso espositivo sonoro e visivo guidato da tecnologie d'avanguardia per raccontare e analizzare i documenti presi in esame: disegni, fotografie, diari, lettere, cataloghi, filmati e documentari.
Al piano nobile nella sala d'ingresso, il visitatore sarà accolto da un tavolo interattivo che introduce l'ospite ad altre 200 documenti. La sofisticata tecnica di computer vision interpreta i movimenti del visitatore che sfiorando la superficie del tavolo ha accesso alle fonti originali, aiutato da una divisione tematica che ne facilita la lettura.
In questa sezione vedremo un carteggio inedito e completo custodito dall'Archivio S.O.M.S L. Boschieri, intercorso nel 1924 tra enti, istituti e Gino Rossi circa la possibilità di un posto di insegnante di disegno presso la scuola di Crocetta Trevigiana, cosa che lo avrebbe risollevato dalla povertà in cui viveva. Il pittore cosi scriveva a Barbantini in quell'anno: "'L'inverno scorso l'ho passato senza stufa, pieno di freddo, e quello che viene sarà lo stesso". Questo carteggio è una raccolta di lettere che spiega le ragioni dei protagonisti e di chi cercò di aiutarlo raccomandandolo per esempio al Sindaco di Crocetta come fece il dott. Ugo Nebbia, coordinatore della corporazione Nazionale delle Arti plastiche di Venezia. La breve esperienza di lavoro fallì lasciando Gino Rossi ancora più amareggiato, lui che ebbe sempre un forte orgoglio d'artista e che avrebbe voluto che la sua opera avesse i riconoscimenti che meritava. In questa postazione segue una lunga sezione dedicata ai colloqui di Arturo Martini, divisa per comodità in 4 decenni.

Arturo Martini
Nelle sale attigue si accede alla sezione dedicata ai Colloqui di Arturo Martini, considerati il suo testamento spirituale, oggi offuscati e dimenticati dallo straordinario successo delle opere. Una “vasca” coperta di juta conterrà i 439 fogli manoscritti dei Colloqui, un ideale margine del flusso di pensiero che Martini sentiva in sé inarrestabile e che chiese a Scarpa di raccogliere e ordinare. E' la prima volta che i manoscritti originali, in calligrafia minuta a lapis, sono esposti accompagnati anche dai disegni che lo scultore tracciò in quelle sedute (i documenti provengono dalla Biblioteca Comunale di Treviso-fondo Mazzolà). Martini così scriveva a proposito del suo incontro con Gino Scarpa: "Prima io ero un'acqua che si spandeva in diversi rivi ora lui è la mia diga dalle sponde sicure che mi porta al mare naturalmente (...) Lui è logica e io l'impeto la frenata fantasia”. Con Scarpa, Martini si sente finalmente liberato, a lui affida i suoi pensieri come in una seduta psicoanalitica, una vera liberazione.
Proseguendo nel percorso espositivo, una seconda sala dedicata ad Arturo Martini dove si trova la postazione informatica che da accesso ai medesimi manoscritti in una forma maggiormente leggibile, cioè nella trascrizione "d'epoca", commissionata da Natale Mazzolà per la loro pubblicazione.
I dialoghi tra i due si protassero tra il luglio 1944 e il gennaio del 1945, lunghe ed estenuanti battaglie che andavano avanti fino alle prime ore del giorno: incontri-lotta, duelli dialettici per capire le ragioni, provocazione dell'uno e dell'altro. Martini non vide mai pubblicati i suoi "colloqui" e Gino Scarpa li avrebbe voluti bruciare...
Presentare al pubblico anche le lettere di due grandi amici di Arturo Martini: Natale Mazzolà e Giovanni Comisso che rendono conto delle traversie e impedimenti incontrati nella difficile strada della pubblicazione dei Colloqui con Arturo Martini finalmente avvenuta nel 1968 a cura della casa editrice Rizzoli.

