nu. 28 anno terzo¬ 1 luglio 2006 mensile online gratuito
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rubrica

Il romanzo: Il fiume e lo specchio


Seconda puntata

Di Massimo Pellegrin

II

Al funerale c'era una moltitudine di persone, quando muore un ragazzo c'è sempre un sacco di gente. Avevo seguito svogliatamente la cerimonia e durante il tedioso tragitto verso il cimitero avevo fumato un paio di sigarette per combattere l'arsura di quell'agosto assassino. E' proprio vero che l'estate è la stagione della morte. L'inverno no, tutto il contrario, quello cova in segreto e si prepara. Ma l'estate… Camminare per una stradina di terra crepata in mezzo ai campi della pianura, con le cicale nelle orecchie e il calore che ti squassa il cranio, quella è la morte.

Il corteo è entrato in cimitero, il prete sta farfugliando sommessamente il suo ufficio pensando ad altri casi, innaffia la bara con due gocce d'acqua e un po' d'incenso. La madre di Giulio piange, si è avvicinata alla bara, porta l'indice e il medio alle labbra, poi poggia dolcemente i polpastrelli umidi sul legno della bara. Lo fa lentamente, come se dovesse plasmare l'aria intorno, come un direttore d'orchestra o un'equilibrista che ondeggia sul filo. Vedo i suoi occhi arrossati e turgidi come i petali di una rosa e il pozzo nero nel quale, dall'alto, quegli stessi occhi si specchiano. Poi ritrae la mano, si volta verso un parente che con garbo la trae a sé. Poi schianta a terra. Gente intorno, chiamate un dottore. Ma in un minuto è di nuovo in piedi, stravolta, con il naso rotto che butta sangue e le lacrime e la terra appiccicate al viso.
Adesso hanno pigliato Giulio, lo stanno issando con un paranco cigolante verso la sua nicchia a mezza altezza e lo spingono dentro. Un muratore, apparso da chissà dove come uno spiritello timido, comincia in silenzio a tirar su il muretto di mattoni che per i prossimi trent'anni terrà Giulio al sicuro.
L'uomo lavora sodo sotto il sole vigliacco, senza un filo di vento che gli porti sollievo. Sta colando sudore come uno straccio bagnato, ma non interrompe il lavoro. Il sale umido gli penetra negli occhi, gli incolla i vestiti addosso e gli inzuppa le mani che manovrano con abilità la cazzuola. Ma non si ferma. Continua riga dopo riga a disporre ordinatamente i mattoni. Alle sue spalle ascolta con disgusto la gazzarra di ciance aizzata dalle vecchie del paese. Sembra di stare al mercato, in mezzo a bestie in gabbia. E' così a tutti i funerali, in campagna. In città no: c'è meno gente. Forse è ancora peggio.
Il muratore ha finito, Giulio è sistemato. Finalmente. L'uomo valuta attentamente il suo lavoro, toglie con una spugna bagnata qualche schizzo di cemento dal marmo della cornice, si volta e si passa il fazzoletto sul viso; lo ricaccia maldestramente in tasca, raccoglie i suoi quattro arnesi e se ne va senza curarsi di nessuno, fendendo la folla crocchiante. Io dal mio angolo scruto i suoi passi, il suo capo chino e il suo avanzare mesto seppur frettoloso. Scorgo uno sguardo tra lui e la madre di Giulio. Un solo istante, un solo attimo, e tutto il dolore precipita in quel rapido scambio d'occhiate.
Me ne vado, ho finito le sigarette.


Di Massimo Pellegrin

 

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