Gino Rossi
Nello stesso piano, accompagnati da un suono ritmato e sordo, si accede alla stanza dedicata ai disegni inediti di Gino Rossi, tutti appartenenti al periodo manicomiale, 279 provenienti dalla collezione privata di Anna Pugliese Mazzotti e 30 conservati dagli eredi di Luigi De Giudici, pittore capesarino amico di Rossi. La stanza è un passaggio nel buio del manicomio, nel fondo dell'animo di Gino Rossi, qui sospesi tra vetri trasparenti i disegni che agilmente potranno essere osservati da ambo i lati. Rossi ossessionato dalla creazione artistica continuamente invocata e desiderata non smise mai di cercarla. Sono frammenti tutt'altro che ingenui dove vi si trovano richiami a Cèsanne, Matisse, un ritorno alle origini e nuove ricerche verso il cubismo.
Il secondo piano, prosegue nella sala della follia, l'analisi dei vent'anni di reclusione. Insieme alla prima lettera del ricovero avvenuto il 13 giugno 1926, saranno esposti i carteggi inediti tra le amministrazioni ospedaliere, recuperati nel fondo della Provincia (tra le carte dell'ospedale di Santa Maria dei Battuti) mostrano come Rossi fu trasferito sei volte in quattro ospedali diversi fino alla morte avvenuta a Sant'Artemio (Tv) nel 1947.
Tra i documenti scopriamo quelli che furono gli amici di Rossi che lo seguirono anche nel calvario dell'ospedale, tra questi Giovanni Comisso e Nino Barbantini che si interessarono entrambi per un sussidio e per un recupero della opere. Come fece anche Ciro Cristofoletti, il quale in occasione della "IX Mostra D'Arte Trevigiana" (Palazzo Scotti 1933) recuperò in modo avventuroso alcuni quadri, "che scopri sporchi di pasta in brodo, abbandonati in una casetta piena di rifiuti nella casa di una pollivendola; una delle famose composizioni di natura morta nella soffitta di un cancelliere di pretura, un cartone dipinto in un porcile del Montello, e quel rittratto di donna che lo battezzò 'Saffo' in una casa di Ricovero". Ovviamente non si può dimenticare Giovanni Mazzotti, figura cardine nella cultura trevigiana, studioso attento e grande anticipatore che in qualità di tutore ed esecutore testamentario di Gino Rossi ebbe modo di raccogliere e conservare importanti documenti relativi alla permanenza all'interno delle strutture ospedaliere dell'artista, oltre che ad averne curato alcune mostre.

Tra le molte lettere esposte, provenienti dall'Archivio Barbantini, Archivio Provinciale e Fondo Mazzotti, colpisce quella di un primario, Mario Mantovani dell'Ospedale Civile di Crespano del Grappa che nel 1943, in risposta del Mazzotti chiede se qualcuno poteva prendere in cura il pittore e "incitarlo al lavoro" a significare che la miglior cura era quella di farlo uscire e continuare la sua grande opera. Intanto Mazzotti aveva regalato a Rossi del materiale da disegno.
L'ultima sala costudisce l'affresco dei Tre pesci (proveniente dal Museo Bailo di Treviso). L'opera dipinta tra il 1932 e il 1933 raffigura all'interno di un clipeo di tradizione bizantina, tre pesci disposti obliquamente che richiamano composizioni e temi simbolici di natura cristologica.
Colpisce l'abilità del pittore che usa qui una delle tecniche artistiche più complesse. La domanda che sorge, dopo tanti documenti che ci danno la certezza di un Gino Rossi consapevole e lucido, è se l'artista durante i vent'anni di manicomio abbia o non prodotto opere ad olio e quale possa essere stato il loro destino.


Auditorium

Il Fondo Fotografico della Provincia di Treviso ha portato ad una scoperta tanto inattesa quanto felice di un gruppo di tre documentari di straordinario valore storico ed artistico dedicati a Gino Rossi, Arturo Martini e allo scrittore Giovanni Comisso, che potremmo vedere completamente restaurati nella sala dell'Auditorium.
Realizzati intorno alla metà degli anni Sessanta, per la regia di Paolo Saglietto, sono curati da Giovanni Comisso e Giuseppe Mazzotti e prodotti dalla Corona Cinematografica. La Fondazione si è fatta carico del restauro affidando al laboratorio l'immagine ritrovata della Cineteca Comunale di Bologna. I filmati in questione sono: Un simbolo chiamato Zero, dedicato allo scrittore trevigiano Giovanni Comisso; Arte senza pace, dedicato ad Arturo Martini e Il mio Dissenso, che ripercorre la vita di Gino Rossi.

L'esposizione è a cura della Fondazione Benetton Iniziative Culturali. L'allestimento degli architetti Mariangela Zanzotto e Alberto Pasetti, che curano anche il disegno e le luci.
I testi del catalogo sono di Vera Matiuzzo, Donatella Levi ed Anna Urbani.

Orario della mostra:
da martedì a domenica dalle ore 10 alle ore 20.
Chiuso il lunedì e il 25 -26-e 31 dicembre 2005
1 gennaio dalle 15 alle 20, 2006
Per Informazioni e prenotazioni tel. 0422 512 200

a cura di Sara Miriade

ABCVeneto®: sulla rete dal 1 marzo 2004